Batora: Lost Haven è un hack ‘n slash dalle molteplici ispirazioni, ma che ha come primo scopo il voler raccontare una storia

atora: Lost Haven di Stormind Games vive di equilibri: un progetto che vuole essere contemporaneamente un RPG hack ‘n slash con un sistema di combattimento basato sul dualismo, senza dimenticare puzzle, narrativa e scelte multiple. Un gioco rivolto a un target certamente adolescenziale, come è facile intuire dal romanzo young fantasy che lo ha ispirato. Ma anche un gioco che seppur senza approfondire prova a toccare temi delicati e mettere sul tavolo scelte complesse che purtroppo si riducono in una barra del karma che seppure non oscilli tra “buono” e “cattivo” poco ci manca.

Batora ci mette nei panni di Avril, una ragazza che abita un pianeta Terra distrutto da una catastrofe. Qualcosa è andato storto e lo scenario è post apocalittico nelle primissime battute del gioco, con una Londra distrutta e abbandonata in cui la Nostra con la sua amica si muovono insicure. La catastrofe però, scopriremo presto, non ha colpito solo il nostro pianeta ma ha avuto una portata ben più ampia.

Così Avril farà la conoscenza di due divinità, Sole e Luna, che le conferiranno il potere per ristabilire l’equilibrio, ma anche l’onere di farlo dovendo prendere decisioni sul campo che andranno ad influire nelle vite degli ecosistemi e delle società che incontrerà nel gioco, spostandosi di pianeta in pianeta.

L’avventura di Avril si sviluppa così facendoci fare la conoscenza di diverse specie aliene e delle società all’interno delle quali vivono, ma anche facendoci scoprire i diversi effetti che questo cataclisma ha causato sui singoli pianeti. La volontà di Stormind Games di concentrarsi sulla narrativa in Batora: Lost Haven ci condurrà attraverso diverse linee di dialogo e soprattutto attraverso risposte a scelta multipla in cui le nostre decisioni influenzeranno gli equilibri dei pianeti e la vita o la morte di personaggi o intere specie.

Questo non vuol dire che c’è da aspettarsi un Baldur’s Gate II o un Pillars of Eternity, dal momento che il gioco ha ben chiara la direzione verso cui si vuole muovere e la storia che vuole raccontare. Nonostante questo, ci troviamo di fronte a buoni dialoghi, frizzanti e ben scritti nonostante un po’ ingenuotti per chi magari ha già superato i vent’anni. L’impatto delle nostre scelte, che ci verranno caricate sulle spalle in quanto riconosciuti da tutti come emissari di Sole e Luna, saranno spesso drammatici e in grado di cambiare il destino di intere civiltà.

Sicuramente Stormind Games ha costruito un gioco in cui la rigiocabilità è più che consigliata se si vuole scoprire ogni possibile ramificazione del racconto. La lore invece – purtroppo aggiungerei – è relegata a un menu dedicato e non è così esplorata come avrei voluto per potermi legare di più alle situazioni e alle culture dei vari pianeti. Probabilmente è una deformazione legata a un gusto specifico per un certo tipo di worldbuilding iper-complesso, e sicuramente sono un po’ fuori target. Dispiace comunque però, perché il lavoro degli sviluppatori sembra essere stato molto più approfondito di quello che appare a schermo, con una costruzione dei diversi popoli che richiama diverse antiche culture.

Lato gameplay ci troviamo invece di fronte a un hack ‘n slash che ruota attorno alla meccanica del dualismo: Avril può infatti assumere due forme, una orientata all’attacco fisico e una orientata all’attacco a distanza, ognuna delle due con barra della vita e skill separate. Allo stesso modo i nemici apparterranno a una delle due tipologie a cui appartengono le forme della protagonista, che farà così più danni ai nemici del suo stesso colore e subirà danni alla barra della vita del colore con cui viene attaccata.

Una semplice meccanica che trova però diversi utilizzi interessanti, soprattutto quando i nemici proprio come Avril hanno entrambi i colori e le relative barre vanno danneggiate di pari passo per far sì che non si rigenerino. Il costante switchare da un colore all’altro influenza non solo il management della salute e delle skill, ma anche la parte RPG del gioco, che richiama in qualche modo Hollow Knight: l’arma di Avril può infatti equipaggiare delle rune, limitate nel numero dal suo livello, e la maggior parte di queste ha dei bonus e dei malus specifici per una delle due forme che la protagonista può assumere. Ne consegue che costruire un personaggio bilanciato richiedere un bel po’ di pensiero e di pianificazione sia per quanto riguarda le rune da acquistare che per quelle che è preferibile equipaggiare.

A inframezzare le sezioni dialogiche a quelle di combattimento, piuttosto lineari, troviamo anche una serie di puzzle che in più occasioni strizzano l’occhio ai templi di Breath of the Wild per le meccaniche proposte.

Batora: Lost Haven non è quindi certamente un gioco che reinventa la ruota, ciononostante è un gioco ben costruito. Le diverse ispirazioni si amalgamano bene, e vanno a creare un prodotto interessante a patto di essere nel giusto target. Il combattimento è infatti un po’ ripetitivo e la storia come detto ha le sue ingenuità, così come i puzzle non richiedono più di tanto sforzo.

Se però pensiamo a un gruppo di giocatori più casual o più giovani, è difficile non consigliare Batora. Si tratta di un hack ‘n slash piacevole, con una direzione artistica veramente ottima e un doppiaggio estremamente curato.  

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.