Al Roma film festival arriva l’ultimo film con Sergio Castellitto protagonista. In Crazy for football riusciremo finalmente a staccarci dalla commedia, in stile “italiano”, degli ultimi anni?

Volfango De Biasi torna, dopo il suo documentario, a raccontarci una storia ricca di insegnamenti. Per farlo, questa volta, ha chiesto aiuto a un peso massimo come Sergio Castellitto, riuscendo nell’intento e dimostrandoci che, in fin dei conti, siamo tutti un po’ Crazy for football.

Crazy football

Nel tempo, purtroppo, la commedia italiana ha preso 3 strade, incapaci di fare tesoro della nostra grandissima tradizione. Da I soliti ignoti, fino a Febbre da cavallo, la nostra tradizione cinematografica si è sempre distinta per uno stile, un’eleganza e una cura del dettaglio, che ci ha elevato sopra ogni altro paese al mondo. La commedia italiana ha fatto scuola ovunque, tranne, purtroppo, da noi.
Il filone comedy è degenerato in film volgari e privi di qualsiasi criterio registico. In commedie da “TV della domenica pomeriggio”, fino a quei piccoli sprazzi di luce di Checco Zalone (seppur lontanissimi dai giganti del passato).

Crazy for football, pertanto, come ogni commedia italiana che si rispetti, non esula da questa semplicistica, ma purtroppo realistica, classificazione.
L’ultima pellicola di Volfango De Biasi, però, non fa sua questa etichetta in veste dispregiativa, anzi, tutt’altro. Il regista riprende la storia della nazionale italiana di calcio a cinque per ragazzi con disturbi psichiatrici. Una storia vera che, come primo intento, ha quello di educare. Il divertimento c’è, ma è un mezzo attraverso il quale poter arrivare a fare gol.
Fondamentale, in questo  intento, è Max Tortora nei panni di Vittorio, lo squattrinato allenatore di questa marmaglia di calciatori.

L’attore romano, ogni volta che interrompe sullo schermo il Dottor Lulli (Castellitto), ci riporta alla realtà narrativa sulla quale si basa quest’opera: la comicità.
Battute semplici, dirette, tutte quante perfettamente in linea con il repertorio di Tortora, che donano umanità ad un contesto che, delle volte, rischia di perderne a causa di preconcetti e disinformazione.
La direzione di De Biasi è lineare e non ha molti espedienti narrativi per poterci portare alla conclusione del film, ma non è un problema. La storia deve intrattenere e allietare lo spettatore, non spetta certo a questo tipo di opera tirare fuori giochi pirotecnici.
Uno degli aspetti che donano maggior credibilità a Crazy for football è la veridicità delle situazioni in campo.
I più navigati giocatori di calcetto comprenderanno quanto avverrà sullo schermo, ma anche chi, di sport, non ha mai masticato nulla. In un film del genere, spesso e volentieri, le scene con il pallone risultano plasticose, fini a sé stesse, mentre in questo caso cono vive e riprendono dinamiche che, almeno una volta nella vita, sono capitate a tutti quanti gli amatori del piccolo rettangolo verde.

Crazy football

Inutile sottolineare la performance di Sergio Castellitto, ampiamente a suo agio nei panni del Dottor Lulli, e nella sua confort zone, con una prova vera, divertente, ma soprattutto delicata.

In tutto ciò, però, siamo costretti ad evidenziare, per onorare la verità, i piccoli problemi disseminati durante una proiezione che, con un ritmo ben cadenzato, riesce a farli sparire da sotto gli occhi del pubblico in sala. I cliché narrativi adoperati sono numerosi. Quelli del “padre distante e dedito al suo lavoro”, fino alle relazioni amorose che, anziché donarci empatia, annoiano più del dovuto. Espedienti che abbiamo già visto migliaia di volte e che vedremo altrettante centinaia.

Il problema principale, però, è la mancanza di un vero climax. Un momento che ci permetta di fare un sonoro applauso a questa produzione. Crazy for football è efficace, credibile e delicato, ma manca il momento cardine vero, che dia la zampata finale. Quel tocco del bomber che “spacchi la porta”.

Nonostante ciò le prove dei protagonisti e la direzione ci portano al raggiungimento effettivo dell’obiettivo iniziale: insegnarci che, l’unica vera malattia esistente, è quella per il calcio.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.