Il pianeta delle donne (davvero!)

Per molti, forse (e mi auguro di no), il nome di Kelly Sue DeConnick potrebbe non dire assolutamente nulla. Per altri invece potrebbe evocare il ricordo di una qualche parentela famosa! Per altri, invece, Kelly Sue DeConnick rimane la scrittrice tra le più quotate di questo periodo, autrice del rilancio di Capitan Marvel nella veste di Carol Danvers e autrice di quel gioiello western, steampunk, delirante che è Pretty Deadly. Ed è anche la moglie di Matt Fraction, sì.

Questa volta DeConnick ha chiamato il talentuoso Valentine De Landro per imbastire una storia di satira, fantascienza, denuncia e violenza nella migliore tradizione anni 70.

Non-Compliant

L’ambientazione scelta dall’Autrice per questa sua storia è quella di un futuro distopico, in cui la società è diventata spaventosamente patriarcale, con le donne costrette a piegarsi ai dettami di regole umilianti senza alcuna possibilità di uscita.

Tutte coloro che trasgrediscono queste convenzioni sociali, vengono esiliate in una prigione in un altro pianeta, il cosiddetto Avamposto Detentivo Ausiliare (ADA), comunemente e tristemente noto come Bitch Planet (Il pianeta delle Stronze – traduzione libera). In questo frangente incontriamo le protagoniste del fumetto: Kam, dai capelli afro a pallone, Penny, obesa e dal carattere incendiario, e tutte le altre ragazze poco conformi alla vita sul pianeta Terra.

Il fumetto segue le vicende nella prigione tutta al femminile, mentre contestualmente racconta di quegli uomini che sulla Terra continuano a governare indisturbati, descrivendo la decadenza del patriarcato e le disparità sociali e di genere a cui sono sottoposti i cittadini (e le cittadine). L’ambientazione futuristica e fantascientifica permette all’Autrice di calcare la mano sugli aspetti tecnologici che diventano mezzo per controllare le masse sulla Terra e punire le donne su Bitch Planet. Un passo alla volta, senza scadere nel didascalico, emergono varie particolarità del mondo immaginato da DeConnick, un mondo in cui le telecomunicazioni sono subissanti, eccessive, completamente controllate dai nuclei di potere, inondando l’etere di propaganda patriarcale. Contemporaneamente, le tecnologie avanzate hanno la funzione di generare sistemi sempre nuovi per assoggettare, punire, torturare (sia fisicamente che mentalmente) le donne condannate. E su tutto, a governare dalla stanza dei bottoni, un Presidente, un Protettore che pensa esclusivamente ai suoi proventi e allo share televisivo, per cui farebbe di tutto, anche uccidere.
Con questi ingredienti, mescolati e sistemati con estrema cura sul vassoio di carte che è questo fumetto, DeConnick ci conduce in un viaggio allucinante, a momenti disgustoso per quel che ci fa vedere e capire, lanciando le sue precise frecciate alla nostra società, ricoprendo con lo zucchero del racconto leggero il veleno della più cruda denuncia sociale.
Leggere Bitch Planet è come decidere di farsi incidere il nome della propria amata nella carne viva: può sembrare una bella idea ma bisogna essere consapevoli che farà male, soprattutto dopo.

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Ciò che accomuna le donne imprigionate  è l’etichetta che la Società ha affibbiato loro prima di spedirle all’altro mondo: sono definite NON COMPLIANT. Trovare una controparte italiana di questi termini non è così facile come sembra. Non basta ridurre tutto a Non Conformista o Non Conforme, perché concettualmente sarebbe troppo riduttivo. Non Compliant abbraccia una serie di significati ampi e non solo negativi. Indica una struttura rigida, che non si adatta alle sollecitazioni esterne, riguarda una persona che non riesce a sottostare alle regole che gli vengono imposte, indica tutti quelle azioni sociali che destabilizzano il normale modus pensandi (non so se si può dire, ma lasciatemelo passare, ok?), che vanno da azioni di Terrorismo Gender (?), fino al semplice ‘rispondere male al proprio marito’ (??) o essere fuori dagli standard di bellezza accettati (???). Ecco per questi motivi di diventa NC e si finisce sul Bitch Planet… E non si sa se è possible ritornarne…

