Non fatevi ingannare dall’apparenza

Qualche mese fa ebbi il piacere di provare le prime due ore di gioco di Ash of Gods: Redemption, e le mie prime impressioni furono combattute. L’aspetto estetico ricordava nel tratto The Banner Saga, così come la struttura del sistema di combattimento, e così rimasi un po’ dubbioso, nel timore che potessi, a gioco ultimato, trovarmi di fronte a qualcosa di troppo derivativo. Mi turba anche un po’ ammettere una cosa del genere, sarò sincero: non mi piace mai giudicare un’opera paragonandola ad altre, perché è come se si volesse togliere valore a quello che si ha di fronte, volendo per forza farlo risalire a qualcos’altro di più famoso, quasi si fosse alla ricerca di della copia a tutti i costi. Le sensazioni iniziali con Ash of God però furono di fortissimo deja vu, e chiusi l’hands on con così: “Il fardello di The Banner Saga rimarrà dov’è quasi sicuramente, ma questo potrebbe non impedire al gioco di trovare la propria dimensione e identità”. Bene, ora stiamo parlando della versione definitiva del gioco, e Ash of Gods: Redemption ha trovato la sua dimensione, e la sua identità. D’altra parte, sotto il profilo estetico, The Banner Saga verrà in mente a chiunque toccherà il gioco di Aurum Dust. Ciononostante, Ash of Gods è un bel gioco, non perfetto sotto il profilo del bilanciamento, ma che sono sicuro non potrà che piacere agli amanti dei titoli con una narrativa forte, pieni di scelte, diramazioni e con un sistema di combattimento su scacchiera. Ma procediamo con ordine.

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A Terminum – il mondo in cui è ambientato il gioco – 700 anni prima dei fatti narrati c’è stata una mietitura. Delle creature immortali, i Mietitori, sono apparsi assieme agli Ense, un’altra tribù misteriosa, a reclamare un tributo di sangue. Non sappiamo il perché della Mietitura, né chi siano i suoi agenti, ma questa sta per tornare. 700 anni fa degli immortali si sacrificarono, ma la quiete finisce proprio nelle primissime battute del gioco, quando incontriamo Thorn, un ex soldato alla ricerca di un regalo per la moglie in compagnia della figlia. Proprio mentre sta per acquistare il dono il frastuono dall’esterno del negozio segnala l’arrivo di un Mietitore, con conseguenti massacri, abitanti del villaggio fuori di senno, campane che non smettono di suonare. Ma, soprattutto, significherà l’inizio dell’esodo di Thorn e dei sopravvissuti, alla ricerca di una soluzione per la mietitura. Questa non è che la seconda delle tre storyline di Ash of Gods. La primissima ci mette di fronte a Hopper, l’unico immortale sopravvissuto al sacrificio di sette secoli prima. Sopravvissuto per fortuna, diremmo noi, mentre Hopper non riesce a superare l’umiliazione. Appena ha sentore della Mietitura imminente si mette infatti in viaggio, alla ricerca prima di soluzione, e poi di Thorn, assieme ad una compagnia di fortuna. Terza, e forse più particolare, è la storyline di Lo Pheng, membro di un misterioso e orientaleggiante clan di guerrieri dalle regole ferree. Prima al servizio di un signore locale, il codice del suo clan gli impone di abbandonare qualsiasi cosa in caso di nuova Mietitura. Fugge così da un’esecuzione in piazza, assieme a diverse prigioniere, per tornare a casa e quindi affrontare la tragedia in atto.

La storia, come si sarà capito, è quindi raccontata secondo tre punti di vista diversi, che si alternato capitolo dopo capitolo concentrandosi su un gruppo piuttosto che su un altro, e intrecciandosi. La caratteristica sulla quale Aurum Dust ha puntato molto è quella che definiscono una narrativa roguelike. Questo significa che ogni personaggio, compresi i protagonisti, possono morire. Può avvenire in battaglia, dopo aver visto un personaggio cadere quattro volte, o semplicemente a seguito di scelte sbagliate. Il gioco salva in continuazione, quindi a meno che non vi applichiate a tenere da parte i dati di salvataggio bisogna accettare l’inevitabile, che poi è anche il bello di Ash of Gods. D’altra parte il gioco è abbastanza generoso sotto questo punto di vista, e un’oculata gestione delle risorse, sommato ad un approccio ragionato nei dialoghi e nella gestione delle situazioni, difficilmente vi vedrà con qualcuno passare all’altro mondo. La storia è raccontata attraverso dialoghi e finestre di testo, che si apriranno ad ogni interazione con punti di interesse. Ci si sposta su una mappa, scegliendo la prossima destinazione, con eventi inaspettati a inframezzare (quasi) ogni movimento. Il mondo di Ash of Gods ha tanto da raccontare, e questo spiazza all’inizio: si menzionano posti, persone, eventi, etnie e chi più ne ha più ne metta, senza soluzione di continuità, fino a creare confusione. Il gioco riesce però benissimo, dopo lo smarrimento iniziale, a farci ricostruire i pezzi che compongono l’enorme puzzle che sottostà al gioco. Il risultato è quello di sentirsi all’interno di un sistema tanto vivo quanto credibile, che riusciamo ad afferrare anche se non pienamente, come stranieri in visita.

