Koei Tecmo torna nel periodo dei Tre Regni con Wo Long: Fallen Dinasty

Fin dalla demo Wo Long: Fallen Dinasty mi era piaciuto moltissimo. Sarà stato il fascino dell’ambientazione, il body horror decisamente disturbante o il sistema di combattimento preciso come un orologio svizzero e contemporaneamente generoso: non vedevo l’ora di giocare al gioco completo così tanto che non sono andato oltre la prima area, ma ho rigiocato più e più volte quella prima area. Ne volevo ancora, ma volevo mantenermi la sorpresa di cosa ci sarebbe stato dopo.

La fiducia nei confronti di Team Ninja ci ha chiaramente messo del suo. Il team di Koei Tecmo ha saputo dimostrare con i due Nioh e con Stranger of Paradise City di avere un punto di vista tutto suo sui soulslike e sugli action RPG, portando sempre in primo piano sistemi di combattimento più raffinati e complessi dei giochi di From Software grazie anche a un portfolio più orientato agli action game che agli RPG. Inoltre – soprattutto con Stranger of Paradise City – ha dimostrato anche di saper tarare la struttura di Nioh in modo tale che il risultato sia fortemente diverso proprio da Nioh, nonostante la chiara discendenza.

Così si comporta anche Wo Long: Fallen Dinasty: c’è il loot à la Nioh, la struttura a missioni e il dark fantasy orientale, ma basta. Quando si inizia a combattere e si superano le ovvie somiglianze estetiche è chiarissimo che il gioco vada in una direzione diametralmente opposta. Si tratta di un gioco più violento, più fisico, più aggressivo, con una maggiore rapidità degli scontri volenteroso di dare al giocatore un senso di campagna militare che mancava dalle precedenti opere di Team Ninja – ma non di Koei Tecmo.

Il setting è quello del periodo dei Tre Regni, ispirato nello specifico al Romanzo dei Tre Regni che ripercorre il momento storico con un piglio più romanzato. Si tratta quindi della stessa ambientazione cinese più volte riprodotta in molti videogiochi, tra i quali ricordiamo Dinasty Warriors. Così come in Nioh il racconto storico è declinato in chiave dark fantasy, e così ogni personaggio guadagna la sua sfumatura sovrannaturale e i nemici prendono spesso fattezze demoniache, mentre la mitologia cinese si fa spazio tra le fila nemiche.

Non mancano anche diversi legami con la filosofia cinese e nello specifico con il taoismo: un esempio su tutti sono i cinque elementi che prendono il posto delle classiche statistiche di forza, destrezza, ecc, centrali nella cosmogonia taoista (sono il passaggio successivo allo Yin e allo Yang, a sua volta successivo al Tao), o la presenza del Qi e dei trigrammi. Il glossario in-game aiuta a capire determinati concetti, ma come per Nioh è interessante giocare a Wo Long con Wikipedia sottomano e approfondirne gli stimoli per scoprire di più su una cultura, in questo caso quella cinese e taoista.

Il periodo dei Tre Regni è un periodo di guerra, e così Team Ninja inserisce nella normale progressione del soulslike diversi elementi che proprio il feeling della campagna militare puntano a restituire: le mappe sono disseminate da bandiere di segnalazione da conquistare per potenziare il proprio personaggio (e così metaforicamente favorire l’avanzamento del nostro esercito), i nemici più forti possono essere indeboliti uccidendo i loro sottoposti e le missioni hanno spesso vie secondarie per aggirare le formazioni nemiche e ottenere un vantaggio. Lo stesso sistema di progressione si divide in uno canonico in cui si potenzia il personaggio e uno interno alle singole mappe, per il quale è necessario conquistare quante più posizioni possibili per arrivare potenziati allo scontro finale.

A questo si somma l’introduzione di diversi companion (tutti personaggi storici del periodo dei Tre Regni) che accompagneranno la nostra o il nostro protagonista nei diversi scontri.

Le mappe sono a loro volta strutturate per seguire questa direzione creativa: un esempio su tutti si trova a metà gioco e ci vedrà impegnati ad assediare una città. Avanzando nel livello (che si gioca in questo caso senza compagni) sarà necessario trovare vie secondarie per aggirare le mura e guadagnare avamposti, prima di poter affrontare lo scontro finale, restituendo una piacevole sensazione di infiltrazione. Si può anche andare dritti verso il nemico, ritrovandosi però tutto l’esercito avversario contro e rendendo quindi la risoluzione molto più complessa.

