Cifra tonda per un grande successo della nuova era Bonelli

Il mio nome è Aranill. Ian Aranill“. D’accordo, il nostro scout imperiale non si è presentato così al suo pubblico la prima volta, ma con un’entrata in scena in stile James Bond non avrebbe affatto sfigurato. Anzi, a voler cercare il pelo nell’uovo, le parole pronunciate in quell’occasione furono: “Salve, brava gente! Splendida mattinata!“, rivolte agli abitanti di Solian che l’avevano educatamente salutato. E, addirittura, per sentire il suo titolo ufficiale abbiamo dovuto aspettare ancora un po’, quando, nel bel mezzo dell’azione, al colloquio con gli anziani di Frondascura, l’hanno chiamato “Ian Arànill, Génthu Varliedàrto“, frase in Lingua Antica che significa: “Ian Aranill, della casata degli Uccisori di Draghi“. Di cosa stiamo parlando? Ma dell’avventura originaria, uscita ben 10 anni fa nella collana Romanzi a Fumetti Bonelli, che ha dato il via ad uno dei progetti più solidi e fortunati degli ultimi anni, in Via Buonarroti: Dragonero, di cui oggi festeggiamo il numero 50, La Vendetta!, eccezionalmente tutto a colori.

Storica serie fantasy targata Sergio Bonelli Editore, la testata narra le peripezie del nostro protagonista, scout al servizio dell’Impero Erondariano, e della sua allegra compagnia composta dall’Elfa Sera, l’Orco Gmor, il Luresindo Alben e la Tecnocrate Myrva, oltre a una grande schiera di comprimari, alleati e nemici, all’interno del continente conosciuto come Erondàr. Un continente enorme, dove vivono Elfi, Nani, Orchi, Umani, Algenti, specie sconosciute ed esseri terribili, formato da Imperi, regni, città libere ed enclavi ribelli, attraversato da montagne inesplorate e grandi vallate, boschi senza fine e mari che celano misteriose creature, mura immense e roccaforti inespugnabili, metropoli magnifiche ed oscuri manieri, in cui convivono magia e tecnologia, dove ambientazioni mitiche si fondono con storie ed eredità millenarie, formando culture e stili di vita differenti che coesistono come un grande organismo pulsante, non senza qualche attrito. È la vasta, complessa ed affascinante realtà dipinta dagli ideatori Luca Enoch e Stefano Vietti, all’interno di una struttura narrativa avvincente e una continuity in costante espansione, sempre più grande numero dopo numero e che, dalla prima uscita, non fa altro che raccogliere seguaci, attirare l’attenzione e ritagliarsi sempre più spazio all’interno del fumetto seriale italiano.

Già questo basterebbe a giustificarne il successo, il motivo per cui continua a macinare lettori a quattro anni dalla sua uscita in un contesto economico non esattamente facile per le novità. Ma Dragonero non si distingue solo per la bellezza del suo contenuto, bensì anche per la maniera dinamica e inedita con cui ha aggredito il mercato fin dai propri esordi. Cosa tra l’altro testimoniata già dalla sua primissima apparizione come numero 0 dei Romanzi a Fumetti Bonelli, avvenuta nel giugno 2007 con una storia di quasi 300 pagine che conquistò pubblico e critica con sorprendente nonchalance. Dal 2009 iniziarono i preparativi per un seguito, invocato a furor di popolo dal pubblico, che poi si trasformò in un serie regolare a tutti gli effetti, inserendosi di prepotenza in quel progetto di rinnovamento editoriale partito nel 2012, che avrebbe portato Bonelli ad arricchire il proprio catalogo con Orfani, Morgan Lost, nuove collane e il rilancio di alcune testate storiche come quelle dell’universo di Dylan Dog. Dragonero, in quest’ambito, ha da subito e da sempre mostrato forte carica innovativa. La sua uscita fu preparata con una campagna pubblicitaria rinvigorita da iniziative prima di allora inedite in SBE, come il gioco di ruolo realizzato su licenza da Wyrd Edizioni, l’apertura di un blog ufficiale dove venivano pubblicati i concept in fase di lavorazione, oltre alla distribuzione capillare del numero 0. Non solo: fu perfino il primo prodotto bonelli ad avere una Pagina Facebook, quando la casa editrice era quasi del tutto assente dal grande social di Zuckerberg.

In questo terreno fertile, al momento dello sbarco in edicola, avvenuto l’11 giugno 2013 con Il sangue del drago, cominciò un’ascesa costante e inarrestabile che portò Dragonero a conquistarsi un posto di assoluto prestigio nel panorama fumettistico. Fin dalle prime battute, si è distinto per la qualità e l’immenso serbatoio di idee delle proprie storie, che alternavano numeri autonclusivi ad avventure distribuite su più albi, oppure racconti singoli di approfondimento, spin-off su alcuni personaggi, tutti legati da una forte continuity interna, dove nulla è lasciato al caso in un universo ricco di dettagli e riferimenti incrociati. La bravura di due maestri del fumetto come Luca Enoch e Stefano Vietti ha portato la serie ad un’evoluzione lenta ma duratura, sia testuale che grafica, attraverso un percorso chiaro e definito fin dall’inizio. Partendo dalle prime storie, gli autori hanno intessuto trame e sottotrame, allargando la schiera di artisti e sperimentano nuove soluzioni, da montaggi serrati a doppie splash page, passando per vignette irregolari ed inquadrature dinamiche, fino ad arrivare là dove nessuna testata SBE è mai giunta prima: elaborare una macro-saga di dodici episodi, sulla serie regolare, che debutterà per la fine del 2017, a dieci anni dalla sua prima apparizione e nel momento della sua massima maturità.

