Tu hai iniziato  a lavorare nel mondo del fumetto scrivendo i testi di alcune vignette degli Sturmtruppen di Bonvi. Che ricordo hai di Bonvi? E chi, dell’attuale scena umoristica italiana, potrebbe avvicinarsi al suo stile?

Ho un bel ricordo di Bonvi. Erano i miei inizi, ero veramente molto giovane, avevo diciannove anni, quindi ero all’inizio e avevo capito che era un uomo molto simpatico, mi lasciava fare… ma soprattutto mi disse una cosa che ricordo ancora adesso: “Fai quello che ti senti”, che non è facile nella vita, però è un bel consiglio, quindi ho un buon ricordo di quest’uomo che aveva una quarantina d’anni, all’epoca, quando l’ho conosciuto, e a me piacevano molto gli Sturmtruppen, quindi ho iniziato con lui apposta. Oggi come oggi non leggo moltissimo, ma potrei dire Silver, e poi anche Ortolani e Bevilacqua. Sono diversi da Bonvi, ma è anche giusto, perché bisogna evolversi, bisogna andare avanti, non si può riprendere quelle cose, ma bisogna stare al passo coi tempi.

Hai avuto un inizio difficile. Prima di diventare fumettista eri iscritto all’Università, hai cambiato facoltà. Come sei entrato nel mondo del fumetto? Come hai pensato di diventare un fumettista?

In realtà non ho cambiato facoltà. Prima ho fatto l’odontotecnico, che è una scuola professionale e poi ho fatto giurisprudenza, che non c’entra niente, ma all’Università ho fatto solo quello, non finendo. In realtà volevo andare a Roma al Centro Sperimentale a studiare regia, però era difficile. Io abito a Torino e i miei non avevano i soldi per mantenermi tre anni (se andava bene, non era detto che funzionasse). Era una cosa in cui purtroppo è difficilissimo riuscire, ma forse è il rimpianto più grande che ho. E’ la vita parallela, mi sarebbe piaciuto, ma insomma… E poi volevo fare qualcosa di creativo, che mi permettesse di raccontare storie lunghe, di un certo respiro, come potevano essere i film, e ho trovato il fumetto Bonelli, che ti permette di raccontare storie di un certo respiro e va avanti da una trentina d’anni. Uno si rende conto che gli anni vanno avanti ma tu resti lì a fare fumetti, è una cosa che fa un certo effetto, ma i tuoi lettori li vedi anche invecchiare. Poco fa ho incontrato una ragazza che avevo incontrato a Padova, e adesso è una signora di quarantacinque anni, e la prima volta che l’ho vista ne aveva venticinque.

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Lettori ma anche colleghi.

Tutti, per fortuna!

Eri già un lettore prima di diventare un autore?

Ero un lettore, adesso lo sono molto meno, un po’ per il tempo e un po’ per l’idea di portarsi il lavoro a casa, però in compenso vedo un film o due al giorno.

Quindi la passione per il cinema è rimasta?

E’ aumentata. Ad esempio, soprattutto nel personaggio di Morgan Lost, che era l’ex gestore di un cinema d’essai, quindi il cinema c’è sempre.

E’ stato annunciato un crossover tra Morgan Lost e Brendon. Possiamo sapere qualche particolare in più sull’incontro tra le tue creature?

Dirò poco per non rovinare la sorpresa. A me uno ha gridato il finale de “Il sesto senso” in corridoio, e uno senza volerlo mi ha rivelato il finale di Fight Club, due film di cui è un delitto rovinarsi il finale, quindi patisco questa cosa e cerco di dire il meno possibile. Comunque diciamo che l’idea di unire i miei due figli mi piaceva e poi era anche un modo per far conoscere Brendon a chi magari legge solo Morgan Lost, e viceversa. Poi l’idea può piacere o meno, ma la base è proprio quella di farli conoscere e di parlarne.

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Molti hanno paragonato Morgan Lost a Dylan Dog, pur essendo due personaggi molto diversi. Tu vedi una similitudine, o magari involontariamente ti ispiravi in qualche modo a Dylan Dog o se invece hai evitato alcuni lati di Dylan Dog?

Ci vedo veramente molto poco di Dylan Dog in Morgan Lost, anche perché in quest’ultimo ci ho messo molto di autobiografico, come l’insonnia o i mal di testa o l’amore per il cinema. Poi io non è che veda i morti o sia daltonico, ma insomma, c’è molto di me… Qualcuno dice che la città di Morgan ricorda Gotham, ad esempio nei criminali, che ricordano vagamente i supercriminali, ma senza superpoteri. Credo che si potrebbe collocare vicino alla letteratura “batmaniana”, però è molto diverso. Morgan non ha superpoteri, è un profiler della polizia, ma non c’è l’indagine classica. C’è questa mascherina tatuata che può evocare l’idea degli eroi mascherati…

A proposito dell’uso dei colori in Morgan Lost. E’ una cosa nata con quell’intento oppure semplicemente una scelta visiva che hai poi giustificato, come il daltonismo del personaggio, ad esempio?

E’ venuto insieme, cioè, ho cercato di creare qualcosa di nuovo per la nostra casa editrice ed il più possibile per i lettori. Il fatto che sia daltonico permette di creare una grafica nuova che non è copiata da Sin City, perché lì sono graffiature di rosso, mentre questo è un rosso fotografico, d’atmosfera. L’effetto sulla pagina è particolare, non c’è nel fumetto Bonelli: c’è stato il bianco e nero, il colore, ma mai la bicromia.

