Se la realtà è una prigione, è così sbagliato cercare di evadere? – domanda Bogdanov.

Compito dell’umanità è distruggere le prigioni, – risponde Vlados diligente. – Cambiare la realtà.

Si è vero, – conviene Bogdanov. – è quanto ci dice il nostro buon marxismo. Ma per farlo bisogna essere capaci di immaginare un mondo senza prigioni. E Denni lo immagina eccome. Quanti di noi possono dire lo stesso?

Ambientato in Russia durante il decennale della Rivoluzione d’Ottobre e la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, il nuovo romanzo dei Wu Ming Proletktul narra l’incontro tra lo scrittore, filosofo, scienziato e rivoluzionario Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov e la piccola Denni. Quest’ultima, che sembra uscita direttamente dalle pagine del famoso romanzo Stella Rossa, porterà Bogdanov ad intraprendere un viaggio nei suoi ricordi, permettendo al lettore di rivivere i giorni e gli incontri di uno dei protagonisti della rivoluzione russa.

In questo articolo proveremo a ripercorrere (chiaramente con tutti i limiti del caso) uno dei topoi al centro del nuovo libro dei Wu Ming e l’uso che quest’ultimi ne fanno.

“Proletari di tutti i pianeti unitevi!”

Uno dei filoni più fecondi della fantascienza è sicuramente quello relativo all’incontro con l’altro: l’alieno.

Padre della fantascienza russa, Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov fu uno dei primi ad utilizzare questo espediente narrativo. Nelle sue opere La stella rossa (1908) e L’ingegner Menni (1912), l’autore descrisse una civiltà marziana di stampo socialista dove i bambini venivano cresciuti in modo comunitario, i lavoratori cambiavano continuamente le loro mansioni per facilitare il processo creativo e non c’erano differenze tra uomini e donne. Ciò che rendeva armoniosa la vita nel “pianeta rosso” era l’organizzazione attraverso una pianificazione efficiente, trasfigurazione in letteratura dei saggi filosofici di Bogdanov sulla tectologia.

Ma il padre della fantascienza russa non è l’unico a immaginare l’incontro tra comunisti e popolazione aliena, l’intera fantascienza russa è costellata da questo vero e proprio topos. Proviamo a fare qualche esempio.

A cinque anni dalla rivoluzione russa, nel 1922, compariva il romanzo di Aleksei N. Tolstoj Aelita. Ambientato su Marte, dove l’ingegnere sovietico Los si innamorava della perfida tiranna Aelita, il romanzo descriveva la ribellione innescata dai russi per salvare i marziani oppressi. Diretta da Jakov Aleksandrovič Protazanov, nel 1924 usciva anche la trasposizione cinematografica. Nello stesso anno vedeva la luce il cortometraggio animato Mezhplanetnaya revolutsiya (Interplanetary Revolution). In un mondo in cui ormai la rivoluzione comunista aveva trionfato e in cui i capitalisti erano stati definitivamente sconfitti, alcuni malvagi sopravvissuti riuscivano a scappare dalla terra e a rifugiarsi su Marte. I valorosi bolscevichi sovietici, costruivano una flotta di astronavi e partivano per il pianeta rosso, con lo scopo di esportare la rivoluzione socialista e salvare il pianeta dal capitalismo. (Al link è possibile vedere l’intero cortometraggio).

Nei decenni successivi, e soprattutto durante gli anni del terrore staliniano, la fantascienza andrà incontro a diverse difficoltà. Già nel 1921 era stata rifiutata la pubblicazione di Noi di Evgenij Zamjatin, che esasperava e trasportava in un futuro prossimo il conformismo caratterizzante la dittatura sovietica. Nel 1928 iniziò una generale repressione della fantascienza e negli anni Trenta essa era ormai ridotta a genere letterario per ragazzi destinato alla divulgazione tecnologica e alla propaganda nazionalistica. Bisogna aspettare il 1956 e il disgelo per osservarne una ripresa.

Tale ripresa corrispondeva, non a caso, all’inizio della conquista russa dello spazio. L’Unione Sovietica aveva d’altronde investito molto sia in termini economici che culturali in campo astronomico e la fantascienza era un’ottima alleata. Se negli Stati Uniti la “Space Age” rappresentava, oltre la trasposizione del mito della frontiera, il trionfo del capitalismo e dei valori dell’American Way of life, nella visione sovietica lo spazio era un vero e proprio paradiso socialista, destinato alla diffusione degli ideali di uguaglianza.

Gli anni Cinquanta furono dunque un’epoca d’oro per il genere, che si arricchì degli stimoli provenienti dalla cultura occidentale. Per fare solo alcuni esempi, La nebulosa di Andromeda (1957) di Ivan Antonovič Efremov si può considerare una risposta in positivo alla distopia di opere come il Noi (1924) di Zamjatin e Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932). La storia era quella di un utopico universo affratellato nello sviluppo delle scienze e nel benessere sociale (mi scuseranno gli appassionati per questa violenta sintesi). Oppure il romanzo La seconda invasione dei marziani di Arkadi e Boris Strugatski, che contrappone ai crudeli marziani de La guerra dei mondi (1897) di Herbert George Wells alieni più sofisticati e opportunisti. Sempre degli stessi autori era il famoso È difficile essere un dio (1964) ambientato in una terra comunista e prospera, dove alcuni scienziati scoprivano un lontano pianeta i cui abitanti vivevano in uno stadio di sviluppo socio-economico simile al nostro Medioevo. La trama segue la storia di alcuni umani inviati nel pianeta e i loro dubbi sulla correttezza di interferire con la quotidianità di un altro popolo. (Nel 2008 dell’opera è anche stato tratto un videogioco, qui una breve presentazione)