Il level design è quindi il principale responsabile di questa sensazione di conquista militare, e Team Ninja si conferma ancora una volta capacissimo di disegnare mappe complesse e in grado di comunicare qualcosa al giocatore. Non si tratta di mappe interconnesse à la Dark Souls, e lo specifico perché la sensazione che ho leggendo diversi interventi sulla rete è che un buon level design significa semplicemente shortcut che non ti aspettavi.

Le mappe di Team Ninja sono eccezionali in modo diverso, e credo questo sia ben chiaro a chiunque ricordi The Iga Escape nel primo Nioh.

In Wo Long: The Fallen Dinasty ogni mappa propone diversi approcci a seconda di come si vuole affrontare il livello. È possibile prendere vie più lunghe e più sicure o affrontare frontalmente il nemico, senza dimenticare una gratificante ricerca di segreti e strade secondarie, sempre tenendo bene in mente che stiamo partecipando a una guerra a non a un generico scontro contro dei demoni.

Oltre alle differenze tematiche si diceva anche delle differenze di gameplay rispetto a Nioh, e anche qui ci troviamo di fronte a un gioco solo all’apparenza sovrapponibile a quella che è la serie ormai regina di Team Ninja. Se Nioh era un gioco più ragionato, con diverse stance di combattimento, skill tree per le diverse armi e un sistema di level up più complesso, Wo Long mette (quasi) tutto da parte per proporre una struttura più action. Il sistema di crescita è semplificato e si basa quasi interamente sul comportamento della barra dello spirito che sostituisce la barra della stamina e sulle inclinazioni elementali del personaggio che a loro volta influenzano lo scaling delle armi (seppure mi sia parso in maniera non drastica come era nei Nioh).

La barra dello spirito è il perno attorno a cui ruota il gameplay di Wo Long: può essere positiva o negativa, e va verso il basso quando si schiva, si devia a vuoto, si subiscono danni o si utilizzano abilità speciali. Al contrario aumenta quando si colpisce o quando si effettua una deviazione perfetta, e la proporzione di questi comportamenti dipende dal tipo di build che si è scelto di costruire.

È molto interessante notare come questo sia vero anche per i nostri avversari e come, anche con la barra completamente in negativo, non si rimanga impossibilitati ad attaccare come avviene normalmente quando finisce la barra della stamina, ma si è esposti a un simile momento di “stanca” nel caso si subisca un ulteriore colpo.

L’altro elemento fondamentale è proprio quella deviazione, che in maniera similare a Sekiro guadagna un ruolo centrale pur senza diventare il perno totale del gioco come nell’opera di From Software. Deviare è fondamentale, soprattutto nel caso degli attacchi speciali dei nemici che se deviati correttamente riducono drasticamente la barra dello spirito avversaria esponendoli a un colpo critico, ma questo non toglie importanza alla normale parata o alla schivata. Soprattutto la schivata viene legata allo stesso tasto della deviazione: premendolo una volta si devia, premendolo due volte in rapida successione si schiva. Vien da sé che se si preme il tasto di deviazione in maniera ossessiva il risultato non sarà quello sperato.

I combattimenti grazie a questi accorgimenti diventano veloci e aggressivi, rendendo necessario stare (quasi) sempre in attacco e rendendo sostanzialmente inutile prendere spazio e aspettare la giusta finestra per attaccare come avveniva con alcune build di Nioh.

Questo è vero soprattutto all’inizio del gioco, perché a un certo punto Wo Long assume che il giocatore abbia imparato le meccaniche e comincia a proporre combattimenti più complessi in cui è necessario tenere sotto controllo il campo di battaglia, sapere anche quando allontanarsi e, più in generale, rende necessario un utilizzo più ponderato del contrattacco e una consapevolezza maggiore di tutti gli strumenti a disposizione, siano essi di combattimento all’arma bianca che magici.

Ciò che preme sottolineare è la capacità di reinventarsi di Team Ninja, pur rimanendo all’apparenza all’interno di una formula collaudata. Wo Long: Fallen Dinasty è ancora una volta un gioco eccezionale, un soulslike estremamente raffinato nelle meccaniche e incredibilmente affascinante nel setting. La scelta di semplificare alcuni aspetti rispetto ai titoli precedenti (mentre in Stranger of Paradise si complicavano) è sicuramente vincente assieme alla pubblicazione su Xbox Game Pass per accogliere nuovi utenti, soprattutto per via dell’aura di mostruosa difficoltà che si è creata attorno al genere (non che Team Ninja abbia fama di sviluppare giochi semplici).

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.