Come potete immaginare, l’intento dell’Autrice è proprio quello di estremizzare quella che è una situazione già riscontrabile qui e ora. Il messaggio femminista è palese, chiaro e per niente velato dietro inutile retorica. DeConnick sbatte in faccia senza mezzi termini situazioni estreme, dove le donne vengono bistrattate, affossate e umiliate. E non solo su Bitch Planet. Il grande pregio in questa storia è l’assoluta spietatezza dei racconti che la compongono, dove anche le donne ‘di successo’, che vivono sulla Terra sono solo delle bambole al servizio degli uomini, pallido riflesso del potere detenuto dai propri mariti. E le donne in TV sono degli ologrammi. Rosa.

Il femminismo esplicito emerge anche nelle storie delle singole protagoniste, reiette di una società che non le vuole perché non potrebbe mai accettarle, che combattono come possono, si ribellano in ogni maniera e come risultato vengono punite, allontanate e depersonificate, trattate come spazzatura sociale, senza un ruolo fecondo e senza una spiegazione plausibile.
A tutto questo aggiungete che (almeno finora) non esiste alcuna figura maschile catartica, un uomo che rappresenti la speranza che qualcosa possa cambiare. Allo stato attuale del racconto, le donne sono sole contro tutti e tutte.

In realtà non si può dare un giudizio finale su quest’opera, ancora no, visto che il volume tra le nostre mani rappresenta la raccolta dei prime cinque numeri usciti negli States, laddove invece questo mese è già stato pubblicato il numero 6. Certo, in queste oltre 120 pagine vengono gettate le basi per una storia di ampio respiro, con una buona dose di colpi di scena di là da venire, oltre a un buon numero già arrivati direttamente sul naso. Molti dei personaggi sono stati approfonditi, alcuni con flashback lunghi e tesi, altri con semplici indizi che ne tratteggiano il passato e l’indole, ma sicuramente all’Autrice sta a cuore creare dei modelli tridimensionali, con i propri difetti, i propri pregi e le proprie pulsioni, ognuno con un’impalcatura emotiva ben identificabile. Una lettura sicuramente non facile, stratificata e sfaccettata, ma che lascia al lettore la voglia di ritornare indietro nelle pagine per poter estrapolare altri particolari, in un gioco caleidoscopico di luci e ombre.

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I favolosi anni 70

Un racconto così ambizioso e con un sottotesto politico estremo e tangibile non poteva certo affidarsi a una rappresentazione grafica ordinaria, per quanto bella. E infatti, l’intento di Valentine De Landro, dietro le indicazioni di Kelly Sue De Connick, è stato quello di ricreare un mondo dai chiari rimandi vintage, con una grafica, un’impostazione e una realizzazione che richiamasse i vecchi film di exploitation che tanto andavano di moda negli anni 70: i Prison Movie da seconda serata, quelli che si potevano vedere pagando un solo biglietto per due film, nei famosi Grindhouse, dove le attrici procaci e ben svestite si mostravano a una folla di adolescenti ormonizzati.

Ogni singolo tratto del fumetto urla anni settanta in ogni maniera, e la scelta non è del tutto campata in aria ma è perfettamente in linea con il femminismo di cui è permeato. È divertente e bello da vedere allo stesso tempo, e in più la padronanza della tecnica mostrata da De Landro crea uno scenario estremamente credibile, per quanto distopico e inventato. Le ambientazioni e gli sfondi forse sono un po’ scarni, per dare maggior risalto alle protagoniste e ai loro contendenti, in un balletto sacrificale tra maschi e femmine.

La genialità della rappresentazione grafica va però oltre il semplice fumetto, regalando al lettore a fine episodio un bonus che ricorda tanto le riviste a fumetti di seconda classe: emergono infatti finti annunci di vendita di Occhiali a raggi X, fantomatici parassiti che ti faranno perdere peso (e anche la voglia di vivere), messaggi d’amore e annunci con riferimenti alle vicende appena lette, e tanto altro, ingigantendo l’esperienza di lettura e l’immersione in questa Terra improbabile e così dannatamente vicina a noi.

