Il manga 17 anni racconta una tremenda pagina di cronaca nera giapponese

Ogni giorno siamo bombardati di notizie di cronaca nera e si potrebbe quasi dire che ne siamo ormai assuefatti, tanto da non rimanere più sconcertati dalla crudeltà di cui l’uomo può essere capace. Il tasso di criminalità in Giappone è diminuito drasticamente nel corso degli anni, nonostante la presenza costante della yakuza, e forse proprio per questo, quando avvengono casi come quello di cui parleremo in questo articolo, che la società li ricorda molto bene anche a distanza di parecchio tempo. È impossibile, quindi, nonostante tutto, non rimanere shockati venendo a conoscenza della storia di Junko Furuta, alla quale si ispira il manga 17 anni (o Seventeen) scritto da Seiji Fujii e disegnato da Yoji Kamata.

manga 17 anni

17 anni: quando gli aggressori sono coetanei della vittima

Nei quattro volumi dell’edizione Jpop viene trasposta in maniera edulcorata (ma comunque violenta) la vicenda reale di Junko Furuta, con alcune variazioni.

Gli avvenimenti ci vengono introdotti da uno dei ragazzi coinvolti, Hiroki, un “teppistello di mezza tacca” che si lascerà prendere la mano una volta ricevuta la protezione del senpai Miyamoto, conosciuto in tutto il quartiere per la sua brutta fama, pur avendo solo 18 anni. Hiroki comincerà a capire in cosa si sia cacciato solamente quando Miyamoto lo coinvolgerà, col resto del gruppo di piccoli delinquenti, tutti coetanei, in un affare molto più grave di qualche rissa: una sera, la banda decide di sequestrare una ragazza, facendolo sembrare un abbordaggio, e la povera malcapitata è una liceale di nome Sachiko. Questa verrà portata dapprima in una fabbrica, dove cercherà di nascondersi per sfuggire agli aggressori, e sarà Hiroki, seppur internamente combattuto, a scovarla e darla in pasto ai compagni. Il gruppo si trasferisce quindi a casa di uno di loro, dove Sachiko verrà tenuta prigioniera per diversi giorni.

Da qui in poi assisteremo alle torture perpetrate su di lei, rappresentate piuttosto chiaramente: la povera ragazza viene infatti stuprata, affamata e picchiata pesantemente. Il suo unico tentativo di fuga, poi, non fa che peggiorare le cose: Miyamoto le versa addosso liquido infiammabile e le dà fuoco, provocandole ustioni sulla gamba, così che non possa più scappare, per poi invitare anche altri miserabili come loro ad abusare di lei. In tutto questo, Hiroki vive il proprio dissidio interiore, perdendo ogni possibilità che gli si para davanti di poterla aiutare, terrorizzato all’idea di ribellarsi al vendicativo Miyamoto.

La scomparsa di Sachiko viene denunciata dalla famiglia e in particolare la sorella gemella Miki si prodiga nella sua ricerca, non convinta degli sforzi della polizia. Comincia quindi un doppio filo narrativo, che seguirà le due gemelle e lo sviluppo del caso fino alla sua conclusione, in questo caso tutto sommato positiva per Sachiko e la sua famiglia.

Una tragedia immotivata e, almeno in parte, evitabile

Possiamo dire che il manga 17 anni sia solo ispirato alla vicenda di Junko Furuta, che fu molto, molto più cruenta. Non riporteremo in questa sede tutti i dettagli, facilmente reperibili su Wikipedia (la pagina inglese è quella più completa), ma potrete rendevi conto subito di quanto 17 anni sia più edulcorato rispetto alle vessazioni subite dalla vera vittima: oltre allo stupro, delle vere e proprie torture fisiche che andavano al di là delle botte e del non concederle nemmeno di nutrirsi, compiute per 40 giorni di fila.

Tuttavia, sono due gli aspetti in comune con gli eventi accaduti. Innanzitutto, il processo ai colpevoli. Il primo accusato ricevette una sentenza di vent’anni, la più alta in Giappone dopo l’ergastolo. La sua controparte cartacea, Miyamoto, se la cava più o meno alla stessa maniera, sfuggendo alla pena di morte, con sua grande soddisfazione. Lo stesso avviene per i suoi compagni, pur ricevendo condanne minori. L’opinione pubblica, ovviamente, fu indignata per queste pene tutto sommato leggere rispetto alle loro azioni, così tremende da aver fatto svenire un ascoltatore in tribunale e costretto la madre di Junko a seguire una terapia psichiatrica intensiva.

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E, come se non ci fosse abbastanza carne al fuoco, fu shockante scoprire che diverse persone sapevano o avevano sospetti ma non hanno mai parlato o fatto qualcosa di concreto. Anche nel manga, i genitori di un membro della banda vengono sottomessi dal figlio in maniera violenta anche per via delle connessioni con la yakuza dei ragazzi, sottolineando così anche uno dei problemi che affliggevano il Giappone degli anni ’80/’90 ovvero le gang criminali di giovani ragazzi, spesso sbattuti fuori dalla scuola e, appunto, in contatto con le organizzazioni mafiose nonostante molti fossero minorenni. Dettaglio che, purtroppo, ha contribuito all’assegnazione di una pena insoddisfacente.

17 anni: un manga per ricordare

Le atrocità perpetrate da questo gruppo di delinquenti non potranno mai essere cancellate, specialmente considerando che ora sono in piena libertà, in mezzo alla società che li avrebbe voluti condannati a morte per i loro reati. Cosa può aver spinto quei ragazzi a compiere azioni così atroci non lo sapremo mai. Anche il manga 17 anni, che pure ha un lieto fine, lascia intendere che la memoria rimane e difficilmente i coinvolti si pentiranno. Miyamoto, in particolare, riesce a rendere bene l’idea di quanto fossero senza scrupoli lui e i suoi compagni, perfettamente consci di ciò a cui avrebbero potuto andare incontro se scoperti e senza ombre di rimorso.

Nonostante siano stati eliminati molti dei dettagli più truculenti, 17 anni riesce a far breccia nell’animo del lettore, creando un senso di inquietudine difficile da togliersi di dosso. Quelle poche ma comunque rilevanti scene di violenza sono sufficientemente esplicite da far sentire un groppo in gola come quello provato da Hiroki, il personaggio più pentito e umano, che tuttavia non ha saputo vincere la propria vigliaccheria, rifugiandosi dietro un istinto di sopravvivenza meschino ai danni di un innocente. Innocente che, purtroppo, non è stata salvata in tempo anche a causa dell’omertà che spesso prevale in una società in cui si preferisce stare soli e non cacciarsi nei guai.

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Anche così, la storia riportata dal manga fa presa nelle menti di chi scopre questo caso per la prima volta, dando risalto col suo stile seinen ad una delle pagine più nere del Giappone contemporaneo, nella quale paura, sottomissione e violenza non vengono risparmiate né a chi è coinvolto nella storia, perché ormai tenuto sotto controllo, né al lettore, che invece rimarrà quantomeno scosso dalla disumanità e dalla codardia di cui questi giovani sono stati capaci nei confronti di una coetanea.

Alessia Trombini
Torinese, classe '94, vive dal 2014 a Treviso e si è laureata all'università Ca' Foscari di Venezia in lingua e cultura giapponese, con la fatica e il sudore degni di un samurai. Entra in Stay Nerd nel luglio 2018 e dal 2019 è anche host del podcast di Stay Nerd "Japan Wildlife". Spende e spande nella sua fumetteria di fiducia ed è appassionata di giochi da tavolo, tra i quali non manca di provare anche quelli a tema Giappone.