Da Ambergris a Colibrì Salamandra passando per l’Area X: come Jeff Vandermeer ha definito (letteralmente) il new weird

e leggete abitualmente qualunque cosa possa rientrare in una definizione o sottocategoria di speculative fiction, che si tratti di fantascienza, weird, fantasy, horror, slipstream o tutte le possibili ibridazioni di questi, allora dovete conoscere per forza Jeff Vandermeer. Lo scrittore americano è diventato negli ultimi anni un punto di riferimento non solo per i suoi romanzi pubblicati, ma anche per i contributi alla diffusione e alla critica della narrativa di genere. È il caso quindi di parlarne, in concomitanza con l’uscita del suo ultimo romanzo Colibrì Salamandra.

New weird is the new weird

Non è facile etichettare la produzione di Jeff Vandermeer, e infatti lui stesso si è premurato di adottare una nuova definizione per includere le sue opere e quelle di molti altri autori contemporanei che si muovono ai confini tra i generi: new weird. In realtà non è stato Vandermeer a coniare il termine, che era stato proposto come possibile definizione di questa nuova corrente già alcuni anni prima da M. John Harrison, ma è con l’antologia del 2008 intitolata proprio The New Weird, curata e introdotta dai coniugi Vandermeer (Jeff e Ann), che questa etichetta è diventata canonica.

Naturalmente la componente weird si rifà alla tradizione classica, e viva ancora oggi, che parte da H.P. Lovecraft, ma tutta la differenza qui la fa proprio l’aggettivo new. Questa “nuova” direzione del weird infatti estende ulteriormente i confini, e se il weird tradizionale si muove più facilmente tra i territori dell’horror, del terror, dell’inquietudine e dell’uncanny, il new weird invece abbraccia maggiormente l’elemento speculativo. Nella loro antologia i Vandermeer tentano ovviamente una definizione, parlando di “narrativa che sovverte la romanticizzazione dei mondi fantastici utilizzando ambientazioni reali come punto di partenza per storie che combinano elementi della fantascienza e del fantasy”. Tuttavia altri autori e critici hanno proposto alternative o integrazioni alla definizione proposta, parlando di suggestioni e intenzioni, o speculative fiction arricchita di qualità letteraria.

Il consenso sul new weird quindi è tutt’altro che raggiunto, come succede d’altra parte per tutti i movimenti letterari in corso, e in particolare per quelli che hanno obiettivi di rottura o avanguardia. La storia ci dirà se il new weird è stato davvero qualcosa di significativo e se autori come China Miéville e M. John Harrison, e lo stesso Vandermeer hanno creato davvero qualcosa di nuovo e unico. Rimane il fatto che, se leggete qualcosa di Jeff Vandermeer, difficilmente potrete dire di aver letto qualcosa di simile prima.

Animali, alieni e astronauti

L’opera più famosa che ha portato Jeff Vandermeer al riconoscimento internazionale è la Trilogia del Southern Reach (o dell’Area X), composta dai romanzi Annientamento, Autorità, Accettazione pubblicati nel 2014-2015. Una storia che rappresenta perfettamente la capacità e l’intenzione di Vandermeer di mescolare elementi della fantascienza con quelli del weird ma anche del mistery e dello slipstream. Una storia che propone un sense of wonder profondo ma malato, protagonisti sfuggenti ma intensi, temi ancorati al presente ma sepolti da livelli di lettura differenti. Dopo Annientamento, sicuramente il più evocativo e riuscito della trilogia, Vandermeer cerca di espandere e al tempo stesso circoscrivere la sua storia, nel senso di renderla più “a portata di umano”, laddove inizialmente sembrava invece concepita da e per menti aliene. Il film di Alex Garland del 2018, nonostante alcuni problemi di produzione e un successo sotto le aspettative, riesce a cogliere bene il mood del romanzo, anche se non ne segue del tutto la trama.

Prima del successo del Southern Reach, Vandermeer aveva già pubblicato altri romanzi e racconti che gli erano anche valsi nomination e premi internazionali come il Nebula e il World Fantasy. Diverse sue storie sono ambientate nella città immaginaria di Ambergris, e anche se non direttamente collegati forniscono comunque uno scenario retrofuristico e carico di volontarie contraddizioni, anche rispetto ai meccanismi di narrazione, come nel caso di Finch, un thriller investigativo in un mondo dominato da funghi giganti senzienti.

