Brothers Recensione: quando il remake si fa in famiglia!

Quando uscì nel 2013, Brothers stupì un po’ tutti per la sua natura atipica. Si è detto che più che un gioco il titolo 505 Games fosse un viaggio, un’esplorazione di sentimenti, un qualcosa di poetico e profondo, il che non si può assolutamente negare, ma che non può e non deve annebbiarci la vista quando ci ricordiamo che dopotutto è di un videogioco che stiamo parlando. E, videoludicamente parlando, il bellissimo e fiabesco mondo di Brothers nasconde delle pecche che minano in parte la bontà del prodotto finale. Eppure se come si diceva sono state spese tante parole per raccontare il gioco, paradossalmente se mi chiedessero di descrivere Brothers con una sola parola, è uno dei rari casi in cui ci riuscirei, e quella parola è “semplice”.
Brothers a tale of two sons recensione

Perché è davvero un gioco semplice quello al quale siamo di fronte, in tutte le sfaccettature possibili del termine, positive o negative che siano. A partire da chi ne ha gestito lo sviluppo, il regista svedese Josef Fares, che invece di dare al gioco un’impronta cinematografica ha preferito dotarlo di un’approccio classico e dal gameplay sicuramente originale ma che si basa su un unico tasto (più ovviamente le direzioni). Passando poi per la grafica, semplice nel senso di “sobria”, anche più di quanto ci si aspettasse da un titolo che si è scelto di portare sulle console next-gen, fino ad arrivare alla difficoltà del gioco, semplice nel senso di “facile”. Detto questo, vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Due è il numero perfetto… o no?

Brothers è, come facilmente intuibile dal titolo, la storia di due fratelli, che affronteranno un viaggio e numerose peripezie per trovare l’Acqua della Vita, un liquido miracoloso che servirà a salvare la vita del padre gravemente malato. Nel gioco non sono presenti dialoghi, o per meglio dire ci sono, ma vengono espressi in una lingua incomprensibile, per cui la storia viene raccontata coinvolgendo direttamente l’utente tramite scenette d’intermezzo che, molto semplicemente, ci illustrano la trama del titolo.

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Per guidare i due fratelli basta poco: per muoversi ci si affida alle due levette che controllano i rispettivi movimenti dei due fratelli, mentre i due grilletti rappresenteranno il “tasto azione”. Il fratello maggiore sarà più forte fisicamente e dunque in grado di tirare leve più pesanti o di issare il più piccolo verso sporgenze altrimenti irraggiungibili, mentre quello minore sarà più minuto e agile e potrà infilarsi negli spazi più angusti. La coppia non funziona male, ed è anche ben assortita dal punto di vista caratteriale: non mancano ad esempio scenette in cui si evince il carattere più scanzonato del piccoletto e quello più pragmatico del fratello maggiore, le quali non mancheranno di lasciarvi un sorriso. Eppure c’è qualcosa che non quadra. Questo tipo di gameplay (minimalista al massimo) è probabilmente l’aspetto chiave del gioco, quello che già da solo potrebbe far pendere l’ago della bilancia verso l’apprezzamento o il cestinamento del gioco. E, purtroppo, almeno per quanto mi riguarda l’esperimento non mi è piaciuto. Molto spesso mi sono trovato in difficoltà, non riuscivo a coordinarmi bene (soprattutto quando capitava che il personaggio da comandare con lo stick sinistro si trovasse nella parte destra dello schermo, ad esempio) facendo sì che i controlli risultassero decisamente macchinosi, cosa che per un gioco così lineare come Brothers non posso non bollare come un difetto. Insomma, ci sono così pochi comandi e azioni e, nonostante tutto, il comandi riesco ad essere essere scomodi se non frustanti. Anche questo, per certi versi, è un piccolo record.

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Oltretutto è proprio il concetto di modalità “co-op in single player” a non essere totalmente convincete in Brothers, risultando essere come una sorta di tecnicismo un po’ fine a sé stesso. Per chi mastica di calcio, provate a pensare ad una rabona, quel tipo di tiro che si effettua incrociando il piede che calcia dietro quello d’appoggio. Spettacolare a vedersi, ma se sai calciare con entrambi i piedi è inutile, e oltretutto se la sbagli la figura di merda è assicurata.
Un paragone forse un po’ azzardato, perché poi tutto sommato il tipo di gameplay funziona, e c’è a chi può piacere, ma resta una scelta che non condivido. Anche perché la compagnia di un secondo giocatore avrebbe contribuito ad alleviare la noia di fondo.

Il gioco è bello quando dura poco. Ma qui si esagera.

E qui arriviamo alle note più dolenti del gioco. Brothers è un titolo estremamente lineare, in cui i percorsi sono nettamente prestabiliti, salvo alcuni luoghi più o meno nascosti in cui poter sbloccare un paio di scenette. Ma soprattutto è un gioco che offre pochissima sfida. Gli enigmi presenti non sono mai troppo articolati, e si risolvono con il minimo sforzo. Così come i pochi “boss” da affrontare (se così vogliamo chiamarli) o tutte quelle situazioni di pericolo in cui basta un minimo di attenzione ed è quasi impossibile fallire.

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In ultimo, una cosa da tenere in considerazione è la durata del gioco, estremamente ridotta. Può sembrare banale, ma in realtà è un’aspetto importante del gioco, che ricordiamo è una riedizione di ciò che già abbiamo visto su old-gen, ma che di next-gen ha ben poco. La grafica che già non faceva gridare al miracolo continua a svolgere il suo compitino senza strafare, mentre saltuariamente si assiste perfino ad inspiegabili cali di frame rate. Il tutto per un prezzo che, altrettanto inspiegabilmente, è salito di 5 euro rispetto all’edizione originale (19.99 euro) a fronte di bonus abbastanza scarni, come il commento dell’autore, una gallery di artwork e la possibilità di ascoltare la colonna sonora liberamente. Insomma una riedizione che non convince, e che nel complesso aggiunge ben poco ad un’esperienza di gioco che potrebbe anche piacere, ma per la quale francamente fatichiamo molto a trovare motivi che ne giustifichino l’acquisto, soprattutto a chi già ne ha goduto su old-gen.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.