Io ne ho viste cose che voi umani…

Il mondo del grande e piccolo schermo ha finalmente riscoperto il cyberpunk. Dal live-action di Ghost in the Shell sino alle più recenti produzioni Netflix come Altered Carbon o Mute, i salotti della nerd culture sono stati annegati da un mare di discussioni conseguenti alla nuova ondata di contenuti di questo particolare sottogenere.

Cos’è quindi il cyperpunk?
Il mondo del cinema ha sempre avuto un rapporto molto particolare con questa corrente artistica, soprattutto perché il principale artefice del lancio per il grande schermo è stato un successo planetario che ne ha fagocitato costantemente i successori.

Stiamo parlando di Blade Runner. Il film di Ridley Scott (1982) è divenuto sin da subito il punto di riferimento di tale genere, rappresentando il vero cardine stilistico e concettuale della cultura cyperpunk cinematografica, ma soprattutto è ciò che l’ha trasposto sul grande schermo, ridando vita – in un certo senso – agli esperimenti e i successi letterari di Philip Dick, e ai pochi noti antenati telecibernetici, come il serial L’uomo da sei milioni di dollari, degli anni ’70, o Spazio:1999, con Martin Landau protagonista, sempre nello stesso periodo.

È con Blade Runner, e con il suo successo, che il mondo si accorge pertanto del genere (o meglio, sottogenere) cyberpunk, di cui viene finalmente e degnamente riconosciuta l’esistenza.

Ma perché?

Blade Runner non è solamente un film stupendo in ogni suo dettaglio, ma è la totale celebrazione del pluricitato filone, in cui viene esaltato ogni aspetto, dalle atmosfere grigie e claustrofobiche, alla caratterizzazione dei suoi personaggi replicanti, alla completa antitesi tra un mondo totalmente tecnologico e la totale assenza di sentimentalismo. Dà vita a Dick, abbiamo detto, ed è realmente così; i racconti visionari dell’autore, la sua distorsione della realtà, trova concretezza nella “realtà disegnata da Scott, nella completa trasposizione di quello che è uno dei suoi migliori romanzi:  Il cacciatore di androidi o meglio Ma gli androidi sognano pecore elettriche? ovvero Blade Runner.

Si è fatto ben poco, poi, per fare in modo che il cyberpunk potesse restare sugli alti livelli toccati dal capolavoro del regista inglese, che tra l’altro al tempo riuscì persino a dividere la critica, forse perché non abituata ad un così particolare genere.

Nello stesso, il 1982, il filone subì una prima divaricazione, grazie ad un altro cult portato sul grande schermo da Steven Lisberger, Tron. Tuttavia quest’opera si distanzia molto dal suo fratellastro maggiore (Blade Runner n.d.R.), poiché l’atmosfera cyberpunk resta – appunto – atmosfera e non riesce a fondersi con la pellicola con la stessa naturalezza della produzione Scottiana, e ciò che colpisce lo spettatore è più che altro l’innovazione tecnologica, un determinato utilizzo di tecniche di computer grafica.

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I successivi figliocci non riusciranno mai a seguire le orme paterne, perché ognuno di essi di fronte al bivio prenderà la strada sbagliata. Un’opera come Videodrome (1983) di Cronenberg risulterà troppo specifica e fuori dagli schemi; Brainstorm-Generazione Elettronica (1981) di Trumbull sarà invece quella che probabilmente si avvicinerà di più alle concezioni toccate in Blade Runner, ed ebbe anche il merito di affrontare tematiche molto complesse per l’epoca, tuttavia non venne apprezzato a sufficienza né dal pubblico né dalla critica, poiché – argomenti a parte – non si trattava in effetti di un film eccezionale.

La saga di Terminator e soprattutto quella di Robocop si attestano poi su un sottogenere differente, in cui la figura del superuomo è centralizzata rispetto al lavoro complessivo che viene svolto, di contro, nel dipinto della realtà di Scott. In ogni caso qui l’elemento cyberpunk è piuttosto preminente, con i tremendi artifici biorobotici di Robocop (di cui ricordiamo tre film: rispettivamente di Verhoeven, 1987, di Kershner, 1990 e di Dekker, 1992), ed il concetto della macchina che ha la meglio sull’uomo, elemento basilare per questo particolare tipo di storie.

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Anche dal Giappone arrivano realtà di questo tipo, con la trilogia di Tetsuo, ed in particolar modo con il suo primo film Tetstuo: The Iron Man (1989) di Shinya Tsukamoto, che racconta di un auto-feticista che innesta componenti metallici nel proprio corpo. Paradossalmente quest’opera è quella che tra tutte più si avvicina al messaggio ed alla dottrina di Blade Runner, grazie ad un lavoro certosino e mirato del regista, che ci vuole palesare il suo bisogno di shockare lo spettatore, di porlo dinanzi al concetto di mutazione e cambiamento in un folle racconto fatto di carne e di acciaio che riesce a donare delle atmosfere tanto convulse quanto tremendamente, e finalmente, cyberpunk.

Dopodichè si arriva a ciò che il cinema contemporaneo è in grado di partorire, ovvero quegli archetipi di cinema postcibernetico all’interno di scenari postapocalittici, tipo il pur ottimo Equilibrium e l’eccezionale Gattaca, ma soprattutto l’incredibile Matrix (1999, il primo film) di Lana e Lilly Wachowski, trilogia dal nome che preannuncia un destino. È la matrice di un nuovo corso del cyberpunk, che riesce (quasi) al pari di Blade Runner ad avere un impatto talmente potente sull’universo cinematografico, da divenire punto di riferimento per le opere a seguire.

Tornando quindi a Blade Runner non possiamo che citare il sequel, quel Blade Runner 2049 visto recentemente sul grande schermo per la regia di Denis Villeneuve, che però non ha convinto tutti nonostante sia indubbiamente un capolavoro della tecnica, dove al di là delle brillanti doti registiche abbiamo a che fare con degli effetti speciali favolosi e una fotografia incredibile (per cui finalmente Deakins ha vinto il suo primo Oscar), ma anche con una scenografia che toglie il fiato, per la quale però Dennis Gassner e Alessandra Querzola non hanno ottenuto i giusti riconoscimenti.

Capolavori come il Blade Runner di Scott o gli altri citati in questo articolo hanno dato fondo a temi ed ambientazioni per un sottogenere in cui adesso diventa molto difficile stupire lo spettatore, ma data questa sorta di ritorno in auge noi speriamo sempre, in fondo, di rivedere prima o poi qualcosa che riesca a toccare le corde che hanno sfiorato i cult; perché il sottogenere cyberpunk merita di essere scandagliato, esplorato, e trasposto come solo pochi hanno saputo fare; perché la atmosfere plumbee di questa corrente artistica non possono non affascinare dei nerd come noi; e soprattutto perché abbiamo ancora voglia di emozionarci per dei veri capolavori.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.