La mattina seguente apparve il tentacolo.

Non apparve subito per intero e Steve non capì subito che si trattava di un tentacolo, ma adesso era lì, con le sembianze di un brufolo appuntito e incrostato al centro della fronte. Un brufolo dolente e bruciante, e fu proprio quel dolore misto a prurito e bruciore a strapparlo dal sonno, la mattina seguente.

Aprì gli occhi e si portò subito una mano sulla fronte, alla ricerca della sorgente di quel fastidio innovativo. Non ripensò alla sera precedente, al video e agli strani rumori che aveva sentito giù per la strada. Per qualche minuto pensò soltanto al dolore e, quando le sue dita si arrampicarono timidamente lungo le pendici della piccola montagna cutanea, capì che era meglio alzarsi.

Corse subito fuori dalla sua piccola e confusionaria stanza da letto, il suo rifugio buio sommerso dalle cianfrusaglie senza tempo e senza prezzo che aveva raccolto in anni e anni di pallida esistenza, entrò nel bagno scarsamente illuminato che condivideva con un numero variabile di coinquilini e chiuse la porta a chiave. Senza perdere altro tempo, raggiunse lo specchio e ispezionò la sua faccia dall’aspetto solitamente senza sorprese. Solo che, quella mattina, la sorpresa c’era.

«Che cazzo è?»

Sembrava un brufolo. Un brufolo grosso con un cuore nero e appuntito, come non gli era mai capitato. L’età delle eruzioni adolescenziali era passata da un pezzo, e lui non aveva mai sofferto in modo significativo di acne. Fino a quella mattina.

La mattina seguente.

La mattina dopo il video e gli strani rumori sulla strada.

Pensò che un po’ di acqua fresca non gli avrebbe fatto male. Si lavò il viso, badando a non toccare il corno con le dita. Aggiunse del sapone e si promise di comprare un unguento appropriato, se quella formazione non si fosse sgonfiata entro un giorno.

«Fa proprio schifo», si disse asciugandosi la faccia.

Il tocco dell’asciugamano lo fece urlare, tanto intenso fu il dolore che scatenò sulla fronte. Era meglio non toccarlo.

Dovrei andare da un dottore?

Aspettiamo.

Bussarono alla porta.

«Sei tu, Steve?», chiese la voce di Frank dal corridoio. Frank, il coinquilino mezzo umano e mezzo erba.

Se anche Frank si preoccupa per te, significa che è grave.

«Sono io!»

«Tutto bene?»

«Sì.»

Non ci furono altri scambi di battute, e Steve ascoltò i passi lenti e dubbiosi del suo coinquilino allontanarsi lungo il corridoio. Doveva aver sentito il suo grido. Eppure non credeva di aver urlato così forte.

Si regalò un ultimo sguardo allo specchio per prendere atto dei dati di fatto incontrovertibili: era ancora Steve, aveva ancora trentadue anni ed era ancora uno studente universitario fuori corso. Aveva visto quel video, la notte prima, e aveva sentito quei rumori sulla strada. Robb non aveva risposto alle sue ripetute telefonate. Si era svegliato con un dolore bruciante sulla fronte, causato apparentemente da quello che sembrava essere un brufolo gigante, rosso ai lati e nero al centro (tale cuore nero appariva solido come la pietra, ma era impossibile toccarlo senza un dolore lancinante).

Questo era lo stato di cose.

Non era ancora possibile capire che si trattasse del tentacolo.

Uscì dal bagno soltanto dopo essersi assicurato di non sentire alcun rumore sul corridoio: nessuno doveva vedere la cosa che aveva sulla fronte, sarebbe stato solo un inutile ritardo. Doveva ritornare nella stanza perché c’erano ancora diverse cose da fare: adesso che la sua mente si era liberata dalla nebbia mattutina e che la preoccupazione per il dolore brufoloso si era acquietata (ma ancora faceva male), Steve sapeva di dover risolvere una volta e per tutte la questione del video.

