Il richiamo del male riecheggia nelle vostre console

 “Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti”.  Era impossibile, personalmente, non iniziare con questa citazione la seguente recensione, perché in essa è contenuta buona parte dei miei pensieri inerenti all’avventura appena vissuta in compagnia di H.P. Lovecraft e di una delle sue più famose opere.

Call of Cthulhu è la trasposizione videloudica dell’omonimo racconto partorito dalla geniale mente dello scrittore statunitense. Inutile dirvi che le aspettative intorno alla produzione erano alle stelle, vuoi per il fascino sempre verde dell’iconografia dello scrittore, vuoi per la semplice fame di titoli del genere. Infatti spesso sentiamo tutti il bisogno di un titolo del genere, anche solo un po’ per staccare la spina dall’open-world di turno, diventati ormai quasi una moda ricercata ed ambita più del dovuto.

Non vogliamo in alcun modo accelerare i tempi dicendovi sin da subito come il titolo di Cynide venga schiacciato proprio dalle enormi aspettative che portava con sé, ma è bene puntualizzarlo. Il fatto di basarsi su un racconto tanto conosciuto quanto amato poteva, e di fatto così è stato, rivelarsi un’arma a doppio taglio, capace di dar vita ad un prodotto finale incompleto, quasi spaccato a metà.

Il “richiamo” dell’Antico era, in ogni caso, fin troppo forte e non potevamo non cimentarci in questa avventura, desiderosi di scoprire come il team di sviluppo ne avrebbe riproposto le atmosfere  e le sensazioni.

Preparatevi ad abbandonare la vostra sanità mentale, ordunque, giacché questa, probabilmente, non è una scelta poi tanto sbagliata. Del resto, il confine tra genio e follia è molto labile.

Mai giudicare un libro dalla copertina

Ambientata nel 1924, la storia di Call of Cthulhu parte subito in discesa: nel gioco, noi vestiamo i panni dell’investigatore privato Edward Pierce, ex soldato dalla situazione mentale non esattamente serena, e che fa del suo nuovo lavoro praticamente l’unica ragion d’essere.

Sfortunatamente, però, la sua posizione lavorativa è appesa ad un filo, e soltanto un nuovo caso risolto potrebbe risollevarne le sorti. Quasi per miracolo, sulla porta dell’ufficio di Pierce fa la comparsa un uomo, una persona molto distinta e che sembra disposta a tutto per conoscere la verità riguardanti la scomparsa della propria figlia, creduta morta insieme a tutta la famiglia in seguito ad un incendio.

Inutile dirvi che, col passare dei primi minuti, quel che appare come un semplice caso di incidente “domestico” sembra sfociare nel classico delitto passionale, per poi assumere connotazioni sovrannaturali o comunque fin troppo misteriose ed inspiegabili. Per conoscere la verità, il detective Pierce si reca sull’isola di Darkwater, luogo in cui si è consumata la tragedia. Una volta giunto sul posto e fatta la conoscenza degli strani abitanti del luogo, rinviene un elemento fondamentale ai fini dell’indagine che lo spinge a recarsi direttamente sulla scena del crimine.

Supportato dall’agente della polizia locale Bradley, l’uomo inizia la sua opera di ricostruzione dell’accaduto, ispezionando con cura ogni anfratto della decadente magione, in cerca di prove.

La cosa che risulta subito evidente è che la famiglia Hawkins sembrerebbe nascondere ben più cose di quel che sembra: strani simboli disseminati ovunque, raffigurazioni macabre e misteriosi oggetti di culto.

Proseguendo nelle indagini, viene fuori Lovecraft in tutto il suo splendore: su quell’isola tutti nascondono qualcosa e nulla è come appare. Non volendo spoilerarvi nulla, non vi diremo quali verità si celano dietro al caso apparentemente semplice su cui il protagonista è chiamato a far luce, ma tutti i conoscitori del pensiero dello scrittore avranno pane per i loro denti e capiranno cosa intendiamo dire.

Il racconto si presenta qui leggermente lacunoso, soprattutto in alcuni frangenti, con tanto di voli pindarici e spiegazioni mancate: chiunque non conosca l’opera originale faticherà a capire bene l’avanzare della storia ed il messaggio che il titolo vuole trasmettere.

D’altro canto, però, i dialoghi risultano molto convincenti e coerenti, segno del lavoro certosino eseguito dagli sviluppatori, soprattutto sull’interazione tra il protagonista e gli altri personaggi. Questi, infatti, sembrano subire in modo forte le conseguenze delle varie scelte fatte.

Una struttura ludica “tentacolare”

Di pari passo con l’andamento altalenante della trama e della struttura narrativa anche sotto l’aspetto meramente ludico della produzione ci troviamo in una situazione molto simile.

Se da un lato il titolo targato Cynide e Focus Home Interactive mostra alcuni spunti interessanti e che, a conti fatti, convincono, dall’altro siamo costretti ad elencare diverse stonature, alcune delle quali molto pesanti e non giustificabili. La bellezza delle ambientazioni che fanno da sfondo all’avventura, tutte molto calzanti con l’immaginario lovecraftiano e riprodotte con grande cura, è gravemente minata da un’interazione ambientale ridotta all’osso e quasi inesistente, un dettaglio da non trascurare per un titolo del genere. Call of Cthulhu, infatti, è un’avventura grafica che, almeno sulla carta, sembrerebbe offrire una certa libertà d’azione al giocatore ma che, in fin dei conti, non è riscontrabile.

