Continua la collaborazione tra Sony e Team Ninja con questo Rise of the Ronin

Rise of the Ronin è il culmine dell’esperienza che Team Ninja ha sviluppato negli ultimi anni. Nioh, Nioh 2 e Wo Long: Fallen Dynasty sono stati tutti passi necessari per arrivare a Rise of the Ronin, e stando alle recenti dichiarazioni dello studio di sviluppo, lo stesso Rise of the Ronin altro non è che un tassello per portare le opere dello studio verso meccaniche da open world.

Dire che Rise of the Ronin è un titolo con delle criticità è semplice, un po’ meno lo è il cercare di capire come queste criticità siano nate dalla volontà di far coincidere un modo ben preciso di intendere l’action game con l’ampiezza e il funzionamento di un gioco open world.

Se infatti Team Ninja è “maturo” dal punto di vista del combat system del gioco, eccellente, complesso e stratificato, chiaramente lo è meno esperto nella costruzione di un open world funzionante. E sembra quasi evidente un certo grado di consapevolezza quando ci accorgiamo di come tutte le attività secondarie siano velocissime da sbrigare, con segnalini che ci rivelano dove andare per raggiungerle (nonostante siano da sbloccare i marcatori sulla mappa), quasi a non volerci “fare perdere tempo”, che tanto da esplorare al di fuori delle attività secondarie c’è poco.

Così l’open world di Rise of the Ronin diventa uno spazio vuoto che serve da raccordo a diverse situazioni, il più delle quali hanno come obiettivo ultimo il combattimento.

Non tutte, però. Rise of the Ronin ci chiederà di trovare gatti, scattare fotografie e completare sfide con l’aliante, l’arco o il fucile, per esempio. Si tratta il più delle volte, come detto, di attività di velocissima risoluzione grazie ai punti di fast travel generosamente distribuiti e ai già segnalati segnalini che ci suggeriscono precisamente dove si trovano, ad esempio, un gatto o un forziere.

Così la checklist per completare al 100% una zona si sbriga in pochissimi minuti, e si può continuare con la storia principale o le missioni secondarie, spesso interessanti.

Quello che fa più “male” all’open world di Rise of the Ronin non è però solo la mancanza di densità di attività secondarie, che non è intrinsecamente positiva. Dragon’s Dogma 2, Tears of the Kingdom, Elden Ring o anche Death Stranding ci mostrano come non siano necessarie decine di attività secondarie per rendere pieno un open world, ma che “semplicemente” è fondamentale rendere pieno il viaggio, lo spostamento, l’avventura. Rise of the Ronin sembra non provarci neanche, ed è un peccato perché il setting ha tantissimo da raccontare.

E quando si racconta “con le parole”, Rise of the Ronin è ottimo, ma suggerisce che sarebbe potuto essere ottimo anche quando vediamo le città presenti del gioco con le loro architetture miste, con palazzi à la occidentale che si affiancano a edifici nipponici. E dico che “sarebbe potuto” perché la componente tecnica non rende un buon servizio alle ambizioni del gioco, con ambienti spogli e una complessiva resa estetica decisamente povera.

Il racconto di Rise of the Ronin è di quelli storici, ma non di quelli storici come i loro titoli precedenti dove nella Storia entravano anche demoni incazzati: Rise of the Ronin inizia con l’arrivo delle Navi Nere in Giappone, segnando un nuovo incontro del Giappone con l’Occidente, e obbligando i giapponesi a decidere se aprirsi agli occidentali – sotto minaccia di ritorsioni armate – o se rifiutare quello che era sostanzialmente un invasore e prendere le armi.

La prima vera missione che affrontiamo è proprio di salire di nascosto su una di queste navi per affrontare nientemeno che il Commodoro Perry in persona. Da questo punto in poi si susseguiranno una serie di quest che porteranno poi a due questline, ognuna legata a uno dei due “schieramenti” che nacquero nel Giappone della metà dell’Ottocento. E noi dovremmo scegliere da che parte stare. Rise of the Ronin si dipana tra fatti e personaggi storici, facendoci vivere sia eventi importanti sia storie di minore importanza utili a rappresentarci la vita di quel periodo storico e i sentimenti della popolazione. Nella fase iniziale di questa divisione in due della storia principale potremmo liberamente affrontare senza ripercussioni entrambe le storie, anche se a un certo punto saremo obbligati a decidere con quale schieramento parteggiare.

