Un pugile malinconico, una storia struggente

La scomparsa di Jirō Taniguchi è stata forse una delle più imprevedibili e sofferte per ogni amante dei manga d’autore. Un artista poliedrico che, in controtendenza con i mangaka passati e presenti, ha abbracciato le culture straniere appassionandosi al fumetto europeo, trasformandosi in qualcosa di non catalogabile all’interno del panorama giapponese per abilità di disegno e tematiche trattate, uno stile unico venuto a mancare troppo presto.
Blue Fighter, in tal senso, non mostra ancora quello stile esuberante frutto di un melting pot tra oriente e occidente, tuttavia la recente riedizione da parte di J-Pop permette a tutti di comprendere come, già negli anni ’80, l’autore avesse dalla sua una padronanza assoluta del mezzo e capacità di racconto eccezionali.

Protagonista della storia è Reggae, pugile alcolizzato in equilibrio precario tra vita e morte, mediocre in combattimento. Parla poco, pochissimo, ma non lo si vede mai senza una bottiglia di alcol al suo fianco. Nessuno punterebbe mai su un personaggio simile, nessuno tranne D’Angelo, un talent scout della boxe che scommettere su di lui come apripista nelle nuove categorie pugilistiche nate dopo lo strapotere sul ring di Cassius Clay (o Muhammad Alì se volete) nei pesi massimi. D’Angelo vede forse qualcosa che gli altri non vedono? O, più semplicemente, vede un uomo malinconico, “blu”, con niente da perdere e tutto da vincere?

Come abbiamo accennato nell’introduzione, Blue Fighter non mostra ancora del tutto la poliedricità di Taniguchi come disegnatore “fusion”: l’opera infatti è dei primissimi anni ’80, periodo in cui l’autore non è ancora impregnato a dovere della cultura occidentale. Inoltre, il volume fa parte del periodo di collaborazione con Caribu Marley, pseudonimo di Garon Tsuchiya, scomparso questo gennaio e autore di Old Boy, manga di successo e fonte di ispirazione per l’omonimo film di Park Chan-wook. Il duo Taniguchi-Marley affronterà più volte il tema del pugilato, mescolandolo sempre con tematiche umane quasi al punto di rendere lo sport un mero pretesto per una caratterizzazione dei personaggi molto approfondita.

Blue Fighter si rivela interessante proprio per questa ragione: ogni personaggio ha una personalità tutta sua, al punto tale che lo stesso protagonista resta invischiato nel giogo di personaggi secondari che lo accerchiano, grazie ad un’evoluzione sopraffina di ogni comprimario. Tutto ciò rende Reggae ancor più affascinante, grazie ad un sapiente centellinare del suo sorprendente passato che viene svelato con discreto equilibrio, lasciando il lettore desideroso di andare avanti e scoprire qualcosa di più su di lui.
A colpire davvero forte, però, resta la mano di Taniguchi: è infatti impossibile non soffermarsi sulle tavole e perdersi nel livello di dettaglio, con quel tratto ruvido lontano dalla raffinatezza che ha consacrato l’artista giapponese al mondo ma già abbastanza bello da lasciare senza fiato.

Le atmosfere pulp e hard-boiled della sceneggiatura si sposano alla perfezione con disegni eccellenti e dinamici, esaltanti nel loro dinamismo cartaceo. Si ha l’impressione continua di essere di fronte ad uno storyboard per il cinema, soprattutto quando la tavola viene scomposta e lascia spazio a pagine intere di disegno e inchiostrazione dallo stile efficace.

Peculiare anche il buon uso del lettering nelle onomatopee, elemento talvolta ritenuto (ingiustamente) marginale che in quest’opera permette ad alcuni intermezzi di strabiliare, soprattutto quelli musicali. C’è poi il buon lavoro tecnico per quanto concerne la produzione dell’albo: il confezionamento dell’opera, brossurato e con carta opaca, esalta il bianco e nero delle 290 pagine, a tratti elevate ad autentica estasi visiva.

blue fighter recensione

Verdetto


Blue Fighter è un’opera importante per ogni amante di Jirō Taniguchi e sorprenderà chiunque conosca questo autore solo per i suoi ultimi lavori. Il tratto ruvido delle sue prime opere è infatti già presente, e potente, quanto la storia di Reggae, pugile malinconico che vi terrà incollati alle pagine smaniosi di arrivare alla fine del viaggio.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.