Croce e delizia dei teenagers anni ’90

Di questi tempi, vanno forte le serie ambientate in un possibile futuro distopico, specchio di un domani sempre più tragico e cupo, oppure altre che parlano di un passato tranquillizzante, non troppo lontano e mitizzato, in cui una certa categoria di spettatori può riconoscersi e proiettare la propria infanzia perduta. Sono entrambi segnali di un sentire comune abbastanza forte, che vede nell’avvenire un motivo di angoscia e nei tempi che furono un eden in cui consolarsi. E condividono il desiderio di chiudere gli occhi di fronte ad un presente difficile. Ma, in realtà, le varie epoche (o decenni, se preferite) sono tra di loro, seppur con le dovute differenze, sempre le stesse e non cambiano le sfide, i dolori e i problemi che è necessario affrontare per crescere e diventare adulti, soprattutto quando i protagonisti sono adolescenti. Anzi: per molti di loro sarebbe molto più facile crescere oggi che venti o trent’anni fa. Ed è proprio di crescita che ci parla la nuova serie Netflix, Everything Sucks!, arrivata sulla piattaforma il 16 febbraio.

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1996. A Boring, una placida cittadina dell’Oregon, l’estate è appena finita e le scuole stanno per riaprire i battenti. Alla Boring High School le matricole si preparano a fare l’ingresso in quella che potrebbe essere la fase più difficile della loro vita. Tra queste ci sono tre ragazzini di belle speranze e molto nerd che tremano all’idea di fare il primo passo come liceali: sono Luke O’Neil (Jahi Di’Allo Winston), amante del cinema col sogno di diventare regista, McQuaid (Rio Mangini), l’intellettuale della compagnia e Tyler (Quinn Liebling), il più spaesato e sconclusionato del trio.

Seguendo l’ambizione di Luke, i tre si iscrivono al club di Tecniche Audiovisive, che si occupa soprattutto di telecamera, montaggio e di mandare in tutta la scuola lo squallido notiziario del mattino organizzato dagli studenti. Qui incontrano Kate Messner (Peyton Kennedy), una ragazza del secondo anno, dai modi un po’ rudi e dall’aspetto leggermente mascolino, ma simpatica e piena di talento. Luke se ne innamora quasi subito e inizia a corteggiarla, senza sapere che è la figlia del preside Ken Messner (Patch Darragh) e che non ha del tutto le idee chiare sul proprio orientamento sessuale. A rendere le cose più complicate contribuirà poi una disputa col gruppo di teatro, capeggiato dalla bella Emaline (Sydney Sweeney) e dall’estroverso Oliver (Elijah Stevenson), che porterà ad unire le forze in un’inedita produzione cinematografica…

Ultimamente sembra che Netflix abbia una sorta di feticismo per certi periodi “magici” (tra molte virgolette) come gli anni ’80/’90, complice anche il successo di Stranger Things, con l’intento di sfruttarlo il più possibile perché gli spettatori si bevono la nostalgia come se non ci fosse un domani. Chi ha avvertito il tentativo un po’ facilone di queste operazioni potrebbe avvicinarsi pieno di scetticismo ad Everythings Sucks, che sulla carta parte proprio per strizzare l’occhio a certe produzioni consolatrici atte a rasserenare gli utenti sul fatto che prima del duemila era tutto più bello, buono, divertente, che si stava meglio quando si stava peggio, eccetera, eccetera,eccetera.

In realtà, lo show messo in piedi da Ben York Jones e Micheal Mohan, autori rispettivamente di opere meno note come Like Crazy e Save the Date, non cade nella trappola della malinconia e per quasi tutte le dieci puntate se tiene ben lontano, se non proprio quando deve, infilando qualche ammiccamento qua e là e qualche suggestione telefonata. La deriva nostalgica viene infatti schivata con saggezza e le citazioni dell’epoca d’oro, seppur presenti, vengono usate attraverso un valore prettamente simbolico e metaforico, che arricchisce la trama aggiungendo chiavi di lettura e livelli interpretativi. L’obiettivo non è quello di mostrare qualche modellino del Millenium Falcon, qualche tuta da Ghostbuster, oppure menzionare Jumanji, Pulp Fiction, The Truman Show o ricordare al mondo che esiste MTV (per restare in tema), bensì raccontare una storia di formazione, di amicizia e di scoperta personale.
Non solo: se c’è l’intenzione di sparare riferimenti dell’immaginario anni 90′ spesso viene fatto come parodia, come presa in giro di un modello culturale imperante (quello teen), mostrandone la vacuità e l’inconsistenza. Diverse sono le scene in cui questo avviene (che non menzionerò per guastare l’esperienza, anche se dovrei), in cui i personaggi cercano di “entrare dentro” e di imitare video musicali, mode e atteggiamenti che portano solo al disastro o causano problemi nel quotidiano.

everything suck recensione

Ma tutto sempre calato e contestualizzato nella continuità narrativa. In Everything Sucks! sono la storia e i personaggi ad essere il centro della visione, a conferma di una buonissima qualità nella sceneggiatura e nella resa. Per quanto le vicende non brillino di un’originalità intrinseca, risultano gradevoli, piacevoli e piano piano conquistano, complice una scelta del giusto format (dieci episodi dalla durata media di 25 minuti) che rende la serie godibile in ogni sua parte, anche nei momenti meno riusciti. Stesso discorso per i protagonisti che, superati subito gli stereotipi iniziali, lentamente si fanno vedere per la loro profondità e diventano capaci di sorprendere, anche quando sembrano ormai perfettamente inquadrati da parte dello spettatore.

A questo risultato contribuisce una prova attoriale pregevole da parte di quasi tutto il cast, soprattutto quello giovanile, tra cui spicca la quattordicenne stella canadese Peyton Kennedy (non a caso l’unica ad aver già avuto una carriera di rilievo), in grado di interpretare il non facile ruolo di Kate Messner e di farsi amare dopo mezza puntata. Ma anche la parte più “anziana” della troupe non si fa attendere, completando una serie che ha nei suoi protagonisti e nelle loro storie il proprio punto di forza.

Alla fine, Everything Sucks! riesce a raccontare una storia semplice e divertente che vede agire tanti personaggi, con le loro difficoltà nella crescita, della scoperta di se stessi, riuscendo ad intrattenere e divertire senza troppe difficoltà, portando così a casa un risultato non scontato. Forse non è un capolavoro o un’opera epocale, ma una serie ben fatta che non delude mai e di cui sarebbe bello vedere un seguito, sempre sullo stesso livello.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!