Haters gonna hate

Il 2016 è bello che cominciato, e l’anno si prospetta esplosivo per la mole di videogiochi di spessore che investiranno il mercato la qual cosa, diciamocelo, non può che farmi felice. Siamo onesti: salvo qualche sporadico titolone lo scorso anno (e meno ancora il precedente), il 2016 è forse il primo in cui le grosse uscite si susseguono più o meno serratamente, dando adito a tutti gli amanti delle varie categorie videoludiche di aspettare qualcosa di intrigante. Ma si sa che io sono incontentabile e che c’ho il giramento di palle facile (a elicottero quasi) ed ecco che scorrendo la lista delle prossime uscite, e raggranellando in giro informazioni, mi sono reso conto di alcune situazioni che, potenzialmente, già mi irritano oltremodo. Largo allora a questa listuccia per veri hater, per chi si sveglia la mattina con il piede sbagliato, per chi si è vagamente stancato di essere preso per il culo. Questi sono i “7 giochi del 2016 che partono col piede sbagliato”.

The Division

Togliamoci subito un dente: io non sono più tanto convinto dei risultati che The Division potrà raggranellare nel medio/lungo termine. Alcuni colleghi che hanno avuto modo di giocarvi anticipatamente (parliamo sempre di test per la stampa, delle sorte di lan party visto le caratteristiche multiplayer del titolo) sono tornati entusiasti dai test di gioco ma la cosa per me significa poco, perché avevo sentito gli stessi strilli entusiastici per Destiny e sappiamo tutti quanto poi si sia dimostrato noioso da giocare sul lungo termine… ma forse sono gusti. In ogni caso, quello che attualmente mi convince poco è la fumosità che Ubisoft ha avuto nel comunicare ai giocatori quel che The Division effettivamente sarà. Intendiamoci: il gioco è sempre stato evidentemente nella hit parade dei pensieri di Ubisoft, ed è stato ampiamente discusso, pubblicizzato e promosso. Ma cosa sappiamo effettivamente del gioco? Un cazzo. Non sappiamo perché, ad esempio, il motore del gioco sembri così piatto rispetto a quanto visto nel 2013. Non sappiamo quanto sarà “consistente” la versione vanilla del gioco, non sappiamo se ci saranno microtransazioni (ma ci saranno, fidatevi) e non sappiamo nemmeno come diamine funzioneranno le dinamiche di gioco che non siano squisitamente sparacchine. Sapete a cosa penso quando leggo di The Division? Penso a Watch Dogs… e sappiamo tutti com’è andata a finire.

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No Man’s Sky

Sempre sulla scia del “ma che cazzo si farà in questo gioco” arriva un altro grande del videogame online, ossia quella macchina da hype made in Sony che è No Man’s Sky; e diamo merito a Sony di essere stata inizialmente molto abile nel promuovere il gioco grazie al meraviglioso concetto di “universo procedurale”. Che significa? Significa, in pratica, che il codice di No Man’s Sky genererà più o meno in modo continuato una serie di planetoidi dalle caratteristiche a random, inviandoci alla conquista di essi per… per… boh, non si è capito ancora che diavolo si dovrà fare su questi pianeti, né quale sia lo scopo del gioco in generale se non quello di gironzolare per le stelle. Questo non significa che No Man’s Sky non troverà la sua precisa fetta di mercato, del resto Star Citizen ha dalla sua utenti che hanno passato ore ed ore della beta SOLO in giro a cercare i più sperduti planetoidi… Ora forse sarò io, ma non posso fare a meno di pensare alla presentazione dell’E3 dello scorso anno in cui il creatore del gioco, Sean Murray, giocando in diretta sul palco, constatò da solo, e dinanzi ad un folto pubblico, che sul pianeta su cui era atterrato (un pianeta scelto a caso) non c’era un cazzo da fare. Mah.