Era stato Robb a parlargliene. Aveva scoperto quel file quasi per sbaglio (si dice così, ma è possibile che sia solo uno sbaglio?) e non ci aveva creduto: doveva trattarsi di un errore. E invece no. Per quanto fosse incredibile, Robb era davvero riuscito a scaricare l’episodio inedito della loro serie TV preferita, un episodio annunciato che sarebbe stato trasmesso solo tra due settimane, l’episodio che tutti aspettavano.

E invece Robb ce l’ha fatta.

Steve non aveva chiesto troppi dettagli a proposito, quando il suo amico gli aveva comunicato la sua scoperta. Si era lasciato convincere dalle parole emozionate e dalla voce tremolante di Robb – tremava di paura? Adesso Steve se lo chiedeva – e gli aveva creduto: era veramente riuscito a mettere le mani su un elemento proibito.

E l’hai salvato?

Certo che l’ho salvato, che credi?!

Fallo vedere anche a me.

Nessun altro deve vederlo, Steve. Neanche Sandra.

Neanche Sandra. No, Steve non l’avrebbe mostrato alla sua ragazza, nonostante anche lei apprezzasse quello show che tutti seguivano nel mondo. Se Robb gli aveva detto la verità, se davvero erano in possesso di uno spoiler mondiale, bisognava agire con cura.

Secondo me è un errore, Robb. Sei solo un pivello, come puoi credere che…

Guardalo, Steve. Guarda il video e capirai.

E con quell’imperativo sudato (sì, sembrava sudato dalla voce), le comunicazioni si erano interrotte. Robb aveva condiviso il file col suo amico e poi era sparito del tutto. Non aveva risposto alle telefonate successive.

«Cristo, mi fa un male cane questa schifezza!», sbottò Steve rientrando nella stanza.

Corse subito ad accendere il computer e rimase in attesa. Per il momento preferì non connettersi a internet col cellulare, sicuro che Sandra gli avrebbe scaricato addosso una ventina di messaggi. Con calma. Le avrebbe detto di essersi addormentato tardi e svegliato ancora più tardi.

Prima doveva riuscire a cancellare il file di quel video. Doveva fare quello che la notte prima non era riuscito a fare.

«Forza! Forza! Caricati!»

Ma poteva telefonare a Robb. Provarci, perlomeno. Robb gli doveva una spiegazione.

Steve, ma perché ti agiti così tanto?!

Era solo uno scherzo idiota! E dai, siamo amici, no?

Uno scherzo tra amici, nessuno si è fatto male.

Uno scherzo. Ci aveva pensato parecchio: una parola. Uno scherzo, fine dei giochi. Ma non riusciva ad accettarlo.

È per via dei rumori per strada? Andiamo, Steve, era notte fonda, chiunque avrebbe potuto fare quei rumori…

Non c’è nessun mostro. Non c’è nessun tentacolo.

Era solo un video.

Il computer finì il suo caricamento ma la schermata del desktop non apparve. Era nera come la notte prima. Nera e impallata.

«Un cazzo di virus», gridò Steve, dando un calcio alla sedia davanti alla scrivania.

C’era puzza, lì dentro, puzza di buio e fumo. Aprì la finestra e si sentì subito meglio quando la luce del sole riempì la stanza.

Doveva chiamare Robb.

Scherzo o no, quel figlio di puttanella gli aveva spedito un virus schifoso insieme al file del presunto episodio. Che non esisteva. Non c’era alcun episodio inedito, in quel video maledetto. C’era solo il suono.

Era una voce?

E poi il mostro.

Non c’è alcun mostro. Nessun tentacolo.

Robb non rispondeva. Non era raggiungibile. Con ogni probabilità aveva lasciato il telefono spento, e non poteva trattarsi di un caso. Il telefono era spento perché Robb sapeva che lui lo avrebbe chiamato. Sapeva cosa gli sarebbe successo.