Ma Dragonero è cresciuto pure al di fuori della sua stessa serie, grazie ad un fortissimo progetto multimediale che l’ha sempre visto posto all’attenzione di medium diversi, tattica che già nel presente si fa sempre più centrale nella crescita di prodotti quali film, libri, videogiochi e fumetti. Dopo i due romanzi pubblicati con Mondadori, La maledizione di Thule e Il risveglio del potente, in futuro avremo anche una serie televisiva animata in collaborazione con Rai, oltre a due testate parallele: Dragonero Young e Dragonero Adult, che amplieranno ulteriormente un universo narrativo già vastissimo. Fa impressione pensare che tutto nacque da quel romanzo a fumetti uscito nell’estate del 2007. Romanzo cui, del resto, quasi a simboleggiare la chiusura del cerchio, si ricollega prepotentemente questo numero 50.

Ian, stranamente, si sta godendo una vacanza nelle terme del Margondàr insieme alla bella Briana, collega del reparto scout, mentre riceve una strana lettera che lo riempie d’inquietudine. La missiva parla di un ritrovamento presso la quattordicesima torre del presidio del Vallo. Si tratta di un uomo, un sopravvissuto, un incursore imperiale sfigurato e distrutto da una lunga permanenza nella terra di Algenti. Il Varlierdarto avverte un brivido lungo la schiena, il ricordo di un’eco lontana, di un incubo sussurato che tormenta i suoi sogni, di quando ha compiuto una pericolosa missione nel Varliendàr ed è tornato indietro con la cicatrice che sovrasta il suo occhio sinistro…

Il mistero della ferita di Ian e la storia ad essa legata è una curisiotà che alberga nei nostri cuori fin dalle origini della saga, perché già dalle primissime tavole del romanzo a fumetti, alla prospettiva di tornare nei territori degli Algenti, il nostro protagonista rivede i dolorosi ricordi che hanno stroncato la sua carriera militare e il disastro della missione che è costata la vita a tanti uomini valorosi. Fa impressione comparare questo numero 50 a quella leggendaria uscita: certi eventi vengono rimesse in scena, sotto una nuova luce, ma con le medesime inquadrature, che incorniciano riferimenti e luoghi dove si svolge la vicenda. E ciò è di come questo giro di boa segni una cesura importante, la fine di un percorso che affonda le sue radici nell’origine, letteralmente. Anzi, a dirla tutta, il numero 50 può essere definito il terzo capitolo di una trilogia, dato che vengono ripresi anche gli albi 48 e 49, immediamente precedenti, con Roccabruna e l’apprendistato dello scout tra le file dei Dragonieri.

Una vicenda che parte da lontano, dunque, eppure radicata nell’attualità e nel presente del protagonista. Non a caso, è proprio lui il centro della scena: Ian, il Varlierdarto, il Romevarlo, con tutta la sua umanità, con i suoi tormenti, le emozioni che spesso l’hanno tradito e spinto a prendere scelte difficili, e la paura. Paura per i suoi cari, paura per il futuro, paura per la sorella e paura per se stesso, per la sua sopravvivenza. Un uomo saldo, retto, morigerato, pieno di valori nobili, salvatore di decine e decine di vite, si scopre vulnerabile di fronte al dubbio che la sua moralità possa cadere come un castello di carte di fronte alla morte. Un uomo che il destino si è divertito a funestare in mille modi possibili e che sembra incapace di trovare un equilibrio o una qualsiasi forma di pace. Anzi, sembra quasi non volerlo, dà l’impressione di volersi caricare addosso il peso del mondo per farsi schiacciare da esso e ottenere così la giustizia per i suoi crimini, per il mostro in cui le sue avventure e gli orrori del mondo lo stanno trasformando.

Non si trattiene, Stefano Vietti, nello scrivere questa storia, mostrandoci il suo protagonista in uno dei suoi momenti più difficili. Non si risparmia neanche il disegnatore di qusto episodo, Francesco Rizzato, che si concentra molto sulle espressioni, sugli stati d’animo, esaltandosi in splash page di grande impatto, ma sempre puntando la lente sull’uomo e sui suoi tormenti. Stessa cosa per il team di coloristi, composto da Giada Marchisio e Paolo Francescutto, che spingono molto su tonalità cupe, sanguinanti, angoscianti, per accentuare le atmosfere funeste e interiori della storia. Questi sono i temi del numero 50, temi che di sicuro ritroveremo nella Saga delle Regine Nere che scombussolerà completamente lo status quo della serie e che non vediamo l’ora di leggere. Ma non solo: questi temi sono il cuore pulsante della serie dalla sua nascita, lo sono stati nel suo sviluppo e brillano, tuttora, traghettandoci verso l’ennesima, nuova e incredibile avventura. È la chiusura di un grande ciclo e allo stesso tempo l’apertura di un altro, in un universo narrativo enorme che non sembra scalfito (benché attivamente plasmato) dall’avvicendarsi di emozioni ed eventi cui assistiamo da 10 anni, ormai, rapiti, e cui speriamo di assistere per altri 10, 20, 50 anni.

In un momento come questo, di sincero tributo verso una grande storia, non possiamo non salutare voi e Dragonero stesso, riconoscendoci tutti nel motto ufficiale degli Scout Imperiali: Diverso è il passo, uguale è il cuore.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!