Il successo della serie Arcane – ambientata nel mondo di League Of Legends – valica i meri confini produttivi e tecnici, rivelando una progettazione estetica decisamente più fitta

Un prodotto di massa, per funzionare, spesso e volentieri ha al suo interno molto di più di quanto possa essere recepito dal pubblico. Il processo che porta al risultato finale è stratificato e composto da livelli di progressione che fanno capo a una progettazione che avviene in stadi molto più pre-produttivi e concettuali di quanto poi effettivamente risulterà a chi ne usufruirà. Questo, ovviamente, viene amplificato quando il lavoro deriva da qualcos’altro ma è pensato per essere utilizzato anche da chi è a digiuno del materiale originale. In tempi recenti abbiamo visto questa cosa concretizzarsi con Spiderman: Un Nuovo Universo e – ancora più vicino all’oggi – con la serie Arcane, oggetto principale di questo articolo.

Oltre l’ovvia associazione animata tra i due prodotti, infatti, quello di Sony Pictures Animation e quello del binomio Fatiche/Riot sono lavori accomunati da una lunga serie di aspetti, tanto interni derivanti dallo schema produttivo quanto esterni per la percezione. Prima di tutto, come già parzialmente accennato, entrambi si basano licenze preesistenti e piuttosto solide con fanbase molto larghe e appassionate ma che – per una questione di investimenti – non possono rivolgersi soltanto a chi conosce quei mondi, e devono riuscire invece a dare un’introduzione coerente e comprensibile a chiunque (ed eventualmente, come succede per tutti e due, offrire qualche easter egg succosa a chi conosce ciò di cui si parla). Arcane, così come l’esempio citato al suo fianco, si prende l’onere di rispondere proprio a questo tipo di domanda: come si fa a rendere piacevole e interessante un mondo di cui chi guarda sa poco e nulla, ponendolo contemporaneamente al centro e secondario rispetto al resto? Per creare un punto di unione una strategia possibile, al di là di quella ovvia dell’introduzione narrativa, è puntare sull’accattivante attraverso la proposta estetica e, nel caso in cui la produzione lo permetta, quella tecnica.

Partiamo da un presupposto necessario: che Arcane sia un prodotto animato con valori produttivi altissimi è un dato di fatto ma, oltre la coltre fatta di effetti particellari e rigging, c’è un contenuto molto più ricercato e profondo di quanto possa apparire e che aiuta sia a rendere più comprensibile che affascinante il mondo dove si svolgono le avventure di Vi e Jinx. Sarebbe infatti riduttivo riportare tutto esclusivamente alla pulizia e alla rifinitura e, nel caso in cui fosse stato soltanto questo il presupposto alla base della serie, il risultato sarebbe stato un guscio vuoto e con ben poca probabilità di lasciare un segno nel pubblico (specialmente in quello non affezionato all’universo narrativo di Riot). Piltover e Zaun (i due macroambienti in cui è ambientata la storia), invece, brulicano di vita, contesti e realtà e non soltanto per le vicende che avvengono al loro interno ma, soprattutto, per la connotazione estetica che gli è stata data a cui l’elevato comparto tecnico fa da supporto piuttosto che da sostituto a una mancanza di ispirazioni e suggestioni.

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I differenti approcci all’animazione che troviamo dentro Arcane, per esempio, non sono soltanto un voler mostrare le capacità del gruppo di persone che si sono dedicate alla serie. Tutto è, invece, funzionale e costruito intorno al concetto estetico e progettuale. Non c’è ipertrofia o morbosità verso le sperimentazioni, ma contesto preciso in cui queste si inseriscono perché chiamate in causa da un senso molto sviluppato e profondo verso il creare uno scheletro estetico che aiuti a rendere credibile quel che si guarda. Anche quando animazione tradizionale e digitale si sovrappongono e intervengono una sull’altra non c’è quella sensazione di sfoggio che non porta a significazione. Al contrario si percepisce in modo piuttosto netto come quelle scelte siano dovute a necessità di raccontare, mostrare piuttosto che mostrarsi. La tecnica, elevatissima, che Fatiche padroneggia diventa quindi il mezzo attraverso il quale costruire una narrazione ambientale e stilistica che non è soltanto subordinata a quella principale di dialoghi e storie pregresse dei personaggi, ma un vero e proprio racconto parallelo.

Gli ambienti e i personaggi sono quindi descritti non soltanto attraverso il loro vissuto, ma lo stesso viene anche costruito e raccontato tramite l’apparenza visiva e la connotazione estetica. L’austerità art decò di Piltover fatta di marmo e venature d’oro, oltre a rappresentare uno stilema piuttosto classico del lusso nelle società basate su caste e classi nel fantastico (valore trasversale, dal cyberpunk al fantasy contemporaneo), si contrappone ai nervosi colori neon dei graffiti di Zaun. La rigidità steampunk di Vi e Caitlyn fa da contraltare al tribalismo saturo di Jinx ed Ekko sia come orpello stilistico che, soprattutto, come vero e proprio carattere connotativo che influenza la percezione di chi guarda e definisce le sensazioni che provoca ciascun elemento. Stili molto differenti tra di loro vengono mescolati e resi coerenti gli uni agli altri. Si crea così, attraverso i contrasti e le definizioni, una variabile estetica utile a orientare momenti, luoghi e persone rispetto allo stile predominante. Arcane è quindi il risultato di un approccio a monte che è frutto di un lavoro progettuale approfondito, fatto di ricerche e sperimentazioni utili a costruire sensi differenti anche nello stesso contesto.

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In conclusione: la coproduzione Riot/Netflix non è soltanto “tecnicamente valida” o “bella da vedere”. L’impianto estetico non rappresenta banalmente un accessorio atto ad appagare chi guarda ma è soprattutto canale narrativo e connotativo. Il racconto viene implementato ed esteso a più riprese da ciò che si vede (quando non, a volte, più coerente rispetto a quanto fa la sola sceneggiatura che spesso risulta prevedibile). Il visivo si sgancia dalla sua funzione secondaria, portandosi su un piano equivalente al resto degli elementi utili alla comprensione delle storie dei personaggi e dei luoghi. La caratterizzazione passa attraverso i vestiti e le architetture, i contesti si creano intorno alle differenti tecniche di animazione coinvolte e le ispirazioni e le suggestioni giocano in prima fila per creare credibilità. Come da titolo di questo articolo: non è solo tecnica quella che compare a schermo, ma precisa e volontaria progettazione estetica che si rivela determinante per rendere plausibile ogni elemento coinvolto nel prodotto.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.