Il genio di Bonvi, padre del fumetto proletario italiano

Una fredda notte del Dicembre 1995 un fumettista di nome Franco Bonvicini si ferma a chiedere informazioni in un bar. Ha un appuntamento importante per una trasmissione radiofonica, alla quale deve partecipare per vendere delle tavole e destinare il ricavato al collega Magnus, malato di cancro. Ottiene le informazioni di cui ha bisogno ed esce dal bar. Ma il destino è in agguato. Una Citroën CX Pallas lo colpisce, causandone la morte. L’evento, di per sé tragico, lo è ancor di più se si pensa che l’uomo investito è Bonvi, uno dei più grandi talenti del fumetto italiano di ogni tempo.

Una storia conclusa precocemente, quella di un fumettista anarchico e geniale, che era stato in grado di rivoluzionare gli albi del Belpaese. Un’impresa che lui aveva portato avanti a colpi di china e matita, aprendo la strada ad alcuni grandi nomi del nostro fumetto. Da Silver a Leo Ortolani, tanti fumettisti devono qualcosa al Bonvi. E la nona arte italiana sarebbe stata molto diversa senza il suo apporto. Di certo più triste.

Quando si parla di Bonvi non ci si dovrebbe limitare al fumetto. Diede il suo contributo anche al cinema, alla televisione, persino al modo di fare pubblicità. Ma senza dubbio è tra le vignette e i balloons che l’artista modenese riuscì a dare la sua impronta maggiore. Per questo, a venticinque anni da quella tragica notte, vogliamo ricordare quel genio, scomodo, che rappresentò per il fumetto ciò che Pasolini fu per la letteratura. Ma con uno stile tutto suo: istrionico, vulcanico, ribelle e divertente. Dotato di quel senso dell’umorismo esasperante, capace di far amare un autore e far uscire dai gangheri parecchie persone.

bonvi fumetto

Boom!

Il modo migliore per comprendere Bonvi e il suo fumetto è cercare di capire il contesto in cui si formò l’autore. Nato nel 1941, nel bel mezzo della guerra, il giovane Franco iniziò a creare i suoi primi fumetti collaborando con l’amico di gioventù Francesco Guccini, per la rivista Zero con Lode. Sono gli anni ’60, gli anni di un’Italia che viene trasformata dal boom economico. Un periodo in cui anche i costumi iniziano a cambiare e dove le persone tornano a sognare un futuro migliore, gettando via la cappa del totalitarismo e della guerra. Una bella illusione, destinata a spezzarsi in meno di un decennio.

Ma sono anche gli anni in cui l’Italia vive un conformismo tutto suo. Il periodo in cui due autrici di fumetti come le sorelle Giussani, creatrici di Diabolik, possono finire alla sbarra solo per aver distribuito albi del proprio fumetto ai ragazzi delle scuole medie, o essere accusate di oltraggio al pudore per aver mostrato una coppia (sposata!) condividere un letto matrimoniale. Ed è in quegli anni che Franco Bonvicini diverrà Bonvi. Nel 1965, dopo qualche anno di militanza nello studio di Guido De Maria, l’autore realizzerà i suoi primi personaggi di successo, Capitan Posapiano e Cattivik.

Proprio il secondo mostra tutta l’ingegnosità e il carisma del suo autore. Nato come esplicita parodia del personaggio delle Giussani, il piccolo criminale con la calzamaglia nera si distingue subito nel mare magnum degli epigoni di Diabolik. Cattivik è sporco, brutto e cattivo, ma è anche un personaggio contro il sistema, contro il perbenismo e la piccola borghesia che sta spaccando la società, specchio di un’Italia sempre più a doppio binario.

A colpire non furono solo le tematiche e le storie, ma anche il pubblico a cui esse erano indirizzate: Cattivik parlava ai ragazzi, diceva loro di prepararsi a quella che sarebbe stato l’ingresso nella società civile. E, per farlo, la raccontava dal punto di vista di chi, quella società, non la trovava poi così civile. Bonvi successivamente “regalò” il personaggio a Silver, suo allievo nello studio Playcomics, ma l’impronta rimase. Cattivik era un fumetto proletario, divertente ma a modo suo impegnato. E non era che l’inizio.

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Bang!

Che il 1968 sia stato un anno di svolta sotto molti aspetti è innegabile. Per la prima volta un’intera generazione scese in piazza per chiedere unita un cambiamento. La scuola, il mondo del lavoro, la società volevano un futuro migliore per tutti. E anche il fumetto in Italia accolse questo fervore, trovando in Bonvi un suo rappresentante. Proprio al Lucca Comics del 1968 Franco Bonvicini presentò l’opera che ne avrebbe immortalato il genio, facendone il rappresentate del fumetto satirico italiano.  Il 1968 fu l’anno delle Sturmtruppen.

