You’re gonna carry that weigth 

Anno 2077, la Terra è martoriata da tempeste di meteoriti e la popolazione terrestre ha colonizzato i pianeti circostanti. Con l’enorme dislocazione di insediamenti umani, il crimine è difficile da tenere a bada, tanto da reintegrare l’antico lavoro del cacciatore di taglie. Spike e Jet, due cacciatori sempre in cerca della prossima taglia, si ritroveranno, loro malgrado, ad accogliere sulla loro nave Faye, nota truffatrice; Ed, una giovane hacker, e il cane Ein, un Welsh Corgi super intelligente. Questa improbabile collaborazione aprirà la strada a una serie di avventure divise tra ricercati da catturare e situazioni passate da dimenticare.
Si potrebbero spendere delle ore nel tentativo di spiegare che tipo di storia sia quella di Cowboy Bebop. L’anime di Shin’ichiro Watanabe è un connubio tra noir, pulp e hard boiled, il tutto rivisitato in un plot tipicamente western trasposto in un’ambientazione fantascientifica ma, nonostante l’enorme miscuglio di generi, quello che ne risulta è una delle opere più significative della storia dell’animazione nipponica per temi, sceneggiatura e regia.

Chiunque si approcci a questa opera per la prima volta ha come il sentore che Cowboy Bebop non abbia una vera e propria trama di fondo: la linea narrativa, specie nelle prime puntate, è incentrata sulle storie dei vari ricercati e i tentativi dei nostri eroi di catturarli, i quali non sempre vanno a buon fine. Tuttavia, nonostante il semplicistico espediente che spinge la storia a procedere, non si può non percepire una sorta di calore che invade il petto durante la visione. Senza neanche rendercene conto, ci ritroviamo ad affezionarci a tutti i personaggi: principali, secondari e comparse, tutti, nessuno escluso. È proprio questa la forza di Cowboy Bebop, cercare la realtà in un mondo fantascientifico, cosa che è in grado di ottenere grazie all’umanità genuina dei protagonisti.

Per buona parte della vicenda non sappiamo un accidente di Spike, Jet, Faye o Ed. Si mostrano sulla scena con una naturalezza disarmante e non fanno altro che agire senza troppe presentazioni e, paradossalmente, si avrà una visione più a tutto tondo dei personaggi secondari che si susseguono nei vari episodi. La verità è, però, che impariamo a conoscere i nostri eroi nella stessa maniera in cui essi fanno conoscenza tra loro: a poco a poco, con frasi dette a metà, una confessione di troppo, un fantasma del passato che si ripresenta. Non ci viene presentato il background dei protagonisti su un piatto d’argento, ogni informazione che li riguarda ci viene passata sottobanco, suggerita indirettamente, e non appena la storia verterà sul passato di uno di loro, ci renderemo conto che certi particolari li conoscevamo già, ma aspettavamo solo una conferma.

The real folk blues

Per chi ha visto e amato questo splendido anime, sa bene che la vera protagonista indiscussa, in realtà, è solo una: la musica. La colonna sonora di Yoko Kanno e i suoi Seatbelts assume una vera e propria valenza narrativa, spesso facendo da pilastro su cui si costruiscono alcune delle sequenze più belle di tutta la serie. Passando dal jazz, al rock, al blues, esplorando anche tanti svariati sottogeneri, la colonna sonora resta in linea con la natura poliedrica dell’opera, che si rifiuta di incatenarsi a dei canoni predisposti, abbracciando l’intrinseco desiderio di libertà che è il messaggio ultimo di questa meravigliosa storia. Una sequenza come quella della caduta attraverso il rosone della chiesa, nell’episodio 5, fa venire la pelle d’oca anche, e soprattutto, per la scelta della musica che accompagna il turbinio di flashback che si susseguono nella mente di Spike. Anche i titoli degli episodi rendono omaggio a canzoni che, in qualche modo, suggeriscono il tema che colorerà la vicenda. In Cowboy Bebop le parole sono spesso di troppo, bastano delle note ben incastonate nelle scene e tutto diventa improvvisamente chiaro.

C’era una volta un gatto un po’ speciale…

Dire che l’equipaggio del Bebop sia un gruppo male assortito è mero eufemismo. L’idea degli autori era infatti quella di mettere insieme persone che non avessero nulla a che fare l’una con l’altra, almeno all’apparenza. Spike è un ex affiliato della mafia, Jet un ex poliziotto, Faye è una patita del gioco d’azzardo che proviene dal ventesimo secolo, Edward è una hacker che vive in una realtà tutta sua, mentre il cane non può fare a meno di osservare tutti con aria perplessa come se cogliesse una verità che agli altri sfugge miseramente. Nel loro mal sopportarsi a vicenda e dietro l’apparente indifferenza reciproca si nasconde una triste verità sul perché tutti loro continuino a tornare sulla nave, ossia la loro profonda solitudine. 

Edward ha attirato il Bebop sulla Terra perché era stufa di essere sola, autoinvitandosi a far parte della ciurma ma sarà la prima a lasciare i suoi compagni per andare in cerca della sua strada. Faye è una donna sgradevole e opportunista, che si è unita all’equipaggio solo per un tornaconto personale ma, mentre era alla disperata ricerca di un posto a cui appartenere, ha capito che il Bebop è la sua unica casa. Jet, nonostante si sia sempre lamentato dei suoi compagni, è il primo a preoccuparsi per loro, a medicarli quando sono feriti e a cucinare per tutti. Spike si comporta come se non gli importasse niente di nessuno, ma dietro la sua apatia si nasconde una profonda sofferenza per il suo passato e per la donna che ama. 

Il passato di Spike è un’ombra che di tanto in tanto si riaffaccia per ricordargli che non si può cancellare ciò che è stato. Nell’intrecciarsi delle storie dei nostri eroi, Spike è una sorta di filo slegato che si affianca a tutti ma non si lega con nessuno, cosa che viene dimostrata con il drammatico epilogo della vicenda. Spike decide infine di salutare i suoi compagni e di tornare al suo vecchio mondo per l’ultima volta, per far convergere finalmente il suo doppio sguardo – uno al passato e uno al presente – e mettere fine al quel “sogno dal quale non riesce a svegliarsi”. Tornando dalla sua Julia, avvierà una escalation di eventi che porteranno al triste epilogo del suo percorso, un finale triste e drammatico ma che si rivela essere terribilmente perfetto.

Cowboy Bebop è una rapsodia di emozioni che si rincorrono in una danza che salta dall’umorismo al dramma con un’eleganza affascinante, in grado di solleticarci il momento prima e di ferirci il momento dopo. Dopo più di vent’anni continua a fare scuola, a commuovere e a farci viaggiare tra le stelle. Guardare questo anime è come navigare a cielo aperto e ogni volta che si ricomincia la visione dal primo episodio è un po’ come tornare a casa.

See you space cowboy…

 

Erika Pezzato
Laureata in lettere, cinefila per vocazione e scrittrice a tempo perso. Appassionata di film cult, fumetti e videogiochi, con un amore spasmodico per la letteratura, in particolar modo per il genere fantastico. In costante attesa che uno stregone bussi all'uscio di casa per offrire una nuova avventura alla quale non si può rinunciare.