È tutto molto affascinante, e Ash of Gods è bravissimo a giocare con le emozioni del giocatore, mettendolo spesso di fronte a scene di estrema crudezza, a scelte difficile e a personaggi carismatici che si vuole approfondire. La narrazione è quindi ottima, e se così non fosse crollerebbe metà del gioco, anche se purtroppo la traduzione italiana non è delle migliori. Intendiamoci, nel complesso funziona piuttosto bene. Purtroppo il tono non sembra sempre essere adeguato alla situazione, e ci sono momenti un po’ piatti in cui mi sarei aspettato una scrittura un po’ più rifinita, in grado di definire meglio i personaggi, le cui parole a volte mancano dello spessore che sarebbe stato necessario. Non so però dirvi se il problema sia effettivamente della traduzione, perché la lingua originale è il russo, che non conosco. La traduzione inglese mi è sembrata più alta, nei toni, di quella nostrana, ma anche qui, nonostante la conoscenza della lingua, non si può avere la padronanza delle sfumature come nella mia lingua madre. Generalmente comunque, mi preme ripeterlo, il lavoro svolto è di livello adeguato.

Passando al gameplay, oltre a quello che si è detto, è bene parlare del sistema di combattimento, che è forse l’elemento più debole dell’intero gioco. Non perché sia brutto o funzioni male, ma per problemi di scarsa varietà e bilanciamento. Il sistema di base è quello classico di un tattico su scacchiera, a cui vengono aggiunte delle carte giocabili, ognuna, una sola volta a partit. I personaggi muovono alternandosi, uno per la squadra del giocatore e uno per quella avversaria. Si può scegliere di volta in volta quale sarà il prossimo, senza dover far caso a valori di velocità. Una volta esauriti, si ricomincia. Il perno di tutto il battle system è la possibilità di colpire i punti vita o l’energia del proprio avversario. I punti vita si spiegano da soli, mentre l’energia serve per effettuare alcune abilità speciali (ma questo è vero anche per i punti vita), e per spostarsi di più caselle in fase di movimento. Esauriti i punti energia, qualsiasi danno inflitto a questa raddoppierà, intaccando i PV. Tutto ruota insomma attorno all’energia, che però non è così importante in fondo. Avanzando nel gioco, e scegliendo le abilità giuste, i combattimenti si risolvono in pochissimi turni, e l’output di danni è tale da rendere più conveniente sacrificare i propri punti vita per effettuare attacchi letali agli avversari. Non ho mai veramente sentito il bisogno di una troppo attenta pianificazione strategica (che non significa che basta muovere a random per vincere), anche perché la morte dei propri alleati, se certamente è semplice, è risolvibile spendendo un po’ di Strix.

Cosa sono per, gli Strix? Si tratta di uno degli più importanti di Ash of Gods, sia per quanto riguarda la lore che per quanto riguarda il gameplay: sono antiche pietre che hanno il potere di fermare la maledizione della Mietitura, almeno sul breve periodo, ma anche la “moneta” che è necessario spendere ad ogni spostamento sulla mappa, e ogni volta che si vuole curare il party. Come abbiamo detto ad ogni morte in battaglia corrisponde un punto, e raggiunti quattro il personaggio è perso per sempre. Per curare tutto il party di un punto, è necessario un certo quantitativo di Strix, e questi possono essere trovati utilizzando bene i dialoghi che ci vengono proposti, aiutando personaggi in difficoltà, o acquistandoli. Quando finiscono è necessario distribuire un quantitativo di punti morte proporzionato agli Strix che servirebbero per spostarsi da un punto all’altro della mappa. Insomma, una bella gatta da pelare la gestione degli Strix. Sotto questo punto di vista il gioco è però ben bilanciato, perché muovendosi con intelligenza e non curando il party ogni volta che qualcuno è ferito (il costo è sempre il medesimo, che si voglia curare tutto il party di un punto o soltanto un personaggio) difficilmente la situazione diventerà ingestibile, anche se certamente qualche momento di panico perché si sono finiti gli Strix da spendere non mancherà. Ma insomma, è anche il bello del gioco.

Concludiamo con l’aspetto estetico del gioco, che è probabilmente uno dei fattori per il quale Ash of Gods ricorda di più il lavoro di Stoic. Lo stile è quello dei vecchi cartoon Disney, virato su tonalità più oscure. Il lavoro ci character design è a tratti buono, a tratti anonimo, ma complessivamente efficace: si poteva fare di più, ma non c’è da lamentarsi. Le ambientazioni invece, così come le animazioni di battaglia, sono veramente eccezionali, e mi sono ritrovato spezzo a fare zoom in / zoom out nelle schermate fisse solo per cercare dettagli. L’impatto generale è comunque ottimo, nonostante la semplicità della regia durante i dialoghi, e solo dopo molte ore si avverte un po’ un senso di ripetitività rispetto a quello che avviene a schermo, effettivamente sempre un po’ troppo simile a se stesso. Pollici verso l’alto, entrambi, per la colonna sonora, veramente di ottimo livello, in grado di commentare con il giusto tono epico i momenti più concitati del gioco, e sempre azzeccata anche quando rimane un po’ più sottotraccia.

Verdetto 

Ash of Gods: Redemption non è un gioco perfetto. Andrebbe bilanciato un po’ meglio il combattimento, resa un po’ più varia la qualità delle animazioni e sistemata la traduzione italiana. Detto questo, Ash of Gods esce solo parzialmente intaccato da questi problemi. Il risultato è un titolo comunque molto interessante, in grado di tenere attaccati allo schermo per scoprire sempre un po’ di più di Terminum e della sorte che aspetta i nostri tre protagonisti. Il suggerimento è quindi di acquistarlo, per tutti quelli a cui non dispiace leggere molto.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.