Un’altra pseudo-serie è quella di Borne, in cui l’autore si sposta in maniera più netta sui temi della climate fiction e dell’ecologia, descrivendo un mondo postapocalittico in cui una misteriosa Compagnia di bioingegneria ha alterato gli organismi e distrutto gli ecosistemi, al punto che diverse creature le si sono ribellate come l’orso gigante Morde e l’indefinibile Borne, essere al confine tra forme di vita diverse (forse nemmeno terrestri), accudito e cresciuto dalla cacciarifiuti Rachel. Pochi anni dopo, Dead Astronauts (inedito in Italia) parla ancora di strani animali come la volpe blu e l’anatra con l’ala spezzata e il leviatano, tutte creature che in qualche modo si trovano a partecipare al conflitto contro la Compagnia che ha esteso il suo dominio su versioni alternative della storia, che vengono visitate da un trio di astronauti in cerca dell’occasione giusta per liberare la Città. Le preoccupazioni per un futuro cupo e fuori controllo, ma allo stesso tempo una forma di animismo postmoderno che affida a intelligenze non-umane la speranza, sono tra i temi ricorrenti nella produzione dell’autore, e si ritrovano in forma più indiretta anche nell’ultimo romanzo.

La fine del mondo non è un pranzo di gala

Per chi ha letto Annientamento o Borne, la lettura di Colibrì Salamandra, l’ultimo libro di Jeff Vandermeer (come i precedenti pubblicato in Italia da Einaudi, che straccia la competizione internazionale sulle copertine, apprezzate dallo stesso autore), potrebbe risultare disorientante. Trattandosi di Vandermeer però, il senso di disorientamento funziona all’opposto: se normalmente siamo abituati a storie non lineari, narrazione spesso ermetica e a tratti lirica, trame composte più di suggestioni che di eventi, personaggi evanescenti e misteriosi, nel caso di Colibrì Salamandra è tutto il contrario: una storia che procede in ordine cronologico, con una protagonista che ha un nome (anche se solo di comodo) e di cui conosciamo lavoro, famiglia, hobby e storia passata. Jane Smith non ha niente di speciale: una donna imponente, ex wrestler, che lavora in un’azienda di cybersecurity e ha una vita sostanzialmente ordinaria, fino a che non riceve un biglietto.

Anche la formula narrativa di Colibrì Salamandra può risultare anomala per i fan di Vandermeer, poiché si tratta di una spy story in piena regola, con tutti gli ingredienti del caso: intrighi internazionali, agenti sotto copertura, indizi criptici da raccogliere e mettere insieme con una buona dose di apofenia, pedinamenti sparatorie e scazzottate. Il tutto perché Jane ha ricevuto un biglietto che la indirizza in un deposito in cui trova un colibrì imbalsato, una specie estinta che la mette sulle tracce di Silvina Vilcapampa, ecoterrorista ricercata e data per morta, rampolla diseredata di un impero industriale che traffica in animali esotici, biotecnologie e mascherine chirurgiche. Per qualche ragione che nemmeno lei capisce a fondo, Jane si lascia trascinare in questi intrighi, che a differenza della tipica spy story non servono a smascherare complotti globali perché quello che sta succedendo nel mondo è sotto gli occhi di tutti, e lo scopo della caccia a Silvina è semmai l’acquisizione di una nuova prospettiva e consapevolezza, una sorta di viaggio spirituale verso l’accettazione (o l’annientamento?).

Colibrì Salamandra è ambientato “un minuto nel futuro”, in una regione degli USA non meglio definita in cui si fanno convegni sulla sicurezza informatica ma al tempo stesso si parla di pandemie in arrivo e ci si arrende alla frammentazione delle istituzioni. In tutto ciò il progetto utopico di Silvina, di cui Jane raccoglie la filosofia, sembra offrire un’alternativa che forse è soltanto una fiaba consolatoria. Questo romanzo è ufficialmente indipendente dagli altri scritti da Vandermeer, eppure non si può fare a meno di notare l’attenzione ai temi dell’ecofiction, dell’apocalisse imminente, del ruolo dell’uomo rispetto alle altre creature. E forse non è così assurdo immaginare che la Vilcapampa Industries possa essere la forma originaria della Compagnia di Borne e Dead Astronauts, così come il mondo al collasso ecologico e sociale che si vede alla fine del romanzo sia quello in cui Rachel andrà a caccia di rifiuti e gli astronauti morti torneranno più e più volte. I colibrì e le salamandre non sapevano di essere gli ultimi della loro specie, quando si sono estinti. E noi, lo sappiamo?

Andrea Viscusi
Nato sotto le esalazioni della nube di Chernobyl, laureato in statistica, consumatore di fantascienza e musica elettronica, autore sci-fi/weird/slipstream. Ha pubblicato una sessantina di racconti, tre raccolte personali, due romanzi e un libro illustrato sui mammiferi preistorici. Editor e writing coach, sul canale youtube STORY DOCTOR analizza la struttura narrativa dei film. Scrive sul blog UNKNOWN TO MILLIONS dal 2010 e ha fondato la rivista di speculative fiction SPECULARIA. Si definisce il maggior fan italiano di Futurama e nessuno l'ha mai smentito.