Brightburn: un esperimento interessante ma poco coraggioso

L’angelo del Male – Brightburn è un film che sin dal primo trailer incuriosì parecchio. Non solo perché lasciava intendere già dalle prime clip un particolare ibrido tra il genere horror e quello supereroistico, ma anche perché lo stesso James Gunn, uno degli autori di punta nel Marvel Cinematic Universe e regista dei Guardiani della Galassia, si è prodigato a produrre e promuovere il film con particolare enfasi. Normale se si pensa che il regista David Yarovesky, è un uomo di fiducia di Gunn, e che la sceneggiatura è opera del fratello Brian Gunn e Mark Gunn.

Se quindi normalmente le aspettative sarebbero state quanto meno “neutrali” (non essendoci dietro Yarovesky una filmografia sufficiente a farsi un’idea precisa sulla qualità del suo lavoro), il fatto che Gunn “ci mettesse la faccia” ci ha portato quindi a fidarci della sua lungimiranza, sperando in qualcosa di realmente interessante.

Certo non sempre talentuosi registi sono altrettanto affidabili produttori di film di qualità, spesso anzi è vero il contrario, e in parte, anche questa volta, una punta di delusione alla fine c’è rimasta.

Intendiamoci Brightburn non è un brutto film, e ora analizzeremo il perché, ma nonostante questo, non riesce a rivelarsi particolarmente memorabile.

Partiamo però dallo spunto più interessante che offre il film. In un genere come l’horror in cui è sempre più difficile contestualizzare in maniera originale una storia dalle tinte oscure e inquietanti, Brightburn riesce a portare una ventata d’aria fresca. L’idea è quella di decostruire la genesi del super eroe in chiave diametralmente opposta all’ascesa di un paladino della giustizia. Nello specifico, si prende a riferimento l’immaginario legato a superman, a partire dal titolo (Brightburn è la località dove tutto inizia come Smallville).

Una giovane coppia che vive in campagna adotta un bambino che arriva dallo spazio, Brandon. All’età di 10 anni però, Brandon comincia a sviluppare i suoi super poteri quando quella navicella con cui è arrivato nascosta nel fienile, comincia a comunicare telepaticamente con lui, cambiando qualcosa nella psiche del ragazzino.

Il racconto del film è fin troppo lineare e e riserva pochi stimoli per quel che riguarda l’evoluzione dei personaggi e degli eventi. Lo stesso Brandon diventa malvagità pura praticamente di punto in bianco a causa della sua natura aliena, non c’è una famiglia problematica alle spalle o traumi di nessun tipo. È cattivo, punto.

Brightburn

Chiaro quindi come la struttura da cinecomic horror, sia solo di facciata, qualcosa per rappresentare visivamente in maniera diversa quello che è il canovaccio del genere horror più classico di tutti: l’entità malvagia e superiore che in qualche modo, semplicemente in virtù della sua natura negativa, mette a repentaglio le vite delle persone che incrociano i suoi passi.

E proprio sulle vittime è posto l’occhio dello spettatore, per dare la loro prospettiva sulla pericolosità di Brandon attraverso gli occhi di un comune mortale. Ecco quindi che trovarsi di fronte ad un super ragazzino psicopatico diventa terrorizzante, ogni suo fulmineo movimento angosciante e disorientante, ogni rumore che produce con la sua distruzione, assordante.

Per messa in scena e regia, tutto funziona bene. Diversi jump scare innocui nella concezione ma efficaci nella resa tendono a concentrarsi soprattutto nella fase “pre apocalisse”, quando nella seconda parte del film, lo spazio viene lasciato alle nefandezze, spesso piuttosto crude visivamente, del super villain in erba. Il problema è che a parte seguire le catastrofiche conseguenze dei vari “capricci” di Brandon, non c’è un vero e proprio plot point convincente da raggiungere, laddove anche il rapporto con i familiari e più precisamente con la madre, segue fino alla fine una direzione ampiamente prevedibile.

Brightburn

Brightburn ha sostanzialmente questo problema infatti. È un buon film di intrattenimento dalle tinte horror che nasce da un soggetto originale, o quanto meno curioso, che però viene sviluppato in maniera troppo telefonata e priva di sequenze memorabili o sorprendenti. Quello che accade su schermo è piuttosto suggestivo, gli attori se la cavano molto bene, ma il film procede in maniera fin troppo blanda per coinvolgere fino in fondo.

Non sono del tutto comprensibili nemmeno le scelte fatte per esplicitare la violenza nel film. A volte è piuttosto esibita, altre invece palesemente nascosta o addirittura censurata nel caso della versione italiana. Tuttavia siamo in ogni caso ampiamente sulla sufficienza piena, e chi trova il soggetto intrigante, con ogni probabilità non rimarrà deluso. L’importante è non aspettarsi niente di più.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!