Venticinque anni dopo…

Difficile spiegare cosa voglia dire attendere qualcosa per così tanto tempo. Ricordate quella sensazione provata da bambini dopo le festività natalizie? Una parte di noi, pur sazia dall’orgia di regali e dolciumi, desiderava con tutto il cuore che non finisse. In un certo senso stava già aspettando il Natale successivo. Moltiplicate questa sensazione per venticinque (anzi, ventisei), aggiungete la tara di una serie di errori di gestione macroscopici, e potrete capire cosa abbia significato il ritorno di Twin Peaks per i suoi fan.

Attendere così tanto per il ritorno dell’agente Dale Cooper e della misteriosa cittadina sul confine canadese, è stata senza dubbio una prova ardua da superare: prova che è terminata quando, finalmente, la più celebre fatica della premiata ditta Frost & Lynch è tornata sugli schermi televisivi. In maniera ancora più confusa e allucinata di quanto non fosse successo ventisei anni fa. Nel miglior senso del termine.

Le strade che potevano essere intraprese, nel riprendere una vicenda rimasta sospesa per più di un quarto di secolo le strade possibili erano solo due: da un lato ci si poteva limitare a riprendere la narrazione, decidendo di colmare poco alla volta i buchi inevitabili dovuti alla lunga assenza dal piccolo schermo; dall’altro si poteva osare, ampliare la mitologia di Twin Peaks e rendere evidente, sin dalle prime scene, che pur nel solco dell’iconica serie di inizio anni ‘90 avremmo avuto qualcosa di completamente nuovo tra le mani.

Questo è Twin Peaks. Eppure non è il solito Twin Peaks. Quasi come se Lynch si fosse deciso a dare sfogo a tutta la sua immaginazione e creatività per mettere in piedi uno spettacolo memorabile.

Attenzione, il testo che segue contiene spoiler sull’episodio

Si accomodi in sala di aspetto, agente.

La serie inizia con due dei personaggi più iconici uno di fronte all’altro, ovvero Dale Cooper (Kyle McLachlan), invecchiato e seduto in una poltrona, col suo solito vestito e il taglio di capelli curato, e il Gigante, la misteriosa entità benefica a guardia dell’ancora sconosciuta Loggia Bianca. E il messaggio è lo stesso della loro ultima conversazione avvenuta a Twin Peaks: “Sta accadendo di nuovo”.

La scena si sposta, e ci ritroviamo nei boschi di Twin Peaks, dove Jacoby, l’ambiguo psichiatra cittadino, tra i molti amanti di Laura Palmer, riceve una consegna vicino alla propria roulotte; Cambio di scena, e un ragazzo di New York osserva una gabbia di vetro apparentemente vuota; ci spostiamo quindi in Sud Dakota, dove una donna chiama la polizia per un odore sospetto proveniente dalla casa accanto, dove la sua vicina verrà ritrovata cadavere… o meglio dove la testa della sua vicina verrà ritrovata e dove il corpo decapitato di un uomo sconosciuto verrà ritrovato al posto del suo. E, nel mezzo, avremo modo di rivedere personaggi della vecchia serie, l’affarista Benjamin Horne che sembra essere rimasto saldo sul suo cammino di redenzione, al contrario del fratello, il vicesceriffo Hawk, la Signora Ceppo ormai attaccata a un respiratore.

La domanda sorge spontanea: cosa hanno a che fare questi soggetti con la città di Twin Peaks e gli eventi legati alle indagini dell’agente Cooper? I primi due episodi, The Return, sembrano a tutti gli effetti una serie di sequenze slegate l’una dall’altra, senza continuità. Lo spettatore, come successo in passato, cerca di trovare una risposta a quanto messo sul piatto da Lynch, trovandosi di fronte a un prodotto ancora più scuro, ermetico e difficile da comprendere di quanto non fosse stato in passato lo stesso Twin Peaks. Lo stesso Lynch aveva avvisato che “ognuno avrebbe visto ciò che voleva in questa terza stagione”. Ed è esattamente quello che succede con questo tipo di serie, già dopo poche scene infuriano nella nostra mente domande e teorie bizzarre.

I primi due episodi di questa terza stagione di Twin Peaks ci forniscono in effetti poche risposte e molti nuovi interrogativi. Eppure si tratta, in entrambi i casi, di eventi importanti.

