“Perché la qualità c’ha rotto i coglioni”

“Signori ciak… motore eeeeee AZIONE!” Un bel giorno Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e Mattia Torre hanno un’idea: scrivere una serie televisiva che mostri i retroscena della lavorazione di una serie televisiva, italiana. E quando si parla di serie televisive italiane, salvo rarissime eccezioni (Boris è una di queste, a proposito), non si può che parlare di mediocrità, pressappochismo e… merda. Perché il motto di Renè Ferretti (un monumentale Francesco Pannofino), il regista di Occhi del cuore 2 (sentimental-drama fittizio realizzato per l’altrettanto fittizia rete Magnesia), è proprio questo: VIVA LA MERDA! Un concetto tanto semplice quanto veritiero, il cui significato più profondo può essere riassunto nella folgorante massima di Duccio (Ninni Bruschetta), il direttore della fotografia cocainomane, al giovane stagista di regia Alessandro (a.k.a. Seppia, a.k.a. Alessandro Tiberi): “Sai perché la fotografia nelle serie fa schifo? Perché lo vogliono LORO, la rete. Perché la gente cambia canale se vede che la fotografia è migliore di quella della pubblicità.

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Ecco, se non avete mai visto Boris, primo: sarete crocefissi in sala mensa, secondo avrete perfettamente capito dove la sit-com vuole andare a parare. Attraverso tutta una serie di personaggi al limite tra la macchietta e parodia, i tre registi hanno voluto rappresentare la triste realtà dell’industria televisiva made in Italy, portando si al limite certe situazioni ma rimanendo ancorati, per loro stessa ammissione, alla realtà che hanno potuto “ammirare” in anni di lavoro in questo settore. Dagli sceneggiatori assenteisti e ciarlatani, al direttore della fotografia che invece di curare le luci “smarmella tutto” e se ne fotte, tanto “mica stamo a fa Kubrick”, per arrivare al delegato di produzione che pur di risparmiare sul budget sarebbe capace pure di disdire i cestini del pranzo e raccattare le comparse per strada. E dal reparto tecnico, dal dietro le quinte, passiamo poi alla vera croce delle serie televisive italiane: gli attori. Lo specchio di un sistema che favorisce l’ammanicamento più che il talento e il cui riflesso sono i due protagonisti di Occhi del cuore: Stanis La Rochelle (il poliedrico Pietro Sermonti) e Corinna Negri (una sorprendentemente bravissima Carolina Crescentini). Indolenti, capricciosi, vanitosi e… cani, soprattutto Corinna (“CAGNA MALEDETTA”).

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Il primo con la fissa di recitare all’inglese, all’americana, insomma in tutti i modi tranne che in quello giusto, perché sarebbe “troppo italiano”, la seconda spudoratamente raccomandata dai piani alti della produzione per la sua florida attività sotto le scrivanie dirigenziali. E poi c’è una figura che potrebbe passare inosservata e che invece rappresenta, totalmente, lo spirito fortemente satirico di Boris, lo stagista schiavo. Un poveraccio costretto a lavorare anche 12 ore al giorno, sotto le sevizie del capo elettricista Biascica (La iena Paolo Calabresi), per una paga da fame e la vanesia promessa di crescita. Una realtà dolorosa per tanti addetti ai lavori costretti a farci i conti tutti i giorni, specialmente dopo essere usciti da un’accademia di cinema a caso con la promessa di sfondare. Alla fine però, tutto ruota intorno alla figura del regista, Renè Ferretti, il Maestro Ferretti. Uno che considera serie come Occhi del cuore un “bancomat”, che si ostina a ricercare la qualità nella mediocrità (tra dolly, steadycam e carrelli totalmente inutili) salvo poi ricordarsi che “bisogna portare a casa la giornata” e che quindi è necessario tornare a fare le cose “a cazzo di cane”, senza tanti fronzoli, mettendo la macchina da presa dove capita e dando per buono anche il ciak più deprimente. Un idolo, un idolo totale.

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E la forza di Boris sta proprio nel creare dei personaggi unici, irresistibilmente arronzoni e incompetenti fino allo spasimo (tutti tranne l’inflessibile aiuto-regista Arianna, la bravissima Caterina Guzzanti). Se pensavate che le uniche serie italiane meritevoli di attenzioni fossero Romanzo Criminale e Gomorra e che una sit-com italiana riuscita fosse pura utopia, beh, Boris saprà farvi cambiare idea. Perché Occhi del cuore è realmente l’emblema dell’italianità, al netto dei vari Un posto al sole, Centovetrine, Vivere e il resto della spazzatura che affolla reti pubbliche e private. Certo, rimane pur sempre una serie “di nicchia”, per il suo essere spiccatamente indirizzata agli “addetti ai lavori”, a chi un minimo conosce i mestieri del cinema e i vari reparti di un set cinematografico o televisivo, eppure una volta iniziata, manderete giù le tre stagioni di Boris come se niente fosse, ammazzandovi dalle risate ad ogni esplosione d’ignoranza del buon Renè, all’ennesima sparata di Biascica che reclama “gli straordinari d’Aprile” e dopo ogni minaccia di Stanis di far intervenire i propri legali per sciogliere il suo contratto.

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La feroce e spietata critica “al sistema” di Boris rappresenta uno dei rarissimi esempi di scrittura intelligente e comicità non convenzionale, che sa creare personaggi e situazioni veritiere pur esasperandone toni ed evoluzioni. Tanto per far capire a chi viene dall’estero a spiegarci come si fanno le cose, che a noi piace farle A CAZZO DI CANE! Quindi se cercavate un motivo per rinnovare il vostro abbonamento Netflix, ora ne avete uno più che valido: godervi quella che forse è l’unica, vera, sit-com italiana veramente divertente. E DAI DAI DAI!

Simone Bravi
Nasce nella capitale dell'impero tra una tartaruga ninja, un Mazinga e gli eroi del wrestling dell'era gimmik. Arriva a scoprire le meraviglie del glorioso Sega Mega Drive dal quale non si separa mai nonostante l'avvento della PlayStation. Di pari passo con quella per i videogame vanno le passioni per il cinema, le serie Tv e i fumetti. Sembra Sheldon di The Big Bang Theory ma gli fanno schifo sia Star Trek che Star Wars. E' regolarmente iscritto all'associazione "Caccia allo Juventino".