Cyberpunk 2077 con Phantom Liberty è davvero un gioco nuovo?

Tre anni fa vi parlavo di Cyberpunk 2077 su queste pagine in modo certamente non entusiasta. Non si trattava dei bug o delle performance, che comunque rendevano il gioco ben distante dal minimo accettabile, quanto di diverse narrazioni costruite dal reparto marketing di CD Projekt RED che volevano Cyberpunk 2077 come un immersive sim open world con una storia pregna di temi cari alla letteratura cyberpunk, il tutto condito con ampia libertà di interpretazione. Ecco, queste cose non c’erano.

E non ci sono neanche oggi, chiaramente. Ancora una volta, nonostante ci sia stato raccontato che Cyberpunk 2077 sia un altro gioco con l’update 2.0, Cyberpunk 2077 è lo stesso gioco di prima, solo che non si rompe. Che comunque non è una cosa da sottovalutare. Se è vero che ci sono stati cambiamenti sostanziali in alcuni ambiti, come l’albero delle abilità che ora è decisamente più a fuoco, le basi sono chiaramente sempre le stesse.

Un’altra cosa che è cambiata è la (mia) distanza rispetto a quello che Cyberpunk 2077 avrebbe voluto essere: se nel dicembre di tre anni fa mi aspettavo una cosa precisa quando ho avviato il gioco, adesso le mie aspettative erano radicalmente diverse. Un po’ perché erano già state tradite dalla mia prima partita di tre anni fa, un po’ perché Cyberpunk 2077 non era più al centro dei riflettori come la next big thing del videogame. E così Cyberpunk 2077 mi è piaciuto molto, molto di più.

Questo mi ha dato molto da pensare su come viviamo i videogiochi, e come internet e la comunicazione delle aziende influenzino le nostre aspettative – in positivo ma anche in negativo – fino a rendere sostanzialmente impossibile fruire a partire da una prospettiva neutra di un qualsiasi prodotto/opera. Sicuramente sembrerà ovvio a molti, e anche già trito e ritrito, però di casi di impatto come Cyberpunk 2077 ce ne sono stati pochi, e se si pensava che il gioco sarebbe stato uno spartiacque per quanto riguarda gli RPG, ci siamo invece trovati di fronte a un ampliarsi della distanza che già separava il pubblico dalla critica e dalle aziende. Soprattutto dalla critica, perché il “rapporto” tra pubblico e CD Projekt RED è migliorato sensibilmente patch dopo patch, con una storia di redenzione che ha riportato l’azienda polacca nei cuori di (quasi) tutti.

Il Cyberpunk 2077 che ci troviamo di fronte oggi è quindi un gioco migliore, più pulito e più grande che mai grazie al DLC Phantom Liberty che è uscito contestualmente alla release della patch 2.0. Se quindi, come già detto, Cyberpunk 2077 non è ancora un immersive sim open world con ampia libertà di interpretazione è invece un ottimo ARPG narrative-driven con una discreta libertà di approccio alle missioni e possibilità di interpretazione legate principalmente alla build del personaggio (ora più chiara grazie al nuovo skill tree), ma limitata nella costruzione di V sotto il profilo caratteriale.

Proprio questo mio cambio di prospettiva mi ha permesso di apprezzare Cyberpunk 2077 più di prima, perché sono passato dal chiedermi “Come mai non posso fare questa cosa?” al domandarmi “Come posso risolvere questo problema dati questi strumenti?”. C’è anche una componente oggettiva nel mio aver apprezzato di più il gioco, come la rinnovata pulizia tecnica – ora il gioco funziona benissimo – e il nuovo skill tree, molto più chiaro, ma anche tanti piccoli accorgimenti minori che non saltano all’occhio ora che sono stati implementati, ma la cui assenza incrinava la sospensione dell’incredulità tre anni fa.

Riguardo lo skill tree ricordo chiaramente che nella versione 1.0 non ero riuscito a costruire un piano di crescita specifico per la mia V, mentre ora fin dall’inizio sapevo più o meno quello che volevo fare. Inoltre, è possibile togliere in qualsiasi momento i punti assegnati ai diversi nodi di abilità, e così man mano che si definiva il mio stile di gioco (ad esempio mi sono accorto che le spade mi piacevano più nella mia testa che effettivamente nel gioco) rimodulavo le skill di V in accordo.

Le novità della versione 2.0 del gioco sono diverse, e non mi sembra la sede per parlare di un changelog. Complessivamente però Cyberpunk 2077 è un gioco con molte meno sbavature e i cui sistemi funzionano molto meglio.

Il grande nuovo arrivato alla festa è però il DLC, Phanotm Liberty, un’espansione che porta con sé una nuova storyline, un nuovo finale possibile e una nuova area con nuovi personaggi e nuovi rapporti di potere.

Nonostante la storia di Phantom Liberty sia contenuta in sé stessa si unisce alle varie possibilità che nella metà del gioco ci vengono offerte per risolvere “il problema” di V. In questo modo Phantom Liberty si integra perfettamente nell’economia narrativa del gioco originale, accostandosi in maniera organica alle varie questline di metà gioco di Cyberpunk 2077.