Se si escludono gli elementi strettamente necessari al proseguimento della storia o comunque legate direttamente all’avanzamento generale, le bellissime aree riprodotte sono povere, quasi come un quadro: bello da vedere ma che non puoi toccare con mano.

Anche per questo motivo, il titolo si dimostra piuttosto semplice da approcciare e da portare avanti, ad eccezione di alcune sequenze, molte di essere pesantemente scriptate, davvero ostiche e caratterizzate da una curva di difficoltà ingiustificata. A causa anche dell’assenza del livello di difficoltà settabile, il gioco si piazza direttamente al centro tra i desiderosi di una sfida complessa e quelli meno avvezzi con il genere o comunque più interessati a godersi la storia. Questo non è per forza di cose un difetto, ma rappresenta, per quanto ci riguarda, una limitazione inutile e poco comprensibile. Anche i vari enigmi risultano in verità piuttosto banali nel complesso, fatta qualche piccola eccezione, cosa che rende il titolo abbastanza veloce da portare avanti.

Ciò è dovuto anche alla longevità piuttosto risicata, che si attesta intorno alle dieci ore di gioco scarse, anche nel caso voi decideste di prendervi più tempo tra un azione e l’altra. Ereditando anche degli elementi GDR piuttosto blandi, Call of Cthulhu offre un minimo di personalizzazione del nostro alter-ego. Pierce, infatti, possiede varie abilità, le quali, potenziandole, influiranno su diversi aspetti del gameplay, facilitandoci la vita in alcune situazioni piuttosto che in altre. Potenziando, ad esempio, la Forza, Pierce avrà più successo quando cercherà di estrapolare informazioni usando le maniere forti, se invece decidiamo di spendere i nostri PP (punti personaggio) sull’Investigazione otterremo enormi benefici nell’esaminare gli indizi e così via. Tali punti si ottengono svolgendo le più disparate azioni e sono, in verità, alquanto facili da ottenere.

Discorso diverso per quanto concerne alcune abilità più specifiche come Occultismo e Medicina, che si potenziano soltanto proseguendo con la storia e ritrovando dei testi specifici sparsi per le varie location.

Niente di clamoroso, dunque, ma uno spunto decisamente interessante e che avrebbe meritato un approfondimento maggiore così come quello dei finali multipli, sicuramente piacevoli, ma deludenti e, soprattutto, ugualmente negativi nonostante le varie scelte compiute durante l’avventura. In ogni caso, ogni amante di Lovecraft che si rispetti, con ogni probabilità si ritroverà sempre a casa, nel bene o nel male.

Un paesaggio spoglio

Discorso più diretto, invece, per quanto riguarda il comparto grafico. Seppur caratterizzato, come dicevamo anche poco sopra, da ambienti di grandi ispirazione lovecraftiana, affascinanti e carismatici, il titolo mostra il fianco ad una realizzazione tecnica veramente sottotono.

Animazioni, volti, ma anche soltanto i semplici oggetti presenti, sono riprodotti in modo superficiale ed obsoleto, facendo risultare il titolo sbucato direttamente da una precedente generazione di console. Si tratta, chiaramente, di un gran peccato e di una mancanza difficilmente giustificabile: è pur vero che il titolo è un progetto a basso budget, ma una simile carenza sul piano delle texture (abbiamo provato il titolo su Xbox One X) proprio non ce l’aspettavamo. Sarebbe bastato, ad esempio, scegliere di puntare su una stile grafico diverso, magari meno “realistico”, per nascondere più agevolmente gli ovvi limiti tecnici. Peccato, quindi, perché una simile ispirazione artistica avrebbe meritato sicuramente di più.

Niente da dire per quanto concerne il sonoro: le musiche che accompagnano le avventure di Pierce sono di buona qualità ed aiutano parecchio a calarsi nell’ambientazione asfissiante ed opprimente a cui il titolo mira. Ottimo anche il doppiaggio: gli attori interpretano bene la loro parte, in particolare Pierce, che gode dello stesso doppiatore che ha già dato la voce ad un altro recente protagonista di casa Focus Home Interactive, il buon Dottor Reid di Vampyr.

Verdetto

Call of Cthulhu è un’occasione mancata, un titolo tanto ambizioso quanto promettente, ma che è rimasto schiacciato, inesorabilmente, sotto l’enorme peso delle aspettative di partenza di cui godeva. La realizzazione tecnica veramente inadeguata non è il solo punto debole della produzione, che mostra il fianco a diversi problemi di natura ludica difficilmente ignorabili.

Svetta, su tutti, un’interazione ambientale praticamente inesistente, che ci ha lasciato veramente l’amaro in bocca. Peccato anche per la questione delle abilità soltanto accennate: con un po’ di coraggio in più avrebbe potuto rivelarsi una scelta vincente e convincente, ma alla fine si riduce all’ennesima cosa lasciata a metà che non fa altro che accrescere la delusione. Un titolo, quindi, che sulle prime si mostra coraggioso e con tanta voglia di fare, ma che finisce con il lasciare praticamente tutto allo stato embrionale, mancando così all’appuntamento di offrire al popolo videoludico una bella trasposizione di uno dei racconti più amati di H. P. Lovecraft.

In ogni caso, comunque, il nostro consiglio è quello di dargli una possibilità: al netto di tutti i suoi difetti resta un’esperienza interessante da vivere, possibilmente tutta d’un fiato e con la giusta atmosfera.

Del resto “la verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare”.

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.