Tre mesi di ordinaria follia

Non tutti i nostri lettori forse hanno familiarità con il concetto di spree killer. Si tratta di quello che potrebbe essere definito un tipo di assassino seriale, una persona che comincia a commettere una serie di omicidi in seguito a un grave crollo emotivo. Niente, nella vita di questi soggetti, sembra indicare la possibilità che possano iniziare a uccidere. Eppure succede, un’improvvisa esplosione di violenza può condurre ad una terribile spirale di efferatezze che si conclude, quasi sempre, col suicidio del colpevole.

Questo preambolo è utile per introdurre quello che è il vero protagonista di questa seconda stagione di American Crime Story, L’assassinio di Gianni Versace. Questo perché non è il nostro celebre connazionale il vero soggetto al centro di queste vicende, ma il suo omicida, Andrew Philip Cunanan, un ragazzo di origini italo-filippine che, nell’arco di tre mesi tra l’aprile e il luglio del 1997, commise cinque omicidi, coronati da quello della sua vittima più illustre, il noto stilista italiano. Pochi giorni dopo l’uomo si tolse la vita, sparandosi un colpo di pistola alla testa.

Cosa ha spinto una persona, apparentemente normale, di buona famiglia ed educazione, a commettere una serie così violenta di delitti, dando il via a una caccia all’uomo su scala nazionale negli States?

A questa domanda cerca di rispondere lo sceneggiato scritto da Tom Rob Smith, autore inglese noto per aver pubblicato quattro romanzi e aver partecipato a London Spy (2015) per la BBC. Non un curriculum ricco, e questo Assassinio di Gianni Versace è il primo grande banco di prova dell’autore. Stagione, questa dedicata al delitto di Versace, che nasce tra le polemiche fatte scaturire dalla famiglia della vittima e il compito non facile di bissare la qualità della precedente produzione, basata sul caso O.J. Simpson. Sarà riuscito a realizzare una buona serie?

Difficile dirlo da questa prima puntata. In effetti il pilota non sembra riuscire a convincere del tutto come era stato per la precedente stagione dello show. Ci troviamo di fronte a una produzione che mostra un buon potenziale soprattutto per una scelta inaspettata, quella di basare l’intera storia sulla figura meno nota della vicenda, Andrew Cunanan, interpretato in maniera convincente da Darren Criss.

La serie inizia proprio con l’omicidio di Gianni Versace (Édgar Ramírez), la mattina del 15 luglio 1997. Lo stilista si sveglia nella sua villa di Miami, fa colazione, quindi va a prendere i giornali e il caffè fuori. Sulla porta di casa però lo attende Cunanan. Il giovane esplode tre colpi contro il guru della moda, due dei quali lo raggiungono al volto, ferendolo mortalmente.

La dinamica della morte di Versace non fu mai del tutto chiara. Perché Cunanan, dopo aver ucciso persone più o meno legate a lui si era infine concentrato sullo stilista? Vittima e assassino si conoscevano? Questa è la teoria che sembra seguire lo sceneggiato di Smith, proponendoci un incontro tra i due avvenuto dieci anni prima a San Francisco. Nella realtà Cunanan era in effetti molto attivo sulla scena omosessuale ed era divenuto l’accompagnatore di molti personaggi in vista in quel periodo. Di lui sappiamo che era dedito a una vita di lusso ed eccessi sibaritici, grazie al denaro e ai soldi che gli arrivavano dai suoi ricchi protettori. Ma Versace? Niente lasciò, all’epoca, presagire un rapporto tra i due, salvo forse una brevissima conversazione avvenuta anni prima del delitto.

La serie sembra porre l’accento soprattutto sulle menzogne di Cunanan, sulla sua capacità di adattarsi per venire incontro alle esigenze del suo protettore. E nella scena dell’incontro tra lui e Versace, sotto i neon del night club, si mostra tutta la sua capacità di affascinare l’interlocutore, ciò che in vita aveva fatto la sua fortuna per molti anni. Lo stilista passa dal disinteresse, all’irritazione fino all’adorazione con poche semplici parole da parte del giovane Andrew, capace di affascinarlo ed entrare nelle sue grazie per riuscire a farsi invitare, la sera dopo, alla prima di un’opera lirica di cui Versace aveva disegnato gli abiti.
Ancor più chiarificatrice per capire la personalità di Cunanan è la conversazione che intrattiene in seguito con un suo compagno di college, il quale gli rimprovera di non avere una vera identità, ma di diventare semplicemente ciò che l’interlocutore più desidera.

Insomma, ci troviamo di fronte a un bugiardo patologico e di quelli fortemente pericolosi, in quanto capace di convincersi del tutto di essere ciò che racconta. Da quanto possiamo vedere in questa prima puntata non ci sarà grandissimo spazio per l’indagine poliziesca, per la ricostruzione dei fatti e dell’intera vicenda. Più importante sarà appunto ricostruire la vita di Andrew per capire cosa lo spinse, quella fatidica mattina di estate, ad appostarsi fuori dalla villa dello stilista per freddarlo. Versace, in questo caso, non è un fine, ma un semplice mezzo capace di fa progredire la trama. Una sorta di Deus ex machina costantemente presente, che compare nei ricordi delle persone coinvolte nella vicenda.

