Durante Etna Comics 2017, noi di Stay Nerd abbiamo avuto modo di sederci a parlare un po’ con Giuseppe Camuncoli, noto disegnatore italiano che ha collaborato per molto tempo con Marvel e con DC, ma ha lavorato su progetti importanti anche nel Belpaese.
Camuncoli ha risposto con molta cordialità a tutte le nostre domande, e vi proponiamo dunque l’intervista integrale.

Iniziamo con una domanda un tantino scorretta che abbiamo fatto anche a David Messina: tu hai lavorato sia per DC che per Marvel. Non arrivo a chiederti dove ti sei trovato meglio o peggio, però quali sono le differenze per un artista?

Mi son trovato malissimo con entrambe. Scherzo, ovviamente (ride n.d.R.)! Mi sono trovato benissimo con tutte e due, invece. Io ho iniziato con DC Comics. Il primo lavoro per il mercato americano è stato Swamp Thing per la Vertigo, quindi per certi versi ho un affetto particolare per la DC. Ho lavorato tantissimo per loro, ma ultimamente mi sono consegnato un po’ più alla Marvel, che da bambino era la mia casa editrice preferita, prima di passare a letture leggermente più adulte.
È un po’ un altalenarsi di situazioni, ma in realtà il rapporto lavorativo è pressoché identico con entrambe. Quello che può fare la differenza è casomai il singolo editor, o un singolo scrittore con cui lavori, ma differenze sostanziali non ce ne sono.

Hai avuto scrittori particolari che ti hanno colpito per il loro metodo? Anche perché in America il ruolo del disegnatore è molto più ampio di quello che è il rapporto sceneggiatore/disegnatore italiano. Insomma, lo sceneggiatore italiano tende a dirigere di più, mentre in America a volte succede che lo sceneggiatore lasci spazio alla direzione registica del disegnatore.

Sì, in realtà dipende dagli sceneggiatori. Ce ne sono alcuni ormai che fanno sceneggiature perfettamente complete come quelle europee. Sono pochissimi quelli che lavorano con il metodo di Stan Lee, ormai non fa più nessuno in quella maniera. Forse c’è appena un po’ più di libertà a livello di scelta, di inquadrature, ma secondo me non ci sono grandi differenze. Io mi sono trovato particolarmente bene negli anni con Brian Azzarello – anche se ho lavorato poco con lui – perché è uno che fa le sceneggiature complete. Le descrizioni delle singole vignette sono a volte solamente una o due righe, però con i dialoghi hai una facilità di comprensione e di visualizzazione immediata e totale di quello che diventa la pagina.
A volte potresti disegnare tranquillamente una sceneggiatura di Azzarello soltanto guardando i dialoghi, e capiresti esattamente quello che sta succedendo. Lui mi è sempre piaciuto come scrittore, anche prima di lavorarci, e devo dire che la sua sintesi nelle sceneggiature è di una potenza incredibile.

E quindi aiuta anche la sintesi del disegnatore?

Beh, diciamo che c’è molta libertà, ma tutto sommato è molto facile arrivare al dunque con le sue sceneggiature, anche se ci sono pochissime indicazioni, perché è molto incisivo.

Chiediamo spesso agli artisti: qual è il personaggio che, se dipendesse da te, disegneresti? Molti ci rispondono Spider-Man. Ma visto che tu Spider-Man lo hai già fatto, se facciamo a te questa domanda, cosa rispondi?

A me un personaggio che piace molto visivamente e che non ho mai disegnato è HellBoy di Mignola. Ho fatto qualche sketch, qualche illustrazione, una commission, un omaggio per una raccolta fondi in America, però ufficialmente non l’ho mai disegnato. Mi attrae parecchio sia visivamente che a livello di ambientazione, di storie, di tematiche. Siccome Mignola mi piace molto, certo non lo scimmiotterei mai, però HellBoy è uno dei personaggi che sarei felice di disegnare professionalmente.

E invece com’è lo Spider-Man di Camulcoli?

Penso sia molto dinamico. Una cosa che mi è stata riportata dai miei editor su Spider-Man – e a cui io non avevo fatto caso perché io di fatto disegno sempre così – è che lo faccio muovere molto bene. A livello di acrobazie, posture, linguaggio del corpo, pose, mi hanno detto che è uno di quelli più plastici e dinamici. Poi ovviamente ho una schiera di predecessori illustri.

Quando disegni Spider-Man senti più il peso della responsabilità di un’icona così tradizionale, oppure sei valorizzato dall’occasione?