A questo si affianca un sistema di rapporti con i personaggi per il quale riceveremo quest, ricompense e possibilità al migliorare dei rapporti, decisamente funzionante in un gioco dove a farla da padrone sono proprio le relazioni tra persone e tra fazioni. Sotto questo aspetto. Rise of the Ronin è perfettamente a fuoco e funziona in maniera eccellente, proponendo anche diverse meccaniche e approcci alle missioni a seconda dell’obiettivo: non solo combattimento all’arma bianca, ma anche stealth e quest nelle quali ci viene chiesto di non fare vittime, per esempio.

Il vero elemento principe di Rise of the Ronin è però il sistema di combattimento, in accordo con l’obiettivo di un gioco dove il più del tempo si combatte. Non è possibile non individuare nell’ultimo titolo di Team Ninja tutta l’esperienza accumulata dallo studio negli ultimi anni: ci sono elementi di Nioh, Nioh 2 e Wu Long: Fallen Dinasty, mescolati tra loro con maestria per creare quello che potremmo definire, a livello di difficoltà intermedio, un Nioh-lite.

La struttura RPG del gioco è simile a quella dei titoli precedenti, con skill da bloccare come la possibilità di effettuare un cambio di stance in mezzo a una combo per dirne una. L’efficacia delle armi è ancora una volta legata all’aumento di una o due caratteristiche del personaggio, che aumentano con l’investimento di punti specifici in abilità specifiche. Ogni arma ha, come accennato, tre possibili stance, e a ogni stance può essere assegnato un set di mosse specifiche. La parte RPG quindi è piuttosto complessa e sembra fin troppo arzigogolata all’inizio, ma dopo poco ora che si prende dimestichezza con il sistema di gioco diventa assolutamente naturale il far crescere il proprio protagonista nella direzione voluta.

Andando invece al combattimento puro, ci troviamo di fronte a un action game à la Team Ninja degli ultimi anni. La prima domanda che mi son posto quando mi sono approcciato al gioco è stata: come è possibile fare un gioco con le meccaniche e la difficoltà di un Nioh in una struttura open world? La risposta era abbastanza semplice: rendendo gli scontri più facili.

La difficoltà normale rende decisamente più semplice la risoluzione degli scontri rispetto alle precedenti opere, anche se la disposizione dei nemici in-game non rende impensabile il giocarlo cercando un’esperienza più prossima a quella di Nioh. E infatti, se impostiamo la difficoltà su “difficile”, il gioco diventa molto più duro e riesce a restituire le sensazioni dei precedenti giochi dello studio, sacrificando un po’ il flow del gioco ma rendendo l’esperienza molto più gratificante. Questo perché sia la progressione del personaggio che il sistema di combattimento tutto parry, schivate e cambi di stance per gestire più nemici allo stesso tempo è perfettamente funzionante, e forse addirittura glorificato, quando Rise of the Ronin è impostato a difficoltà più alte di quella standard, che rimane comunque ben lontana dalla difficoltà di un classico action game e richiede un certo grado di attenzione e riflessi.

In definitiva è chiaro che Rise of the Ronin non sia un gioco incredibilmente rifinito. Però è un gioco che racconta una porzione interessante della storia del Giappone e che lo fa dandoci addirittura la possibilità di scegliere. Il framerate traballa e la grafica non è proprio all’ultimo grido per usare un eufemismo, e allo stesso modo l’open world non è sfruttato come dovrebbe. Tutto questo va sul piatto della bilancia opposto a quello dove sta l’ottima narrativa, e dove sta anche l’eccellente sistema di combattimento: un punto di arrivo dopo gli anni in cui sono usciti Nioh, Nioh 2 e Wo Long: Fallen Dinasty e un nuovo punto di partenza per il futuro di Team Ninja, che sappiamo sarà orientato proprio verso il perfezionamento della formula open world. Sinceramente, aspetto con curiosità, ma anche con fiducia.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.