Novant’anni e non sentirli.

Topolino, inventato nel 1928 da Walt Disney, si avvicina a compiere il suo primo secolo di vita, conservando una forma smagliante e tutti ci chiediamo: qual è il suo segreto?

La storia in realtà è ormai di dominio pubblico, così come le manovre che papà Walt e i suoi successori hanno magistralmente portato avanti per preservarlo da imitazioni e ibridazioni. C’è chi per mantenersi giovane ricorre alla chirurgia, chi si crea vacue illusioni comprando una nuova macchina da corsa e chi costruisce un Impero economico-politico con tanto di agganci in senato per mantenere intaccata la propria immagine. Che la Walt Disney abbia un particolare controllo sulla propria immagine e sui propri prodotti è arcinoto, quanto la storia del Topo sia andata di pari passo con la legge americana sul Copyright, può essere sfuggito a qualcuno. Ma procediamo con ordine. Era il 1928 quando Topolino fa il suo esordio nel cortometraggio animato “Steamboat Willie” e si consacra nell’immaginario collettivo mentre fischietta a piene guance, arrotando il timone del suo battello a vapore. Quella scena è entrata a far parte della storia, ma la riproponiamo qui:

 

Qualche anno prima, Disney aveva ideato un altro animale antropomorfo dalle fattezze cartoonesche, “Oswald il coniglio fortunato”, destinato – chissà – a fare lo stesso botto di Topolino: non avendo depositato i diritti sulla sua immagine, però, il suo creatore ha perso presto il controllo su Oswald, che presto è passato nelle mani della Universal per perire miseramente nel dimenticatoio. Memore di questa brutta esperienza Disney, una volta intuito il potenziale del Topo, ha cristallizzato la sua immagine col copyright. Allora la legge prevedeva che il diritto d’autore potesse essere esercitato per 56 anni, motivo per cui Topolino era protetto fino al 1984. Questo chiaramente non poteva bastare, motivo per cui la Disney, avvicinatasi alla data fatidica iniziò a prendere provvedimenti.

Siamo arrivati nel 1976, Walt Disney è morto da dieci anni e il suo impero si compone di: una società musicale (Walt Disney Music Company, fondata nel 1949), una cinematografica (la Walt Disney Studio, così ribattezzata nel 1927 dopo essere stata fondata col nome di Disney Brothers Studios), un’altra destinata ai prodotti non cinematografici (Walt Disney Publications), la Wonderland Music Company e – ovviamente – un parco a tema (quello in Florida) e la Walt Disney Enterprises per la gestione dei derivati.  A queste aggiungiamo anche la Retlaw Enterprises, creata appositamente per il controllo commerciale sul nome Walt Disney e la Buena Vista International che – come ricorderanno i miei coetanei che guardavano i lungometraggi Disney in videocassetta – distribuiva i film e nel 2007 ha cambiato il suo nome in Walt Disney Studios Motion Pictures. Questa carrellata di nomi, società e divisioni aiuta solo lontanamente a farci inquadrare le dimensioni che allora (e figuratevi, allora, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale), aveva la Walt Disney Co.

Capirete bene che perdere il controllo sul suo rappresentante più in vista, – dopo e al pari di Walt – Topolino, doveva e poteva essere impedito.

Dicevamo, siamo nel 1976. Da là a qualche anno sarebbero scaduti i diritti sul personaggio e i capoccia della major si affrettano a trovare una soluzione. Come succede per pochi eletti in tutto il mondo, se la legge non piace, la legge cambia: fu così che la legge americana sul copyright nel 76 si adegua a quella europea e i diritti si prolungano da 56 a 75 anni. Topolino era al sicuro fino al 2003. Questa estensione fu applicata alle opere create dal 1922 in poi: indovinate? Giusto in tempo perché il Topo potesse goderne.