In primo luogo, ci viene svelato il destino di Dale Cooper: in realtà l’agente dell’FBI non ha mai lasciato la Loggia Nera! Il suo corpo e il suo spirito sono rimasti legati a quel luogo, mentre a uscire da lì è stato il suo doppleganger, in coppia con lo spirito maligno Bob, che da allora si diverte a scorrazzare per gli States con le sue sembianze, seminando il caos.

E noi non possiamo che apprezzare: tutte le teorie su come Coop si fosse liberato, se fosse riuscito a contenere Bob e cosa gli fosse accaduto, vengono spazzate via in questi primi due episodi. Lynch, come al solito, dimostra di saper giocare con l’intelletto degli spettatori, demolendo parte del loro ego e tutte le loro teorie.

Cooper, dopo venticinque anni passati seduto nella stessa poltrona in cui lo avevamo visto nel 1991, viene finalmente liberato. A contattarlo è prima Mike, il demone redento con un braccio solo, e poi lo spirito di Laura Palmer, ora stabilmente parte della Loggia Nera, dicendogli che finalmente può andare. Coop viene così a conoscenza della situazione: potrà lasciare la Loggia solo se Bob tornerà a farne parte. E, per fare questo, dovrà rintracciare il suo doppio maligno.

In questo contesto è lodevole l’interpretazione di McLachlan, vero mattatore di questo episodio, come giusto che sia. Chi conosce questo attore, molto sottovalutato, sa benissimo che nelle sue corde c’è la capacità non da poco di riuscire ad essere tanto rassicurante e affabile, quando inquietante e oscuro, cosa che riesce benissimo a portare sullo schermo. Il doppleganger di Coop, vestito con abiti di pelle e i capelli lunghi, dai modi sbrigativi e violenti, mostra una prova magistrale dell’attore.

E, nel frattempo, attorno a lui ruotano una miriade di personaggi, vecchi e nuovi, di cui il buon Lynch lascia solo intendere il ruolo e il destino. La mitologia di Twin Peaks si amplia, veniamo in contatto di nuovi demoni e nuovi passaggi per il mondo della Loggia Nera, rivediamo i vecchi personaggi e ci interroghiamo su cosa sia loro successo in questi venticinque anni.

E proprio nel rivedere i volti noti che riusciamo a intuire la maestria di David Lynch: senza alcuna clemenza nei confronti dei suoi attori, lo sceneggiatore non esita a soffermarsi su tutti quei particolari che mostrano quanto gli anni siano stati inclementi con i suoi personaggi. I capelli si fanno più radi, le rughe profonde e i chili stentano ad andarsene. E Lynch, come solo il più sadico dei registi potrebbe fare, li sfrutta fino in fondo, mostrandoli apertamente, esponendoli e ostentandoli quasi con compiacimento.

Da segnalare, inoltre, la quasi totale assenza di musiche. Solo nel finale di puntata ci troviamo di nuovo di fronte a una colonna sonora di sottofondo, complice un concerto in cui vediamo alcuni dei vecchi personaggi. Nel resto della puntata, gli unici rumori sono quelli ambientali. Un modo come un altro per aumentare ansia e realismo all’interno della puntata. E forse è l’unica cosa che potrebbe realmente mancare, la presenza delle musiche di Badalamenti, anche se, nella televisione degli anni 2010, i personaggi “campy” con cui si sposavano non hanno più molto senso di esistere. Vedremo se si tratterà di una cosa limitata alle prime puntate o se continuerà.

In definitiva, Lynch non ci ha deluso. Quello che ci troviamo di fronte è un prodotto completamente nuovo, che promette di riservare numerose sorprese e soddisfazioni agli spettatori, continuando quanto iniziato quando un pescatore, una mattina, ritrovò il corpo di una giovane nel lago, avvolta in un telo di plastica.

Cosa ci piace?

Possiamo dire tutto? La ripresa dei vecchi personaggi, uniti ai nuovi. L’ampliamento della storia e del background della serie, il tutto ripreso e sceneggiato alla perfezione. Magistrale l’interpretazione di Kyle McLachlan che dimostra ancora una volta, come se ce ne fosse stato bisogno, tutta la sua maestria come attore.

Cosa non ci piace?

Forse solo l’assenza della musiche di Badalamenti, di cui però possiamo comprendere la mancanza come un’evoluzione del modo di fare televisione di Lynch.

Continueremo a guardarlo?

Certo! Anche perché, dopo nemmeno due ore di serie, nella nostra mente infuriano già domande e risposte sempre più astruse e illogiche, una serie di teorie che devono trovare una risposta da parte dello spettatore. In un modo o nell’altro.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.