Assolutamente la seconda. Il peso cerco di non sentirlo; alla fine quando disegni Batman, o anche quando disegni Iron Fist, un po’ il peso c’è. Spider-Man è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Non pensavo di arrivare a disegnarlo, e quando me lo hanno offerto ho anche un po’ tentennato perché non sapevo se volevo disegnare tutte quelle ragnatele sul costume ogni volta, o tutti quei grattacieli. Questo perché avevo fatto una storia nel 2002 con Azzarello per Tangled Web di Spider-Man, dove non c’era Spider-Man, ma di fatto poi nella promozione in Italia, in Germania, in Francia ne ho disegnati così tanti che da un lato mi era venuto una sorta di rigetto.
Quindi mi son detto “adesso non devo realizzare, come in fiera, le faccette e basta, ma un vero e proprio mensile, quindi non so se lo voglio fare”. In realtà poi tutto l’allenamento che avevo fatto in quegli anni di sketch mi è servito. Il peso alla fine non l’ho sentito, più che altro ho avvertito proprio il divertimento e l’onore di far muovere questo personaggio per sei anni. Quando lavoro cerco sempre di ignorare il fatto che sto facendo una cosa che va in mano a milioni di persone. Piuttosto penso di avere l’opportunità di fare un lavoro incredibile e meraviglioso. Da questo punto di vista cerco sempre di dare il massimo nel rispettare l’identità del personaggio dando anche un po’ la mia impronta. Questi sei anni di Spider-Man sono stati fantastici, e avrei anche continuato. Inspiegabilmente non avrei mai pensato di farlo per tutto quel tempo, ma sarei andato avanti perché mi stavo ancora divertendo come al principio.

Se pensiamo alle icone del fumetto italiano, quando ci si confronta con queste si è molto ancorati alla tradizione grafica di quei personaggi. In America invece si trovano diversi tipi di Spider-Man, ma basta vedere anche Daredevil per individuare la trasformazione da un autore all’altro. Quindi aspettative per il film di Spider-Man?

Alte, assolutamente. Io parto sempre ottimista. I trailer che ho visto, anche se a mio avviso tutto non è ancora centrato, mi hanno fatto fomentare e ho delle buone aspettative. Il costume mi piace, nonostante il ragnetto sia un po’ piccolo, per i miei gusti. Anche il fatto degli occhi che si aprono, come nell’ultima clip in cui si vede che gli parte l’occhio e non lo controlla, è una figata. Tom Holland non lo conoscevo come attore, e dalle prime foto non mi sembrava proprio azzeccatissimo, ma adesso più lo vedo e più mi sembra identificato con Peter. Quindi ripeto: ho buone sensazioni.

È un po’ strano questo Spider-Man che stanno facendo. È un ibrido sia nella questione dei diritti tra Sony e Marvel, è il terzo Spider-Man in dieci anni, ha un po’ del Tony Stark, dell’Iron-Spider. È un esperimento nuovo per Spider-Man…

Sì. Ogni versione cinematografica o televisiva deve avere degli adattamenti, quindi ci sta che abbiano preso una direzione più giovane, con la zia, la tecnologia, Tony Stark che gli fa da mentore, gli Avengers, ecc… Però l’importante alla fine è che restino gli elementi fondanti del personaggio. Se ci sono quelli, poi tutto il resto può essere contorno fin che vuoi.

In generale sui Cinecomics che ne pensi del rapporto tra cinema e fumetto?

Ci sono prodotti riusciti, altri meno riusciti, come in tutto: anche nel filone dei film horror è così. Però io la vedo dal mio punto di vista, cioè non tanto da spettatore quanto da professionista. Se già fanno un lavoro di divulgazione nei confronti del personaggio e di quello che noi facciamo, per me è eccezionale. Al Romics, recentemente, ho incontrato un ragazzino che ha iniziato a leggere i fumetti da un anno grazie a I Guardiani della Galassia, e adesso lui è fomentatissimo e si legge tutto. Quindi se fosse anche solo per questo, i Cinecomics fanno un lavoro stra-meritorio.

Quando gli autori italiani vanno in America, tendono a venirne assorbiti, poiché è un lavoro grosso con scadenze molto strette. Tu, però, in questo tempo hai illustrato delle cose anche in Italia, quindi come riesci a gestire questa doppia identità? I lavori sono molto peculiari per l’America quando si torna da altre tipologie come romanzi grafici. Insomma è un mondo completamente diverso.

In realtà a me piace molto diversificare. Già facendo Spider-Man per sei anni vari molto perché non è sempre lo stesso quello che disegni, però per esempio mentre lavoravo a Spider-Man facevo anche il Blitz per la Vertigo, ed era come se avessi due mensili contemporaneamente, e tra l’altro io – facendo solo matite – sono abbastanza veloce e riesco a gestire bene questa cosa. Nell’ultimo anno e mezzo ho fatto una mini-serie di nove numeri per Sky Pond, Image Green Vally con Max Landis, un fantasy strano, e anche questo per me è un variare rispetto al supereroe puro. Quindi tutto sommato andare a fare un color texture, una graphic novel, un adattamento, un fumetto per la Francia, è semplicemente un’altra opportunità che mi permette di esprimermi in un altro campo, di affrontare un altro personaggio o un’altra storia che mi piace. Finché riesco a reggere il ritmo vado avanti. Molte volte lavorando su una serie mi vengono delle idee da portarne in un’altra, quindi tutto sommato è una cosa positivo, e finché non impazzisco e disegno un personaggio al posto di un altro, vado avanti così.