«Lo ammazzo», decise Steve, muovendosi verso il letto dove aveva accatastato alcuni vestiti. «Vado a casa sua e lo ammazzo e…»

Smise di parlare all’istante non appena il su occhio catturò parte della sua immagine specchiata sul riflesso della fotografia appesa al muro. Steve non aveva specchi in camera.

«Gesù…»

Si avvicinò lentamente alla fotografia. Ritraeva lui e Sandra, insieme, abbracciati, seduti sul muretto di un lungomare. Ricordo mai vissuto di un’estate stupenda.

La mano gli tremava mentre la sollevava per toccare quella cosa che aveva in fronte. Quella cosa che adesso era lunga più di cinque centimetri. E si muoveva lentamente nell’aria, come se cercasse qualcosa.

Il tentacolo.

Il grido raggiunse tutte le stanze della casa. Il contatto con la cosa che gli si muoveva dalla fronte gli causò un’irritazione istantanea, come se un acido gli si versasse sulle dita.

Acido.

«Che cazzo è questa merda?!»

Non avrebbe dovuto gridare. Troppo tardi. Frank lo aveva sentito e in pochi minuti sarebbe andato da lui.

Devo chiamare Robb.

Perché Robb avrebbe dovuto sapere qualcosa di quella merda? E come faceva a essere certo che il video c’entrasse qualcosa?

Era il mostro. Aveva il tentacolo.

«Oddio, oddio», ripeteva Steve con voce piagnucolante mentre il tentacolo nella sua fronte ondeggiava davanti ai suoi occhi. Si era abituato al prurito e al dolore, ma sapeva di non poterlo toccare.

Si mosse senza meta nella stanza finché non vide le forbici sonnecchianti sulla scrivania.

Lo taglio.

Bussarono.

«Steve, stai bene?», chiese la voce intontita di Frank. «Hai bisogno di un dottore?»

«Sto bene, Frank! Ho solo sbattuto un piede!»

Un urlo esagerato per un semplice urto.

Aveva bisogno che Frank se ne andasse per poter uscire dalla stanza e tornare in bagno. Lì, davanti allo specchio, avrebbe tagliato quella cosa scodinzolante con un colpo secco.

Riprese in mano il telefono e provò a chiamare Robb ma, proprio un istante prima di inoltrare la chiamata, Sandra iniziò a squillare.

«Cazzo! Non adesso, no!»

«Steve, tutto OK?»

«Vattene!»

Il tentacolo era cresciuto ancora. Quanto poteva essere lungo, adesso? Dieci, quindici centimetri?

Sta crescendo ancora.

Non poteva perdere altro tempo. Aprì la porta e si sparò a tutta velocità nel bagno, spingendo con violenza l’uscio socchiuso.

«Ma che cazzo…?»

Frank era in piedi a pisciare. Si girò verso di lui e la sua bocca rimase aperta. Incapace di emettere alcun suono.

«Vattene, Frank», gli disse Steve.

Frank si rimise l’uccello nelle mutande e uscì dal bagno, tenendosi ben stretto alla parete e cercando di evitare ogni contatto con Steve. Steve e la cosa che gli danzava sulla fronte.

«Devo fumare di meno», disse a bassa voce quando fu sul corridoio. «Un pisolino e meno erba.»

Forse sarebbe stato capace di convincerlo che era stato solo uno scherzo. Ma adesso doveva cercare di effettuare quell’operazione.

«Oh mio Dio, che schifo…»

Sentiva le lacrime otturargli il cervello ma non doveva agitarsi. Il tentacolo era spesso, con un diametro di circa tre centimetri alla base, e poi sempre più sottile. Aveva un colore rosso acceso, sembrava pieno di sangue.

O di acido.

«Sta’ fermo…»

Il primo colpo di forbici andò a vuoto. Il tentacolo riuscì a muoversi velocemente e a sfuggire al chiudersi delle cesoie. Non poteva toccarlo. Sembrava dotato di una propria intelligenza.