La storia proposta ha però più branch narrative delle omologhe questline su come rimuovere il Relic dal cervello di V, e complessivamente offre più libertà di scelta al giocatore, tra cui anche la possibilità di interpretare V in modo da precludersi l’accesso alla storyline del DLC, offrendo uno scorcio di come sarebbe apparso un Cyberpunk 2077 più orientato alla libertà di interpretazione piuttosto che alla necessità di raccontare una storia (e non sarebbe stato male).

Di contraltare a questi momenti in cui la libertà di scelta si prende maggiore spazio ci sono diverse fari guidate davvero potenti in cui l’azione si fa più serrata e la qualità della regia si impenna anche grazie alla minore libertà offerta al giocatore.

E ancora ci sono missioni in cui il nostro “campo di gioco” non è più un’area circoscritta ma l’intera mappa di Dogtown (così si chiama la nuova zona di Night City), permettendoci di dare sfogo alla creatività nell’approccio al gioco che non c’è nel Cyberpunk 2077 “vanilla”.

Phantom Liberty alterna questi momenti in modo eccellente, tenendoci attaccati allo schermo per tutta la durata della sua missione principale, mostrandoci scenari incredibili, situazioni inaspettate e momenti di scelta veramente gravi, in cui è molto più difficile prendere una posizione rispetto a quanto non avveniva nella missione principale del gioco originale.

Senza andare troppo nel dettaglio – non sarebbe utile – Phantom Liberty propone un racconto dalle tinte da spy story, molto diverso da quelli già proposti nel gioco base. Così ci troveremo ad avere a che fare con la Presidente degli Nuovi Stati Uniti e con alcuni membri dei servizi segreti statunitensi, oltre che con la criminalità in carica a Dogtown.

Songbird e Solomon Reed sono i due nuovi personaggi importanti introdotti con Phantom Liberty, il secondo dei quali interpretato in maniera eccellente da Idris Elba. E per “in maniera eccellente” intendo che mi è piaciuto molto di più di Keanu Reeves.

Con le giuste scelte ci si aprirà la strada a un nuovo finale per l’epopea di V, che andando a memoria mi è sembrato molto più breve di quelli proposti dal Cyberpunk 2077 originale, ma molto più forte in quella che è la sorte di V.

A margine troviamo ovviamente missioni secondarie nuove, contratti e tutto quello che ci si aspetterebbe da una nuova zona di Night City. Una nuova zona con una fortissima identità estetica tra l’altro.

In ultimo, una cosa che ho apprezzato molto di Phantom Liberty è la poca pretesa di affrontare chissà quali temi e rimanere una semplice spy story. Non perché penso che i videogiochi non debbano affrontare grandi temi, anzi, ma perché credo che in questo il primo Cyberpunk 2077 fosse piuttosto debole, in un costante tentativo di affrontare discorsi cari al cyberpunk ma senza riuscirci (quasi) mai veramente.

C’era qualche missione secondaria di ottimo livello sotto questo punto di vista chiaramente, ma nel complesso il cyberpunk del titolo del gioco era perlopiù estetica (ottima estetica, per carità) che non contenuto. In Phantom Liberty sembra che CD Projekt RED non ci abbia neanche provato a “darsi un tono”, raccontando solo un’ottima spy story in un contesto cyberpunk.

E non è affatto un difetto, anzi! Se rispetto al racconto principale del Cyberpunk 2077 originale mi lamentavo del troppo accennare temi senza riuscire quasi mai a svilupparli in maniera strutturata, qui mi sono semplicemente goduto il racconto senza mai alzare un sopracciglio per la goffaggine di accenni mal sviluppati a temi importanti.

Purtroppo, quella goffaggine è ancora lì, nel gioco principale, alternata agli ottimi momenti offerti da alcune missioni secondarie. Ma era prevedibile e ovvio, perché nonostante gli anni di patch Cyberpunk 2077 è, come vi dicevo, ancora lo stesso gioco di prima, e i suoi limiti non erano tecnici – o almeno non solo – ma anche di contenuto. E questo non cambierà mai, Cyberpunk 2077 non diventerà mai il gioco che nelle aspirazioni dello sviluppatore avrebbe dovuto essere.

Cyberpunk 2077 è però un ottimo gioco, un fantastico action RPG con un bellissimo contesto cyberpunk in cui si guida bene, si spara bene e ci si diverte un sacco. Non è tutte le altre cose che ci sarebbero piaciute e che ci avevano detto che ci sarebbero state: non è una riflessione strutturata sui temi cari alla letteratura cyberpunk né un gioco che offre grande libertà di approccio.

Solo che a volte ci servono un paio d’anni per riuscire a staccarci da quello che ci era stato detto di aspettarci per avvicinarsi in maniera più “pura” a un qualsiasi prodotto o a qualsiasi opera.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.