Le mille sfumature di un open world

Opera prima dello studio Prideful Sloth, Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, si presenta al pubblico come un bucolico e coloratissimo open-world dai toni leggeri e spensierati. Perché sì, anche se è vero che il nostro ruolo sarà quello di salvare le lande di Gemea da un pericoloso “nemico” denominato Miasma, è altresì vero che la componente action è completamente assente: nessun combattimento, nessuna morte, nessun pericolo e/o violenza di qualche genere; tutto ciò che potremo e dovremo fare sarà esplorare questa incantevole terra, cercare risorse, costruire, creare, e aiutare gli abitanti di Gemea in difficoltà. Da questo si ricava che la main quest, al di là del concept “pacifista”, si risolve in una narrazione veramente essenziale e di fattura tutt’altro che elaborata, e che il vero fulcro del gameplay troverà spazio e compiutezza proprio nelle numerose missioni secondarie e nelle azioni di contorno (come la sopracitata possibilità di recuperare risorse sparse in giro, oppure di creare vere e proprie strutture e oggetti attraverso un semplice sistema di crafting) che potremo compiere per raggiungere e completare gli obiettivi che ci verranno posti di fronte. Yonder sembra, infatti, una sorta di ibrido color pastello fra Stardew Valley e Dragon Quest Builders, mescolando ispirazioni, idee e meccaniche di entrambi ma sotto una veste semplificata e adatta a un pubblico più smaliziato e disteso.

Un magico mondo da esplorare

Proprio per questo il titolo non stresserà mai il videogiocatore imponendo una routine di doveri e azioni da compiere insistentemente o una difficoltà eccessiva, anzi, lo stesso sarà sempre lasciato libero di esplorare ogni centimetro di Gemea alla ricerca di folletti da salvare e poter così liberare le diverse regioni dalla minaccia del Miasma. Spinti dalla curiosità, ci troveremo a girovagare senza una meta in piena estasi esplorativa e colmi di una strana ma piacevole serenità “naturale” ci armonizzeremo con il placido ritmo della natura circostante. Fra un passaggio da ricostruire, una fattoria da tirare su, recuperare alcuni chiodi per questo o quel NPC, ci troveremo a fluttuare in questa esperienza così lontana dai ritmi cui la maggioranza delle altre produzioni videoludiche ci ha troppo spesso abituato. Con le giornate scandite da un efficace (in termini artistici, un po’ meno in quelli più puramente ludici) sistema giorno/notte e da condizioni climatiche variabili, fra una side-quest e un’altra, potremo pescare oppure, perché no, entrare in una delle varie Gilde presenti (dai Cuochi ai Sarti, tanto per citarne due) e poter avere accesso a nuove formule per costruire nuovi oggetti utili alla nostra avventura.

Purtroppo, dopo una decina di ore immersi nel verde dei prati, il male oscuro delle fetch quest e i limiti di un gameplay elementare e un po’ grezzo busseranno alla porta: l’iniziale entusiasmo legato alla scoperta di nuove location e di nuove creature che abitano i diversi luoghi (caratterizzati da biomi differenti), crollerà sotto il peso di una ripetitività eccessiva e di alcuni problemi riguardanti la gestione dell’inventario (troppo piccolo), nonché il sistema economico del gioco (basato sul baratto ma che esclude gli oggetti da noi costruiti). La conseguenza sarà l’esplosione della bolla magica in cui eravamo confinati fino a quel momento, dove la leggerezza contemplativa che ci stava cullando lascerà il posto alla noia e alla monotonia. Tutto questo, bisogna dirlo, nonostante la volontà da parte degli sviluppatori di tenere il giocatore sempre occupato con qualcosa da fare o con qualche luogo segreto da raggiungere.

Un magico mondo da ammirare

A dispetto di una soundtrack non proprio indimenticabile, la quale tradisce valori produttivi non altissimi, il lato artistico (fatta eccezione per il character design dei personaggi) è sicuramente il fiore all’occhiello di Yonder e per questo saranno numerosi i momenti in cui ci fermeremo ad ammirare gli scorci e i paesaggi che il titolo è capace di regalare. Una morbidezza con colori così pieni e una luce così calda ed appagante non potranno far altro che far gioire i nostri occhi anche a dispetto di un comparto tecnico con alcuni piccoli problemi. Ad esempio (almeno sulla versione PS4 da noi testata), texture non definitissime e qualche compenetrazione poligonale di troppo.

Verdetto:

Yonder è sicuramente un gioco di carattere: la decisione di voler rifuggire meccaniche collaudate, quasi scontate, per offrire un’esperienza più riflessiva e meno frenetica basata sul crafting e sull’esplorazione, denota sicuramente coraggio e volontà di rischiare pur di restar fedeli alla propria idea iniziale. Peccato che il risultato complessivo non sia all’altezza delle premesse iniziali: il valore esperienziale ed emotivo è indiscutibile, ma i problemi presenti non possono essere accantonati e ciò che rimane è un prodotto germinale che non è riuscito a trovare una forma compiuta che gli permetta di esprimersi al meglio. La semplicità (spesso problematica) di determinate meccaniche e la ripetitività di fondo impediscono a Yonder di spiccare il volo, ma sotto queste polverose imperfezioni si scorge una creatività e forse una buona dose di talento che meritano senz’altro una possibilità.