Come si può facilmente capire, gli esempi potrebbero essere moltissimi, mi permetto di concludere l’elenco con un caso tutto italiano. Teresa Noce, nome di battaglia «Estella», è stata tra le fondatrici del partito comunista d’Italia. Compagna di Luigi Longo, Noce ha avuto una vita travagliata che la portò in Russia, in Francia, in Spagna durante la guerra civile e infine nei campi di concentramento nazisti. Dopo la detenzione, partecipò alla Costituente italiana e nel 1960, ormai ritiratasi dalla politica, pubblicava un libro dal titolo Le avventure di Layka, cagnetta spaziale. Il racconto seguiva le vicende della cagnetta Layka, che anziché perire in orbita, arrivava viva e vegeta al pianeta Gora abitato dai Goriani che assomigliavano molto a cani con sei zampe. Nel pianeta non c’erano essere superiori o inferiori, bestie e umani, padroni e schiavi. La società era basata sulla nonviolenza, tutti gli abitanti erano vegetariani e non esistevano i soldi. La cagnetta terrestre aveva vissuto a lungo e felicemente sul pianeta, ma alla fine decideva di tornare sulla Terra. A spingerla non era la nostalgia verso il pianeta, ma l’idea di portare con sé il messaggio di Gora: comprensione e convivenza pacifica tra tutti i popoli e tutte le razze.

Possiamo dunque affermare che gli alieni nella fantascienza sono uno schermo su cui, da almeno un secolo, gli uomini proiettano le loro ansie, le loro paure, i loro desideri, e dunque rappresentano uno strumento attraverso il quale reinventano e re-immaginano continuamente se stessi. Per gli americani, durante la guerra fredda, gli extraterrestri costituivano una versione aggiornata dei cosacchi in sella a missili e astronavi oppure una metafora del potere omologante dei comunisti, come nel classico L’invasione degli ultracorpi (1956). Al contrario, la fantascienza sovietica trasferiva in una dimensione fantastica l’etica e l’ideologia comunista: scienziati, astronauti e alieni formavano una comunità che cooperava per la pace, lo sviluppo e il progresso.

Passato, presente e futuro in Proletkult

Ma adesso torniamo all’ultimo libro dei Wu Ming. Che ruolo ha la figura della nacuniana Denni in Prolekult? Denni, come gli alieni dell’opera Micromega di Voltaire, ci aiuta a relativizzare la realtà attraverso gli occhi dell’altro. Nei vari dialoghi che si susseguono nel libro, più volte Denni sgretola le certezze di Bogdanov e lo costringere alla riflessione. Al centro del vivace scambio di idee tra i due c’è il tema della rivoluzione. Il tema che appare centrale nell’intera produzione degli autori è qui declinato intorno ad una domanda secca: la rivoluzione è riuscita a trasformare la cultura borghese? A produrre un diverso modo di pensare “dal basso” e collettivo?

Lo sguardo della ragazza, sempre acuto e critico, fa emergere tutte le contraddizioni del pensiero di Bogdanov, che è giusto ricordare fu uno dei padri della rivoluzione russa e uno dei suoi teorici più brillanti. Membro della corrente bolscevica del partito socialdemocratico russo, Bogdanov fu l’organizzatore a Capri, Bologna e poi in Russia di scuole operaie con l’obiettivo di creare nuovi dirigenti rivoluzionari. Le sue teorie, espresse in Il monismo empirico (1904-1906), lo condussero all’urto con Lenin, che contro di lui polemizzò in Materialismo ed empiriocriticismo, e al distacco dal partito.

 Ad emergere dal dialogo dei due protagonisti sono una serie di problemi che la rivoluzione russa non è riuscita a risolvere. Innanzitutto il rapporto tra individuo e collettività che è ben delineato nelle riflessioni di Denni durante la visita alla fabbrica. In secondo luogo, ma non per importanza, emerge in diverse modi una questione strettamente attuale: quella del rapporto tra uomo e natura. In particolare, la piccola Denni spinge il lettore a mettere in discussione la centralità dell’uomo rispetto alle altre forme di vita. La visita allo zoo e il modo in cui Denni costruisce un rapporto di fiducia e dialogo con i conigli ne sono esempi concreti. La ragazza si fa interprete di alcune intuizioni della corrente filosofica post-umana, interrogandosi sul linguaggio e sulla propensione dell’uomo a considerare oggetti gli elementi della natura che lo circondano. La questione acquisisce una forza dirompente se per un attimo ci immergiamo nell’Unione Sovietica degli anni ’20-‘30 e nella sua fiducia incrollabile nel progresso scientifico e tecnico come strumenti per dominare la natura. Fiducia che non risparmia neanche Bogdanov. Ma quella di Denni non è affatto una lezione di civiltà: il popolo da cui proviene, i nacuniani, nonostante l’armoniosa organizzazione sociale, hanno infatti completamente esaurito le risorse del loro pianeta. La questione rimane dunque apertissima e affidata dagli autori alle nuove generazioni di lettori.

Ma lo sguardo di Denni ha anche un altro obiettivo, quello di ricordare a Bogdanov, che si era battuto con le proprie scuole per la creazione di una cultura autenticamente proletaria, la potenza della fantasia e dell’immaginazione. Ovviamente il messaggio di Denni è rivolto dai Wu Ming a noi e ci spinge a riscoprire l’importanza del pensiero utopico e delle sperimentazioni artistico-culturali, strumenti utili, oggi più che mai, a immaginare nuove linguaggi e nuove forme di socialità. Ed è in questo inno all’immaginazione che trova il suo spazio l’omaggio dei Wu Ming a Bogdanov e alla fantascienza in generale, che come sottolinea bene Gino Roncaglia non è altro che “immaginazione, ammonizione, letteratura speculativa e sociale, non ricerca della predizione azzeccata”.