A due anni dall’uscita PC, il piccolissimo studio indipendente Analgesic porta su console il sequel spirituale e giocabile in autonomia del loro successo del 2013: Anodyne 2 – Return to Dust

Non penso di dovervi raccontare che il vintage è un valore che, alla mia generazione (che con alta probabilità è anche quella di alcune e alcuni di voi che mi stanno leggendo) fa vibrare corde particolarmente sensibili. Spesso e volentieri questa cosa succede anche quando il ricordo appare nella mente di striscio, come informazione recepita più che vissuta o addirittura come rielaborazione mediata di una questione che di fatto nemmeno esiste. Sia chiaro: la recensione di Anodyne 2 che state per leggere non è da intendere come una riflessione sull’hauntology – quel processo di sostituzione dei ricordi alla base del postmodernismo – ma inevitabilmente deve partire da questo concetto. Un po’ perché, come vedremo, è un tema piuttosto centrale nel gioco e un po’ perché – e vi giuro non vorrei scriverlo – i riferimenti e le citazioni con certi giochi del passato (nello specifico della quarta e della quinta generazione) balzano agli occhi di chiunque anche con un’occhiata distratta al titolo di Analgesic.

È quindi inevitabile, per chi come me ha interesse specifico per le implicazioni culturali del tardo capitalismo, attivare i ricettori quando si para davanti un prodotto come Anodyne 2 (che, nel caso in cui ve lo steste, chiedendo ha la dicitura di sequel solo per una questione di assonanza tematica e infinitesimali collegamenti ma ci arriveremo). Perché il citazionismo, e il pastiche di influenze dalla cultura pop non sono (mai state) solo dettagli aggiunti. Sono lo specchio di come il progresso e la storia ci sono arrivati, attraverso la mediazione dei mezzi di comunicazione e del mercato. Il vintage e la rivisitazione del passato, dunque, ci parlano prima di tutto dell’oggi e di come viene modulata la cultura contemporanea attraverso lo scambio – con una versione che ricorda ma non è – del passato.

Probabilmente, arrivati a questo punto, starete pensando che quella che sto facendo è fondamentalmente una sovrascrittura dietrologica, che sono io a vederci più di quello che realmente c’è. Non mi sento di scrivervi che vi sbagliate, anzi probabilmente avete tutta la ragione del mondo a pensarlo. Ma il punto sta proprio qui: tutto quello che ho scritto, nei mezzi di comunicazione, avviene spesso in modo involontario. Il bombardamento a cui siamo soggette e soggetti, quotidianamente, ci scolpisce a tal punto che neanche ci accorgiamo che lo stiamo subendo e che di conseguenza quel che ricordiamo del passato viene sostituito da uno pseudo-passato. In Anodyne 2 questa cosa non soltanto accade, ma è anche un argomento su cui poi avviare ragionamenti circa gli eccessi, la rinascita e lo spirito.

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L’uovo (e chi lo genera) contro la polvere che sporca il pensiero

La nano polvere ha invaso e corrotto molte delle vite che abitano New Thealand. Nata per liberare queste anime, il compito di Nova è quello di liberarle dalla foschia che ha invaso i loro corpi rendendoli totalmente asserviti alle ossessioni che la polvere sembrava potere quietare. Il compito che gli affidano le due entità che l’hanno generata è questo. I discorsi di C Psalmist e Palisade (caratterizzate per una identità di genere non definita binariamente e per essere di fatto la virtualizzazione di chi ha realizzato il gioco, Steve Han Tani e Marika Kittaka) che piano piano introducono chi gioca al mondo in cui sta per addentrarsi rendono chiaro che Anodyne 2 ha un approccio al concetto di serie simile a quello che si potrebbe vedere in un gioco della serie Final Fantasy: i giochi sono fondamentalmente slegati – ma hanno dettagli in comune – e si può scegliere da quale capitolo cominciare senza risentirne in comprensione.

Una storia che ci porta attraverso il concetto di annebbiamento dovuto al far entrare dentro di noi un’ossessione, una dipendenza o qualunque concetto possa renderci meno liberi offrendoci una falsa soddisfazione. La nano polvere che investe i personaggi, tutti caratterizzati da uno stile estetico fantastico e fantascientifico con tratti quasi body horror, li rende apatici e totalmente asserviti a essa. Compito di Nova è quello di entrare dentro di loro per pulirli letteralmente dal parassita che li investe, mentre impara qualcosa che non sa del loro passato.

Ogni viaggio dentro l’interiorità di un personaggio è l’occasione per capire cosa lo ha portato in quello stato creando anche una discreta (e interessantissima) dicotomia tra la freddezza dell’esterno e il calore vivissimo di chi popola l’interno: persone che fanno parte dei ricordi o versioni passate di chi ci sta ospitando in quel momento che scalpitano per poter tornare all’esterno. Analgesic ci racconta quindi una storia di recupero di se stesse e stessi da una vita di smarrimento. Un risorgimento spirituale che passa attraverso il recupero dei ricordi, quelli veri, che vengono spolverati da ciò che li ha resi lontani e ormai illeggibili. Anodyne 2 ci parla di hauntology attraverso il concetto stesso che è contemporaneamente conferma e protesta a questa tendenza.

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Rimpicciolimento di prospettive e dimensioni

No, quello che vedete sopra non è uno screenshot di un gioco differente da quello che apriva il paragrafo precedente. Vi assicuro che entrambi arrivano da Anodyne 2 e ne definiscono i due piani: uno in 3D (quello esterno, di chiara ispirazione al periodo della prima PlayStation di alcuni dei più famosi jrpg, che è il piano dell’esplorazione) e uno in 2D (quello interno e specifico per ogni personaggio che andremo a pulire, che si rifà ai capitoli di The Legend Of Zelda del periodo Super Nintendo). La scelta di dividere in modo così netto l’estetica di dentro e fuori è anch’essa una scelta che ci porta al discorso teorico che sto tentando di portare avanti in questo articolo.

Le ragioni sono semplici: l’interno viene gestito come qualcosa da recuperare – quindi temporalmente più remoto – rispetto a un esterno che è come appare. La scelta di riferirsi specificatamente a quei due periodi del videogioco è sia un vezzo, una scelta affettiva, che in un certo senso un indicatore di direzione estetica e comunicativa. Analgesic volontariamente racconta una storia profondissima che arriva quasi a svuotare la componente ludica che anzi è molto semplice ed elementare proprio in un contesto estetico in cui il gameplay sopperiva a mancanze che non potevano essere raggiunte per limiti tecnologici. Con altre velleità, probabilmente, il risultato sarebbe stato decisamente meno efficace.

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Per concludere posso dire che qualora foste disposte e disposti a trovarvi di fronte una struttura ludica decisamente ripetitiva e piuttosto scarna, non rimarrete deluse e delusi da Anodyne 2. Proprio come le esplorazioni di Nova, al suo interno troverete spunti di riflessioni disperati e strazianti sul nostro mondo che vi verranno piano piano svelati. Un gioco che ha dalla sua l’efficacia che ha su di noi il passato per farci capire quanto esso (o il finto ricordo che abbiamo di questo) abbia reso inoffensivi il presente e noi.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.