 

Passa il tempo, il Topo si aggiorna, si moltiplica, diventa detective, esploratore, assume quell’aria di indiscusso protagonista che lo rende così irrimediabilmente antipatico e allo stesso tempo imprescindibile, nella maniera più assoluta. Migliaia e migliaia di artisti crescono e lavorano grazie a lui, al suo nome. La sua faccia è sulle magliette dei Disney Store, nei periodici a fumetti a lui dedicati, nei cartoni animati di Disney Channel (ovviamente l’Impero nel corso degli anni è cresciuto). Topolino è la più grande scommessa vinta da parte di un autore sul suo personaggio, la sua geometria, la sua sagoma ha ridefinito il concetto di icona.

Nel 1971 un fumettista ribelle ha l’ardire di alzare la testa e portare avanti una vera e propria campagna di infezione interna dell’immagine di Topolino. Dan O’Neill fonda il collettivo Air Pirates, prendendo il nome proprio dai nemici che negli anni Trenta assillavano il famoso Topo. L’intenzione di O’Neill e della sua ciurma non era solo quella di prendersi gioco delle rigide regole sul copyright, ma anche e soprattutto di denunciare le ipocrisie e le storture del sistema di cui Topolino era rappresentante. Da bravi pirati, riescono ad arrivare fino alle vette dell’azienda, facendo trovare alcune copie del loro Air Pirates Funnies durante una riunione del consiglio direttivo. La reazione della Disney a questa manifestazione controculturale è quanto mai risoluta: O’Neill è querelato per violazione del copyright e del trademark. Inizia così una battaglia legale combattuta a colpi di matita e puntualizzazioni sul concetto di fair use. Per pagarsi le spese, gli Air Pirates vendono le tavoli originali disegnate per la Disney: una volta realizzato che O’Neill non avrebbe mai ceduto (aveva fondato nel frattempo il Mouse Liberation Front), nel 1978 la Disney tira i remi in barca, rinunciando al risarcimento monetario in cambio della promessa di chiudere con le parodie di Topolino.

Anni Novanta. Siamo pericolosamente prossimi alla nuova scadenza del copyright sul Topo (vi ricordate? Avevamo detto che sarebbe terminato nel 2003). Come se non bastasse, si avvicina anche la liberazione di altri personaggi-cult come Pippo, Pluto e Paperino. Papà Walt, dall’alto dei cieli, non approverebbe per nulla: la legge va cambiata ancora una volta. Adeguandosi ai tempi che cambiano, gli scaltri dirigenti Disney decidono di formare il PAC – Political Action Comittee – per raccogliere fondi finalizzati alla promozione della nuova legge sul copyright. Senza troppe discussioni né annunci pubblici, quello che passerà alla storia come “Mickey Mouse Act” prolunga l’estensione del diritto d’autore fino ai 95 anni dalla nascita del personaggio. La cifra stimata dei contributi elettorali che la Disney (attraverso il PAC) ha versato in quegli anni è di 149.612 dollari, assicurandosi diciannove uomini fidati tra Senato e Camera. Abbiamo notizia anche del passaggio di mille dollari puliti puliti finiti nelle mani del leader della maggioranza al Senato, il repubblicano Trent Lott, da quelle altrettanto candide di Michael Eisner, CEO della Disney: il contributo è stato versato esattamente il giorno stesso della firma favorevole dell’estensione. Grazie a questa manovra Topolino è al sicuro per altri vent’anni, e la sua data di scadenza è posticipata al 2023. Oggi, nel 2018, allo scoccare del 90esimo anno di vita, intravediamo la fine di questo periodo d’oro: non ci resta che aspettare e vedere quali altre magie la Disney ha in serbo per noi.

Ovviamente non ci sono dati certi e inequivocabili dell’influenza della Disney nell’approvazione del disegno di legge sull’estensione del diritto d’autore del 1998: quello che è sicuro è che la major è disposta – se non a tutto – a molto, pur di conservarsi intatta e integra. È altrettanto chiaro che se c’è qualcosa che non si può limitare, è proprio l’invenzione umana e la fantasia che si annida attorno ai tabù: vi invitiamo a leggere “Pantegane e Sangue”, pubblicato dai Wu-Ming e reso disponibile in creative commons – come esige la filosofia del collettivo letterario.

 

 

 

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.