L’arrivo di Morgan è stato anticipato da un’importante campagna promozionale su Facebook. Cosa ne pensi di questo nuovo modo di fare comunicazione e mercato, che prima non esisteva? E come vedi il fenomeno del web comic, degli artisti che si auto-promuovono su Internet senza passare per la gavetta?

Partendo dalla seconda, vedo sicuramente di buon occhio i web comics. E’ importante che chi è meritevole abbia una piattaforma su cui farsi vedere. Anzi, i web comics, trattati in un certo modo, potrebbero anche essere uno dei possibili futuri, magari anche con un po’ di animazione. E su Facebook, devo dire che l’ho usato molto anche io. Soprattutto all’inizio avevo un po’ di pregiudizi, non usavo neanche la mia vera identità, ma poi l’ho capito e l’ho usato anche per promuovere Morgan. Nell’ottica in cui Facebook serve a promuovere un personaggio, un’idea, io lo vedo assolutamente di buon occhio. Prima non c’era, adesso c’è, quindi usiamolo, ben venga. Anche se magari quando non c’era Internet paradossalmente si vendeva anche di più, forse perché con Internet si ha tutto.

C’è una forma di distopia che hai preso come riferimento per le atmosfere di New Heliopolis?

Io in realtà volevo creare un’ambientazione per quanto possibile nuova, ma che comunque fosse un’espressione della nostra epoca, ritenendo Morgan Lost un fumetto moderno dal punto di vista dei contenuti, delle tematiche e via dicendo. Mi piacevano determinate ambientazioni anni ’50, ma, e questa è la cosa un po’ strana, con delle contaminazioni antico egizie, quindi una New York con i gargoyle a forma di sciacallo come Anubi, il dio Thor sul Tempio della Burocrazia. Per cercare di arrivare alla gente, anche in un momento di crisi economica, bisogna cercare di proporre un prezzo accessibile e qualcosa di nuovo, qualcosa che spinga a comprare il prodotto. Morgan Lost ha una scenografia e altri elementi unici.

Brendon 04I primi venticinque episodi di Morgan Lost saranno autoconclusivi, ma c’è un disegno, un’idea di continuità che li leghi l’uno all’altro? O magari ci sarà nei prossimi numeri?

Al momento sono così, bisogna anche vedere come vanno. Se va così, va avanti. Io sono sempre cauto, soprattutto in un periodo di crisi come questo, anche se comunque al momento sta andando. Per il momento non c’è un piano generale, gli episodi sono autoconclusivi, ma c’è un minimo di continuità, soprattutto a livello di personaggi. Ma sono comunque episodi a sé stanti, come quelli di CSI o Criminal Minds.

Com’è stato tornare a lavorare su Dylan Dog?

Io ho lavorato con Sclavi su Dylan Dog. Era il mio eroe, ha svecchiato i moduli narrativi del fumetto, poi io ero molto giovane all’epoca, avevo 22-23 anni. E’ stato bello perché sono arrivato all’apice della fortuna di Dylan Dog, in quel momento passò da 490.000 copie a 520.000, era il momento in cui Dylan Dog si vedeva ovunque: il ragazzo al liceo nello zaino aveva i libri e Dylan Dog. E’ stata la rinascita del fumetto italiano, i primi 100 numeri di Dylan Dog, in cui Sclavi non ha sbagliato un colpo. A me piace ed è sempre piaciuto il suo modo di raccontare.

Cosa c’è in cantiere per la serie regolare di Dylan Dog?

Non lo so, perché non faccio Dylan Dog da tempo. Quelli usciti adesso in realtà io li avevo scritti 25 anni fa, sono storie abbastanza vecchie.

Pensi di tornare a lavorarci?

Al momento non lo so, tutto è possibile però in questo momento io vorrei concentrarmi su Morgan Lost e Brendon, perché adesso ricomincia con una serie di speciali a colori.

Puoi dire qualcosa di più su Brendon?

Brendon è un personaggio che secondo me ha ancora da dire tante cose e, soprattutto, in modo diverso. Il nuovo Brendon avrà dei cambiamenti grafici in alcuni suoi elementi peculiari, ,ma anche di contenuto, nel senso che saranno storie molto più visionarie e quindi sarà un Brendon che è cresciuto con me. Molte volte si chiede dell’evoluzione di un personaggio. Non c’è. Il personaggio cresce e cambia con l’autore. Quindi sarà un Brendon un po’ più fragile. Scrivendo Morgan Lost, che è un personaggio fragilissimo, uno mezzo matto che va a cercare gli assassini calandosi nella loro mente, forse qualcosa mi è rimasto. Sicuramente un Brendon più crepuscolare, meno eroe di quanto lo fosse prima, e non lo era, e più persona.

Parlando di personaggi che crescono con te, ti capita mai di chiederti cosa ti passasse per la testa rileggendo un tuo vecchio fumetto?

Si, capita. Magari era troppo retorico, magari una frase non funzionava. Io ho scritto circa ventimila pagine, duecento storie, e mi capita anche di leggere storie e di non ricordarmi bene cosa accadesse. Ma da tantissimo tempo non mi rileggo…