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De Landro ha anche curato le splendide (non si può dire diversamente) copertine di ogni singolo numero, creando dei veri e propri poster come quelli che si affiggevano al cinema.

Ancora, sempre per parafrasare il linguaggio cinematografico di quarant’anni fa, che faceva della contaminazione il suo marchio di fabbrica, alcuni episodi monografici della serie sono stati disegnati da altri autori. Quello dedicato a Penny e alla sua rivincita contro il sistema che ne vuole distruggere l’immagine è stato affidato a Robert Wilson IV, famoso per i suoi poster di artisti come i The Sword o per i suoi lavori nelle tavole di Like A Virus e Knuckleheads. Il suo tratto deciso e netto ben si sposa con l’impostazione vintage iniziata da De Landro completando il racconto senza snaturarlo.

Effetto NC

Facendo un po’ di ricerche, prima di scrivere questa recensione, ho scoperto che Bitch Planet ha creato un vero e proprio fenomeno in giro per il web, coinvolgendo tutta quella popolazione femminile che non cercava altro che il manifesto per il proprio riscatto. In un momento in cui la condizione della donna nella nostra società è molto sentita, con continue manifestazioni di solidarietà e esplosioni di lotta per frenare certa follia che sta dilagando in ogni ambiente, il fumetto della De Connick va a toccare un nervo scoperto che ancora non sapevamo fosse davvero così infiammato.

Tantissime ragazze hanno colto la palla al balzo, marchiandosi con Non Compliant, facendosi tatuare in modo permanente le iniziali delle vere ribelli di una società che non le vuole e che allo stesso non può farne a meno. Il blog TheMarySue ne ha dedicato un lungo articolo con tanto di interviste, considerando il fatto anche come una specie di termometro sociale, che mostra una serie di importanti parametri: le donne sono stufe di essere viste secondo una prospettiva uomocentrica; le donne leggono i fumetti, e pure tanti, anche se pare che nessuno ai vertici se ne sia accorto; cosa davvero strabiliante, le donne che leggono i fumetti, agiscono di conseguenza. Dall’articolo di TheMarySue traspare una situazione femminile dolorosa, dove la discriminazione e il senso di inadeguatezza in una società falsa emergono come detriti alla deriva. Nonostante anni e anni di lotte, di denunce e di urla contro il cielo, alcune ragazze hanno un solo modo per far sentire il proprio dissenso: tatuarlo, come se solo così gli altri possono vedere cosa davvero provano.

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Are You Woman Enough?

La Bao si accaparra un’altra di quelle esclusive eccellenti, fuori dal giro dei fumetti mainstream, dove vengono estrapolati tematiche diverse, scomode e dolorose. Bao ci fa conoscere autori altrimenti relegati al mercato oltreoceano e noi di questo le siamo grati. In più lo fa con una cura eccezionale, che dona sempre un valore aggiunto all’opera in sé. In questo caso, di comune accordo con gli autori stessi, tutti gli inserti finali dei volumi e le copertine dei singoli numeri non sono stati tradotti, per non rovinare l’effetto vintage tanto cercato e voluto. Quindi siate pronti a trovarvi per le mani alcune pagine in inglese, ma potete stare tranquilli, tutti i i dialoghi del fumetto sono in italiano e perfettamente accessibili a ci non mastica altre lingue.

Purtroppo, a fine volume non ci sono altri extra se non alcune domande poste dalla stessa autrice come spunto di riflessione, che riprendono delle sezioni del suo stesso racconto per alimentare una eventuale consapevolezza e spingere chi legge il fumetto a ragionare di più su alcune tematiche espresse in forma di disegno. Questo un po’ ci lascia con l’amaro in bocca, perché mai più di adesso avremmo voluto vedere qualche sketch preparatorio, magari delle copertine, i processi di colorazione o stralci di sceneggiatura. Purtroppo niente di tutto questo è stato inserito nel volume, ma ci rendiamo anche conto che alcune cose non dipendono affatto dalla casa editrice italiana, che, lo ripetiamo, ha sempre il plauso per portare nelle nostre fumetterie questi prodotti altrimenti lontani dal nostro mercato.

 

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.