Quando il vino buono sta nella botte piccola

Quando Edgar Writh, regista di film come Hot Fuzz, Scott Pilgrim vs. The World e La fine del mondo abbandonò il progetto Ant-Man, rimasi un po’ deluso. Lo ritenevo eclettico ed eccentrico quel giusto per fare un buon lavoro nel trattare uno dei personaggi più singolari del Marvel Universe, dando magari al film un potenziale piglio che lo distinguesse nettamente dalle altre produzioni dedicate agli eroi della Casa delle Idee. Peyton Reed d’altro canto, non sembrava effettivamente avere un curriculum adeguato per sostituire in maniera efficace Writh, il ché mi ha reso scettico sul risultato finale fino alla visione del film. Fortunatamente alla fine, sono rimasto piacevolmente sorpreso.

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Ant-Man funziona, e funziona alla grande. Al centro delle vicende come già accennato, abbiamo uno dei più originali eroi della scuderia di Stan Lee, non solo per quel che riguarda i suoi poteri, ovvero quello di potersi rimpicciolire a piacere, moltiplicando di svariate volte la propria forza, e la capacità di comunicare con il mondo delle formiche, ma anche dal punto di vista prettamente “umano”. Paul Rudd infatti interpreta in modo convincente il personaggio di Scott Lang, protagonista della pellicola e secondo ‘eletto’ a vestire i panni de “l’uomo formica”. Siamo piacevolmente lontani dalle macchiettistiche e quasi surreali virtù che caratterizzano la maggior parte dei super eroi trasportati su celluloide: Scott è una persona assolutamente normale, anzi, per certi versi quasi di indole ‘negativa’, vista la sua propensione al crimine e al suo passato, evidentemente fallimentare, di padre di famiglia. Una persona però fondamentalmente buona che cerca una sorta di redenzione con la figlia e che si confronta con piccoli grandi problemi piuttosto comuni. Per certi versi mi ha ricordato il Peter Parker di Spiderman, con le sue difficoltà quotidiane, problemi di soldi, una propensione a cacciarsi nei guai, ecc. Ant-Man insomma, racconta in un certo senso una storia ‘piccola’ di un uomo altrettanto ‘piccolo’. Parliamo di un classico film delle origini, in cui si racconta la genesi di quello che sarà sicuramente una pedina importante nelle prossime produzioni del Marvel Universe, attraverso un film dal flusso narrativo davvero circoscritto, focalizzato su pochi (ma buoni) personaggi, che proprio in virtù della loro dimensione “umana” risulta davvero coinvolgente per lo spettatore, anche per il fatto che è facile immedesimarsi in Scott Lang: non è un ricco e geniale filantropo, un super soldato o un Dio del Tuono, ma potrebbe essere chiunque di noi… si fa per dire ovviamente.

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Una base interessante ovviamente non basta per fare un buon film, e qui entra in scena il modo eccellente in cui il regista Reed ha orchestrato con la macchina da presa quello che gli forniva la sceneggiatura, nella quale sicuramente ad un occhio attento non sfuggiranno le reminiscenze rimaste dalla penna di Edgar Wright, che insieme a Joe Cornish l’ha scritta a quattro mani, e che porta nella pellicola una comicità e ironia non nuova in casa Marvel, ma che raramente abbiamo trovato cosi brillante e ben amalgamata con il contesto generale. Il film non dimentica però certo che deve raccontare la storia di un personaggio, seppur ‘minore’ (o forse sarebbe meglio dire ‘poco conosciuto’) che ha un background fumettistico davvero corposo e con un grande espediente narrativo riesce a dare il giusto peso alle due identità più importanti del personaggio di Ant-Man: Henry Pym, primo storico Ant-Man e inventore della formula/tuta che permette di rimpicciolire e appunto Scott Lang, successore di Pym e di fatto Ant-Man ‘cinematografico’ ufficiale. Entrambi svolgono un ruolo assolutamente fondamentale, e Pym interpretato da un Michael Duglas inaspettatamente in gran forma nel ruolo di ex super eroe, sarà presente come mentore e quasi co-protagonista del film fino alla fine, riuscendo di fatto a dar spazio e a caratterizzare a dovere un personaggio che fortunatamente non si limita ad una veloce apparizione per il passaggio di ruolo. Il film quindi viaggia tra la “formazione dell’eroe”, per nulla noiosa come a volte accade nelle storie delle ‘origini’, ma anzi montata ad arte per avere un ritmo serrato poco propenso agli spiegoni e lasciare spazio ai rapporti tra i vari personaggi (e in questo si avverte un’ottima chimica tra tutti gli interpreti), e la successiva missione d’infiltrazione, il momento di far sul serio, il ‘deus ex machina’ che dà senso a un film che comunque, per quanto possa tingersi di comedy e a tratti anche di spy-story, rimane un blockbuster action a tutti gli effetti. Anche in questo caso le proporzioni degli eventi sono meno ‘cataclismiche’ di quanto visto in Avengers o roba simile, ma hanno una messa in scena assolutamente dignitosa e in qualche sequenza, pure ricercata.

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Le invenzioni visive con cui viene mostrato un Ant-Man che si trasporta di continuo dal ‘mondo del microscopico’ a quello reale sono avvinghianti e convincenti (e addirittura danno un senso compiuto al 3D in un paio di occasioni) e la continua surreale condizione di agire in un mondo a dimensione di formica dona una sottesa verve divertita e ironica anche ai momenti più drammatici. Per esempio vedremo il buon Ant-Man imbastire un combattimento epico tra i binari di un trenino giocattolo circondato dai mille oggetti infantili che possiamo trovare nella stanza di qualsiasi bimbo, creando un contrappunto visivo esilarante nel momento in cui la regia ci riporta per un attimo ad una prospettiva ‘normale’ mostrando come di fatto, tutto si riduca ad una serie di giocattoli che si spostano in maniera apparentemente innocua e quasi invisibile. Vorrei poi, nel generale elogio al cast in toto, soffermarmi nell’interpretazione di Michael Pena, il quale nel suo ruolo comprimario risulta essere uno dei personaggi più esilaranti del film, dando un tocco da ‘baddy movie’ veramente azzeccato. Un’ultima menzione -questa volta negativa- spetta al villain, tale Darren Cross (Corey Stoll), un personaggio caratterizzato in maniera piuttosto banale, e poco incisivo in fin dei conti. Il Calabrone infatti si limita ad essere la classica nemesi speculare dell’eroe, l’Ant-Man ‘cattivo’, che svolge degnamente il suo ruolo di ‘minaccia finale’, ma che per tutto il film in effetti, non lascia certo trasparire una personalità troppo articolata che vada oltre il “faccio questa cosa cattiva perché… beh sono cattivo“.  Ma poco male quando il “contorno” è cosi ben riuscito in tutti i settori.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!