Tutto sarebbe nato durante una cena con De Maria: seduti a mangiare gnocco fritto, i due avrebbero continuato per tutto il pasto a rispondersi “danke” e “bitte”. Da quella conversazione, svoltasi tutta in “tedeschese”, il Bonvi sarebbe stato folgorato, trovando l’ispirazione per la prima di molte vignette delle sue Sturmtruppen.

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I soldatini nelle trincee della Seconda Guerra Mondiale furono un sasso lanciato in uno specchio d’acqua, che forse cheta non era (siamo nel 1968!), ma poteva comunque essere scossa un altro poco. Per anni Bonvi sostenne di averli scelti come soggetto del proprio fumetto per un motivo: non era in grado di disegnare le scarpe. Per tutta la sua carriera l’autore non farà altro che scherzare e mettere alla berlina il proprio talento. E la sua (vera o presunta) incapacità di realizzare delle scarpe ne è un esempio, come ricorda Franco Raffaelli parlando di una sua intervista (inedita) a Paese Sera. Sosteneva di avere una creatività tale da far passare in secondo piano i suoi disegni.

Ma per capire al meglio Franz, Otto, il Sergenten e l’eroiken alleaten Galeazzo Musolesi bisogna ricordare cosa fosse il 1968. Da un lato la società si stava ribellando contro gli ultimi rimasugli istituzionali del regime fascista. Appena otto anni prima c’erano stati gli eventi del 30 Giugno a Genova. Le scuole e le fabbriche erano costantemente occupati, gli atenei sognavano la rivoluzione. Nell’istruzione, nella politica e nel lavoro, troppi aspetti della vita civile ricordavano ancora agli italiani quel periodo. E ironizzare su quegli anni, sul militarismo insensato a cui era stata costretta l’Italia, era una medicina come un’altra per guarire dagli strascichi del ventennio.

Per contro lo spettro della Seconda Guerra Mondiale era ancora vivo. Molti dei sopravvissuti della Resistenza e dell’esercito all’epoca erano ancora giovani e potevano raccontare cosa fosse stata l’esperienza patita al fronte e in montagna. Si poteva davvero ironizzare su questi eventi? Per Bonvi sì, anzi: il fumetto doveva ironizzare su quegli eventi. Ridurre in farsa la vita militare di quel periodo.

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Sturmtruppen nasce come un racconto popolare sulla stupidità della guerra. E su come la vita venisse privata di ogni logica al fronte, sconvolgendo i valori umani. Non c’è spazio per la civiltà in battaglia: e questo le Sturmtruppen lo sapevano bene. Così come lo sapevano e lo sanno, oggi come allora, i loro lettori. Bonvi non abbandonò mai i suoi soldatini. Fino al momento della sua morte, le Sturptruppen furono uno dei suoi prodotti preferiti, quello in cui è più facile vedere l’evoluzione del suo stile e la potenza della sua satira.

Il mondo delle Sturmtruppen è un mondo privo di logica. Un mondo dove un soldato può non ricevere il cambio per trent’anni e convincersi che il Kaiser sia ancora al potere, o un fantaccino può impazzire al punto di credersi un aereo da caccia. È quella realtà dove un sergente può spadroneggiare sulla truppe al punto da causarne la morte o dove il fiero alleato può trovarsi con la camicia nera sbiancata (sottile riferimento alla politica del tempo).

Tutto è folle e insensato quando si è al fronte tra gli Otto e i Fritz. Ma niente è casuale. Ogni evento nelle trincee è un riferimento alla realtà. Dai ratti organizzati militarmente (con tanto di slogan del ventennio) agli esperimenti nucleari degli scienziati del Reich. La realtà delle Sturmtruppen è quella che vivono gli italiani giorno dopo giorno, solo un passata nello specchio deformante della vita militare.

Un sentimento che ritornerà anche dieci anni più tardi, in L’uomo di Tsushima, dove Bonvi (il quale dona le proprie fattezze al protagonista, lo scrittore Jack London) ci racconta della disfatta della flotta dello Zar nella Guerra Russo-Giapponese nel 1904-05. Qui Bonvi dà prova della sua capacità di narratore, raccontandoci la guerra nella sua versione più cruda e spietata. Niente viene edulcorato e il racconto ci mostra l’insofferenza dei soldati verso una catena di comando insensata, avulsa dalla realtà. Una delle prove migliori del Bonvi.