«Vaffanculo!», gridò, lanciandosi in un secondo tentativo.

Ma questa volta il tentacolo si arrotolò attorno al suo polso, bloccandogli la presa. Steve gridò con tutta la forza che aveva nel petto.

La stretta stritolante di quell’entità mobile gli infiammava la pelle.

«Lasciami! Aiuto! Aiutatemi!»

Nessuno lo ascoltò.

Gridò senza prendere fiato finché la mano non si staccò dal polso. E cadde sul pavimento, con ancora le forbici tra le dita. La carne squagliata ribolliva. Squagliata.

Acido.

Dalla sua stanza il telefono ricominciò a squillare ma Steve non intendeva rispondere. Non poteva neanche rispondere, adesso che una delle sue mani giaceva sul pavimento del bagno, priva di vita.

Non doveva dimenticare di respirare. Un respiro dopo l’altro, inghiottire il dolore. Piano piano.

Un’ambulanza. Devo chiamare un’ambulanza.

Il tentacolo si era allungato ancora, raggiungendo quasi i cinquanta centimetri. Danzava nell’aria come una frusta rossa.

Lo sai perché Robb non ti risponde?

Lo sai perché sembrava impaurito, ieri sera?

Lui sapeva.

«Andiamo!», gridò Steve, barcollando verso l’uscita. Riuscì a rientrare nella sua stanza, dove aveva lasciato il telefonino. Una lucina blu gli diceva che avevano provato a chiamarlo.

Lo afferrò, deciso ad affidarsi all’ambulanza. Ma la sua attenzione vacillò.

Robb. Una chiamata persa.

Era stato lui a telefonargli. Dopo Sandra, era stato Robb. Doveva richiamarlo.

*          *          *

Quando Sandra giunse nell’appartamento che Steve condivideva con altri coinquilini, fu Frank ad aprirle la porta. Si conoscevano, non bene e non molto, ma abbastanza da sapere che lei era la ragazza di Steve e che lui era un tizio pieno di erba nel cervello. Le basi.

«Tutto bene, Sandra?», le chiese Frank ancora mezzo addormentato dopo il suo pisolino.

L’aveva fatta entrare. E probabilmente andava fiero del fatto di essersi ricordato il suo nome.

Ma la risposta era no. Non andava tutto bene.

«Hai notizie di Steve?», gli domandò diretta. «Non risponde a messaggi e telefonate, per questo sono venuta.»

Frank la guardò sospettoso. C’era qualcosa che non andava: Steve aveva avuto dei problemi, quel giorno? Non ricordava con precisione ma forse lo aveva sentito gridare.

Aveva sbattuto.

«N-non… Non l’ho visto», rispose. «L’ho sentito muoversi di sopra, perché non vai a vedere?»

Sandra annuì e, senza aggiungere altro, si allontanò da lui.

Frank tornò nel piccolo soggiorno e si distese di nuovo sul divano. Aveva voglia di farsi una fumata ma si era promesso di resistere, almeno per quella giornata.

Fu allora che il suo cellulare squillò.

Steve?

Perché cazzo mi chiama…?

«Steve?!»

«Ehi, Frank! Ho una notizia stratosferica! Volevo scaricare un film e non immaginerai mai che cosa ho beccato!»

«Steve, ma perché mi stai chiamando? Sandra è venuta qui, sta salendo di sopra da te.»

«Non ti interessa il video? Cazzo, Frank, credevo che seguissi anche tu la serie TV!»

«La seguo, la seguo ma…»

Sandra gridò nel silenzio in cui l’appartamento annegava ormai da ore. Frank si alzò di scatto ma poi non si mosse. Gli parve di sentire uno strano rumore di sopra. Un rumore sudato, appiccicoso.

«Vieni di sopra. Ho scaricato il prossimo episodio in anteprima. Vieni, ce lo guardiamo insieme. Io, tu. E Sandra, adesso.»