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Star Citizen

E visto che lo abbiamo tirato in ballo, capirete come il discorso fatto per No Man’s Sky sia in parte sovrapponibile anche per Star Citizen. In parte per il semplice motivo che la premessa è qui agli antipodi e mentre per No Man’s Sky si è suggerito poco o niente, con Star Citizen è stato promesso una sorta di “gioco dei giochi”, un contenitore che partendo dal leit motiv spaziale sembra voler accontentare proprio tutti, da quelli che vogliono giocare da soli, a quelli che vogliono giocare in multiplayer, a quelli che vogliono esplorare, e così via. Se domani dovessero dirmi che Star Citizen conterrà anche dei minigame in stile Candy Crush, per come sono andate le cose nell’ultimo anno, francamente non mi sorprenderei. Ora, che cosa vi sto suggerendo? Vi sto suggerendo che nella mia idea, Star Citizen sembra imbastito per cercare di accontentare tutti, ma proprio tutti i giocatori e questa è stata una mossa doverosa per un titolo che doveva raggranellare milioni di dollari in crowdfunding. Come a dire: più giocatori tiriamo in ballo, maggiori sono le possibilità che ci diano i soldi. Ma posso essere onesto? In 25 anni che gioco ai videogame non ho trovato UN SOLO GIOCO che fosse in grado di mantenere una promessa simile, per il semplice motivo che è molto difficile che in uno sviluppo così complesso si riesca a dare la stessa attenzione a tutte le fette del gameplay. Non a caso, i pareri entusiastici che sono seguiti alla lettura di news e varie dicono molto poco dell’effettiva mescolanza di generi che il gioco sembra offrire ed il più dei pareri di chi lo ha giocato si limitano a sottolineare quanto sia bello esplorare lo spazio in cerca di pianeti. Stop, punto. Come potrebbero del resto dire qualcosa di diverso? Non bastasse il fatto che il gioco non è ancora uscito, la stessa Cloud Imperium Game non si è mai chiaramente espressa sulle singole componenti dell’esperienza. Sicché, al di là dell’enorme macchina macina denaro che il gioco è stato, io non ho percepito altro se non la volontà di certa gente di andarsene in giro con gli amici ad esplorare pianeti… non si sa bene a fare cosa e perché… ma è il bello di internet.

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Mirror’s Edge: Catalyst

Haters scatenatevi: “ma come?! Metti Mirror’s Edge 2 in questa lista?! MA SEI PAZZO?!”. Si ce lo metto Catalyst in questa lista, e se non condividete il punto allora forse, e dico forse, non avete colto appieno lo spirito del primo Mirror’s Edge (o più probabile non ci avete manco giocato). Mirror’s Edge è stato uno di quei master piece che hanno lasciato il segno, trasformandosi ben presto in un prodotto cult, Mirror’s Edge è il classico gioco che tutti hanno consigliato a tutti (quei consigli che dai per sentirti un “vero gamer”) e che poi a conti fatti non ha giocato o completato quasi nessuno. In un mercato che dava, e da, ampio spazio alle sparatorie in prima persona, Mirror’s Edge è stato il Rain Man di casa EA. Uno intelligente ed abile ma che nessuno capiva, e con cui si sono saputi approcciare solo i Tom Cruise di turno. Lo spirito di Mirror’s Edge, la sua spettacolarità, il suo carisma sono un qualcosa che difficilmente si può bissare e che in Catalyst sembrano perdere anche qualche colpo. Si sa poco o nulla del gioco, ma il fatto che si sia spostata l’attenzione dalla bellezza del free running all’azione (fate un confronto tra i trailer, vi prego) mi lascia presagire che ci sarà più azione in questo gioco. Che magari non è un male eh, come magari, per qualcuno, non è un male mettere un McDonalds in una galleria d’arte… ma perché?