GULP!

Un altro grande retaggio di Bonvi è il ruolo giocato nella diffusione del fumetto italiano. Con la collaborazione di Guido De Maria, sotto al quale Franco iniziò la carriera di disegnatore nello studio Vimder, venne realizzato nel 1972 GULP! – Fumetti in TV. Il programma nasceva come una sorta di vetrina per alcuni dei principali fumetti italiani dell’epoca, animati e raccontati quel tanto che bastava per dare loro posto su uno schermo. Per questo programma Bonvi realizzò uno dei suoi personaggi più famosi e amati, l’investigatore Nick Carter. GULP! ebbe vita breve e chiuse i battenti dopo una sola edizione, ma ebbe modo di tornare cinque anni più tardi col nuovo titolo SuperGulp!, ottenendo un successo strepitoso.

Cosa era cambiato? Forse nel 1977 si aprivano nuove possibilità televisive: Carosello, amata icona dell’intrattenimento italiano, aveva appena chiuso. Serviva qualcosa quindi che colorasse di nuovo le serate degli italiani. E cosa c’è di meglio dei fumetti? E ancora una volta Nick Carter prese posto nello spettacolo, imponendosi rapidamente come suo volto.

SuperGulp! può tranquillamente essere considerato un programma periodizzante, capace di scandire quell’ultimo scorcio di anni Settanta e il trapasso agli Ottanta. La sua chiusura in effetti avvenne proprio per l’arrivo e il crescente successo degli anime, la cui popolarità avrebbe caratterizzato quel nuovo decennio. Ma, prima che ciò avvenisse, alcuni dei migliori fumetti italiani e della bande dessinée trovarono un importante palcoscenico in SuperGulp!.

TinTin, Corto Maltese, Lupo Alberto, Tex, Alan Ford per citarne solo alcuni, a cui si aggiunsero presto anche i fumetti Marvel, con tanto di intervista esclusiva a Stan Lee trasmessa nel programma. Con SuperGulp! De Maria, Giancarlo Governi e Bonvi diedero lustro e popolarità al fumetto italiano, come mai era successo prima di allora. L’impronta tuttavia fu sempre la stessa, quella che da sempre aveva condizionato la carriera di Bonvi: un fumetto pensato per tutti, una forma d’arte che entrava nelle case degli italiani e dava loro momenti di gioia e divertimento.

Nel mentre Bonvi non abbandonò mai i suoi fumetti, continuando a pubblicare le sue Sturmtruppen e molti altri personaggi bizzarri e magnifici, come Milo Marat e Marzolino Tarantola, contribuendo alla stesura dei testi per il giornalino dei suoi soldati. In quegli stessi anni Bonvi realizzò anche il suo fumetto più crudele, quello che destò maggiore scandalo in Italia, tanto da essere censurato: le Cronache del Dopobomba.

Le Cronache di Bonvi ci proiettano in un futuro post-apocalittico dove l’umanità sopravvive tra le macerie, fisiche e morali. La società è scomparsa e gli esseri umani non riescono a capire più quali siano i valori che hanno reso grande la civiltà occidentale. Per contro, tutti i vizi che ne hanno portato al declino, sono ancora presenti. Un mondo dove essere brutti, sporchi e cattivi, tanto fuori quanto dentro, vuol dire essere normali. E dove la bontà, la solidarietà e la bellezza, che in passato hanno ispirato gli umani, sono invece qualcosa da condannare. Attuale per il 2020, fin troppo in anticipo sui tempi per il 1973.

E proprio questa opera, così scomoda per la società, ci fa sorgere un’idea: sarebbe stato bello vedere il pensiero del Bonvi trasposto su fumetto in questi anni. Vedere il suo sguardo pungente sulla politica nazionale e internazionale in questo periodo di profonda crisi e cambiamento. Una realtà che, purtroppo, appartiene solo al mondo dell’immaginazione.

Rubando le parole al suo amico di sempre, Francesco Guccini, a noi piace pensarlo ancora dietro al tavolo da disegno. Intento a creare un nuovo personaggio o a sceneggiare una nuova striscia. Ma di certo il ricordo di Bonvi e la sua opera vivono ancora adesso, in tutti gli autori che contribuisco ad alimentare il nostro fumetto e a dargli quell’impronta satirica e di denuncia che lo contraddistingue. In quanti sanno ironizzare e mettere alla berlina il nostro 2020 come lui fece con il suo tempo.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.