Perché se da un lato assistiamo alla pazzia di Cunanan e alle indagini della polizia per riuscire a catturarlo, dall’altra vediamo le vicende della famiglia Versace. La morte di Gianni, il genio della casata, sconvolge le vite dei familiari, in particolare quella di Donatella (Penelope Cruz), la quale ci viene presentata come legatissima al fratello, sua musa ispiratrice e il vero motivo per cui è stata fondata la casa di moda. E, sullo sfondo, il fratello maggiore Santo (Giovanni Cirfiera), raffigurato come meno emotivo e più interessato a fare gli interessi della compagnia. Tuttavia entrambi sono accomunati dalla preoccupazione di salvare il buon nome di Gianni. Sanno che non ci vorrà molto perché i media si concentrino sulla vita dello stilista, andando a scavare a fondo per capire quali siano state le motivazioni della sua uccisione. Come spesso accade, tanto nella realtà quanto nella finzione, ad essere giudicato non è solo l’assassino, ma anche la vittima.

E, in questo, si inserisce anche il compagno e collaboratore di Versace, Antonio D’Amico (Ricky Martin), il quale già nella prima puntata rivela di aver contribuito a trovare alcuni partner occasionali per Gianni. Insomma, le premesse per una stagione che sarà molto diversa da quella precedente (che fu a tutti gli effetti un legal drama) ci sono tutte.

Nonostante il titolo fuorviante, ancora una volta sarà il colpevole il vero protagonista della vicenda. Se, nel caso di O.J., ci fu il desiderio di raffigurare il mostro nascosto dietro alla celebrità, qui invece il percorso intrapreso sembra essere l’opposto, ovvero quello di dare maggiore umanità a Cunanan.

Quando si parla di spree killer la domanda da porsi è sempre quale molla li abbia fatti scattare. E lo sceneggiato ripercorre così la vita di Andrew Cunanan, ci viene illustrata la sua vita, il suo potenziale e le migliaia di strade che gli si aprivano di fronte.
L’angolazione scelta per narrare questa storia è di mostrare tutte le frustrazioni di chi, pur dotato di intelligenza, carisma e di notevoli capacità sociali, non sembra essere stato in grado di avere successo per una mera questione di fortuna. Versace diventa quindi per Andy l’incarnazione di un mondo che sembra avergli sbattuto le porte in faccia. Un mondo che ha dato tutto allo stilista italiano non solo per le sue capacità, ma soprattutto per la fortuna che gli è stata benigna nel corso della sua carriera.

Emblematico quanto detto dal personaggio di Donatella Versace, quando sostiene che non permetterà a “nessuno” di rovinare il lavoro del fratello. Un nessuno che sembra avere più sfaccettature, quella di mostrarci la Versace sola contro il mondo, ma soprattutto il suo disprezzo per lo sconosciuto Cunanan, per una persona che, appunto, non è nessuno dal suo punto di vista.

A favore di questo sceneggiato c’è la ricostruzione del periodo storico in cui si inserisce la vicenda. Gli anni ‘90 furono un momento di profonda trasformazione per la scena omosessuale: anni di liberazione, sotto molti punti di vista, anni in cui l’omosessualità iniziava a essere accettata anche nella vita pubblica e non veniva vista esclusivamente come una discriminante. Anni, potremmo dire, di affermazione, ma velati ancora da incomprensione e dal fortissimo e onnipresente pregiudizio. Per capire come fosse vista l’omosessualità dall’opinione pubblica basta assistere al confronto tra l’affranto D’Amico col detective Scrimshaw (Will Chase), il quale sembra essere del tutto incapace di capire la vita di Versace col suo compagno, ponendo domande guidate da una percezione viziata.

Per contro il paragone col livello della recitazione della scorsa stagione di American Crime Story non volge a favore di quanto abbiamo appena visto. Il cast non sembra sempre all’altezza della situazione. Se Cunanan, nella sua follia e nella sua incapacità di darsi una propria identità viene interpretato bene da Criss, è più difficile giudicare quanto offerto da Martin e Ramírez, non essendo stati visti a sufficienza sullo schermo.
Non ci ha convinto del tutto la prova di Penelope Cruz nei panni di Donatella Versace. Da un lato c’è l’evidente e lodevole tentativo di imitare la gestualità, l’impostazione della voce e postura della Donatella nazionale. Dall’altro, per contro, è facile vedere come tutto questo sia solo “teatro”; insomma, non c’è la sospensione dell’incredulità per lo spettatore. Inoltre, più di una volta, ci è parso di scorgere un maldestro tentativo di imitare l’accento italiano, con risultati atroci.

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Cosa ci è piaciuto?

La scelta di dare un indirizzo completamente diverso alla stagione rispetto alla serie precedente, mostrando ancora una volta aspetti interessanti dello scenario degli anni ’90. L’idea di fornire allo spettatore un punto di vista basato sull’assassino, piuttosto che sugli inquirenti e la vittima. Convincente Darren Criss nella sua rappresentazione di Andrew Cunanan.

Cosa non ci è piaciuto?

La recitazione di alcuni attori appare poco naturale. Tuttavia, davanti al primo episodio, è ancora presto per poter giudicare e bisognerà attendere scene e momenti più probanti. Al contrario della stagione precedente, lo sceneggiato si prende molta più libertà creativa, esagerando talvolta.

Continueremo a guardarlo?

Certo. Le potenzialità per un’ottima serie crime, a modo suo diversa dalle altre, ci sono. Sarà interessante capire lo sviluppo quale potrebbe essere.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.