Il passaggio da manga al film sarà stato questa volta indolore?

Il 14 settembre è sbarcato su Netflix l’ennesimo live action tratto da un manga famoso, moda che pare le case di produzione non vogliano ancora abbandonare (basti pensare all’annuncio di un sequel del film made in USA di Death Note). Così, dopo il live action di FullMetal Alchemist con l’attore principale imparruccato male per riprodurre la bionda chioma di Ed Elric, ora tocca a Bleach, il cui protagonista non è da meno in quanto a capelli dai colori improbabili per un giapponese (ma stavolta, almeno, sono tinti).

La trama del film, è giusto chiarirlo da subito, non è una riproduzione dell’intera opera cartacea ovviamente, ma ne riprende sì e no i primi 7 volumi, incentrandola sulla caccia all’hollow Grand Fischer, non senza buchi di trama e inserimento di personaggi inutili ai fini della stessa (nonostante nel manga ricoprano un ruolo tutt’altro che marginale!).
Ichigo Kurosaki è un liceale che fin da bambino è in grado di vedere gli spiriti dei defunti. Crescendo, il ragazzo impara a conviverci e per questo motivo, incontrando Rukia, non capisce subito che la ragazza è uno shinigami, un dio della morte, all’inseguimento di uno spirito malvagio chiamato hollow. Al momento dello scontro con l’hollow, Rukia sta per essere sopraffatta e si vede allora costretta a cedere parte dei suoi poteri a Ichigo per renderlo in grado di contrastare il nemico. Tuttavia, il ragazzo assorbe completamente i poteri da shinigami di Rukia e, conclusa la battaglia, dovrà mantenere il ruolo di shinigami finché Rukia non si sarà ripresa e potrà recuperare i poteri.

Questa premessa è l’unica cosa praticamente uguale al manga, perché da qui in avanti la trama diventa un miscuglio dei volumi che va a coprire, a discapito della qualità narrativa. Come già anticipato, questa scelta ha portato alla quasi completa esclusione dalla trama di personaggi che nel manga hanno una certa importanza, quali Chad e Orihime, amici di Ichigo iconici nel manga, che qui fanno delle comparsate solo in quanto “compagni di classe” che osservano l’amico comune da lontano; Uryu Ishida, che invece è un quincy (gruppo di umani dai poteri spirituali, in opposizione agli shinigami), viene mostrato un paio di volte col suo arco spirituale ma la sua posizione non viene approfondita; Kisuke Urahara viene ridotto al vecchio saggio-macchietta che ricompare dopo aver elargito il suo consiglio per una battuta ad effetto. Il legame venuto a crearsi tra Ichigo e Rukia (che pare volessero a tutti i costi far sembrare innamorati) diviene il centro di un intreccio a dir poco inesistente, con l’obbiettivo ultimo di farle riottenere i poteri prima che venga catturata dal fratello Byakuya, lasciando da parte cose più grandi appena accennate come la Soul Society o il confronto tra quincy e shinigami, dei quali inoltre non si comprende nemmeno la gerarchia (anche se è palese che ce ne sia una).

La produzione intera risente di questa rielaborazione piuttosto raffazzonata. Anche se costumi e armi sono fedeli agli originali nel fumetto, la recitazione non è delle migliori, anche se non dovremmo più stupirci di ciò: l’unico che si salva è quel poveretto di Miyavi (interprete di Byakuya e già attore anche in produzioni hollywoodiane come Unbroken della Jolie), a cui sono state comunque riservate pochissime scene e battute, mentre subito sotto troviamo Sota Fukushi, nel ruolo di Ichigo, che, nonostante risulti al di sopra della media, cerca di far propri gli atteggiamenti della controparte cartacea, i quali per forza di cose hanno un ritmo diverso dovuto al media d’origine. Questo fa sì che reazioni ed emozioni sembrino irrealistiche, per nulla spontanee e credibili: lampante è la scena in cui il muro di casa Kurosaki viene sfondato dall’hollow e Ichigo reagisce con sorpresa a scoppio ritardato senza muoversi di un passo, o ancora la primissima scena del film in cui lo vediamo scontrarsi con un paio di teppisti, seguito da inquadrature che avrebbero dovuto sottolinearne il carisma e che invece lo fanno sembrare solo un delinquente qualsiasi che se la tira un po’ troppo. L’attrice di Rukia, Hana Sugisaki, invece, è semplicemente monoespressiva, anche quando dovrebbe mostrare timore e reverenza per il fratello.

Probabilmente, la media delle capacità attoriali del cast è uno dei motivi per cui le scene risultano spezzettate, con continui tagli anche nel bel mezzo dell’azione, come a voler sopperire a questa e ad altre mancanze, come la scarsa fluidità dei combattimenti contro nemici prodotti completamente in CGI (per non parlare dell’arco spirituale di Uryu inesistente e prodotto solo con gli effetti speciali). Appare evidente che gli attori giapponesi ancora non abbiano buone capacità nel destreggiarsi con questo tipo di riprese, in cui non è previsto un ostacolo reale sul set, e facciano sembrare i movimenti troppo calcolati. Perfino nei momenti in cui si svolge un attacco al rallentatore o ad alta velocità sembra tutto troppo finto, con pose finali tremendamente statiche e innaturali. Il tutto accompagnato dalle musiche di Yutaka Yamada, il quale ha invece fatto un buon lavoro mescolando rock e rap e creando così il sound ideale per le scene d’azione che naturalmente dominano la pellicola, trasmettendo la stessa cazzutaggine presente nel fumetto.

Verdetto

Il finale corrisponde alla conclusione del primo arco narrativo del manga, che termina appunto tra il settimo e l’ottavo volume. Tutto lascia presagire che ci debba essere un seguito, o non si spiegherebbero tantissime cose lasciate in sospeso nel film. D’altronde, è chiaro che questo avesse come target i fan del manga, che conoscono gli sviluppi successivi, e non chi non si è mai approcciato all’opera prima d’ora. Tuttavia, Bleach è conosciutissimo anche al di fuori del Giappone e, se questa produzione può essere sufficiente per il pubblico giapponese, sicuramente oltreoceano la critica potrebbe essere più dura, data l’assenza di punti essenziali e il completo rifacimento di un arco narrativo che avrebbe dovuto essere introduttivo e dunque importante nel gettare le basi di personaggi e trama. In conclusione, questo live action potrebbe lasciare confusi gli spettatori non familiari con Bleach, mentre può essere usufruito più facilmente da chi conosce la serie, ma i lettori stessi dovranno essere consapevoli di trovare un prodotto diverso, non completamente riuscito, poiché rielaborato per rispettare soprattutto i tempi cinematografici forse troppo ristretti, come accaduto per altre produzioni precedenti proposte da Netflix. 

Alessia Trombini
Torinese, classe '94, vive dal 2014 a Treviso e si è laureata all'università Ca' Foscari di Venezia in lingua e cultura giapponese, con la fatica e il sudore degni di un samurai. Entra in Stay Nerd nel luglio 2018 e dal 2019 è anche host del podcast di Stay Nerd "Japan Wildlife". Spende e spande nella sua fumetteria di fiducia ed è appassionata di giochi da tavolo, tra i quali non manca di provare anche quelli a tema Giappone.