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Hitman

La prima cosa che mi fa girare le palle riguardo ad Hitman (anche se, ovviamente, non è una cosa così fondamentale) sarà il fatto che la Collector’s Edition da quasi 200 sacchi sarà priva del gioco fisico e conterrà solo una copia digitale. Cioè ma quanto è becera sta cosa? QUANTO?! Ma vabè, calmiamoci e torniamo lucidi. Il problema di Hitman non è la sua Collector’s Edition (Square sul serio… ma va a cagare…) ma il fatto che il gioco sia diviso in episodi; e qui le scuole di pensiero diventano due. La prima è che la gestione ad episodi di Hitman potrebbe essere una scelta vincente in un gioco in cui, effettivamente, si sono sempre portate avanti delle missioni “chiuse” e molto definite. Si, c’era un filo che correva lungo la trama dei passati Hitman, e c’erano livelli ampi e approcciabili in molteplici modi, ma tutto questo, proprio per la mancanza di un sistema open world, si potrebbe tranquillamente sovrapporre alla futura struttura ad episodi di Hitman… premesso un prezzo decente e abbordabile. Poi c’è la seconda scuola di pensiero, quella che non si spiega del perché un gioco come Hitman (sempre apprezzato anche nelle sue iterazioni peggiori) debba essere trattato in questo modo, specialmente dopo che Square ha dimostrato, con un’altra IP Crystal Dynamics (Tomb Raider) non solo di saper rebootare in modo decente un brand considerato intoccabile, ma anche di saperlo fare maledettamente bene sotto tutti i punti di vista. A queste due scuole se ne aggiunge poi una terza, la mia, quella che ha il vaffanculo facile per ogni gioco ad episodi che poteva tranquillamente uscire in una botta sola.

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Star Fox Zero

Spiegarvi nel dettaglio perché non credo nel prossimo Star Fox Zero sarebbe fatica sprecata, non perché non meritiate spiegazioni, ma perché provatolo con mano lo scorso anno, ne trassi una lunga e dettagliata anteprima e dunque, il consiglio, è quello di andarvela a leggere per trarne le vostre conclusioni. Ma se siete pigri, potremmo dire in soldoni che il più grande difetto del gioco (escluso l’odioso Slappy Toad e la grafica ante guerra) è il suo sistema di controllo privo di senso. Nel tentativo di sfruttare dignitosamente il paddone del Wii U, Platinum Games e Nintendo AED hanno confezionato un sistema di controllo scomodo e insensato, che costringe di continuo il giocatore a guardare sia il paddone che la tv, con l’effetto di uno strano e superfluo strabismo videoludico. Star Fox Zero è scomodo e privo di idee sostanzialmente valide, il che è un calcio in culo considerando il fatto di essere uno dei pochissimi giochi Nintendo a non avere seguiti dagli anni della Game Cube

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The Last Guardian

Chi ha vissuto l’era PlayStation 2 con il fomento di strascico della prima PlayStation (che poi diciamocelo: PlayStation 2 è stato forse uno dei momenti più belli del videogame degli anni 2000) saprà bene cosa significa il nome di Team Ico. Ico e poi lo straordinario Shadow of the Colossus sono stati titoli unici, capaci di vivere nel nel paradossale dualismo dell’essere allo stesso tempo ermetici ma incredibilmente comunicativi. Si tratta non di giochi, ma di esperienze, in cui la componente ludica è una macchina precisa al servizio del giocatore e di quello che vorrà comprendere o meno della trama. Forse, giocando Ico, per la prima volta ho sentito avvicinarsi al concetto di videogame il concetto di “arte” e non solo per le splendide illustrazioni che facevano il verso ai quadri di De Chirico, ma per la levatura artistica dell’opera in sé, per il suo carattere, e per quello che poi hanno lasciato in me. Tutto chiaro, tutto bello… ecco perché Project Trico, meglio noto come The Last Guardian, mi ha esaltato subito. Il punto è che, ci crediate o meno, il primo annuncio di The Last Guardian corrisponde all’ormai lontano 2009. Parliamo di sei anni. Sei anni di rimandi, sei anni di annunci a mezza bocca, sei anni in cui non ci è stato propinato altro che le stesse 3 immagini in croce, prima in versione PS3, poi PS4… 6 anni di nulla difficilmente corrisponderanno ad un qualcosa di decente, perché mi parrebbe paradossale che il gioco si manifesti nella sua magnificenza di punto in bianco, specialmente pensando al modus operandi del marketing Sony, sempre così “aggressivo” nel mostrare le carte della propria mano. La verità è che The Last of Guardian si è perso in un limbo e che uscirà troppo tardi, nel modo sbagliato e dopo un’attesa priva di una comunicazione che sapesse supportare l’impazienza dei giocatori e questo… beh, è un passo falso.

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