Dungeons & Dragons: un danno per la letteratura fantasy?

brutto fantasy

artiamo da un presupposto: chi vi scrive adora il fantasy (avendo anche scritto diversi romanzi di questo genere) e adora Dungeons & Dragons. Una premessa doverosa, che serve a ricordare a tutti che l’autore di questo articolo non ha alcuna intenzione di fare un processo alla narrativa con draghi, maghi e nani o, meno che mai, al gioco di ruolo per eccellenza. Al massimo, questo pezzo, potrebbe essere visto come un “mea culpa”. La confessione di un autore che, all’epoca del suo esordio (ormai dieci anni fa…), era ancora imbevuto di serate passate a realizzare quest di D&D, tanto da trasmettere tutto questo all’interno dei suoi primi romanzi.

Ma la vera domanda dovrebbe essere un’altra: da dove nasce l’esigenza di questo articolo? Parlare di fantasy, lo abbiamo visto, non è mai semplice. L’argomento è in grado di scatenare reazioni viscerali nei lettori di un genere troppo spesso sotto accusa. Allora perché uno scrittore dovrebbe infliggersi da solo un danno di questo tipo? Forse proprio per la necessità di fare una presa di coscienza. E, allo stesso tempo, compiere l’ennesima apologia (non necessaria, in realtà) del Professore, J.R.R. Tolkien. Perché in realtà potrebbe non essere tutta colpa sua…

Di cosa stiamo parlando? Ovviamente del brutto fantasy! Quello che deve sempre presentarci un gruppo di eroi intento a salvare il mondo. Quel genere di fantasy con uno stregone dagli scopi poco chiari, il piccoletto innocente, il veterano rude ma onorevole, l’elfo (infame) algido, il nano (vero eroe) grande bevitore. Il tipo di romanzo dove un predestinato deve compiere una missione per sconfiggere un Signore Oscuro, risorto dopo secoli di silenzio e dove il bene e il male si danno battaglia, col secondo che sembra inarrestabile e il primo che, proprio quando tutte le speranze sembrano perdute, riesce a trionfare con un colpo di reni.

Il primo pensiero di tutti noi, quando associamo una trama del genere al fantastico, va ovviamente al Signore degli Anelli. Eppure non è così per molti. Negli anni attorno alle ispirazioni del fantasy si è scatenato un dibattito in cui ci si chiede quale sia stata la vera fonte di molti giovani autori. Nel tempo ha preso sempre più piede l’idea che non tocchi al Legendarium del Professore il ruolo di modello, ma al gioco di ruolo di Gary Gygax e Dave Arneson. Non è una polemica sterile, considerato che anche grandi autori come Steven Erikson, autore del ciclo (malamente) tradotto in italiano come “La Caduta di Malazan” ha espresso questa posizione. Ma sarà davvero così?

brutto fantasy

Tolkien contro Gygax: il fantasy prima di Dungeons & Dragons

Per capire al meglio le motivazioni dietro a questa polemica è bene fare un salto indietro nel tempo, fino al 1974, anno in cui uscì quello che oggi conosciamo come Original D&D, una versione embrionale del gioco di ruolo che Gygax e Arneson crearono basandosi su dei precedenti wargame. I due autori svilupparono il gioco prendendo spunto da diversi fantasy che, all’epoca, circolavano negli ambienti universitari e “nerd”. Tra questi, ovviamente, c’era Il Signore degli Anelli. Il Professore era mancato solo l’anno precedente, e la sua popolarità negli Stati Uniti era alle stelle. Non a caso la scelta di Gygax fu quella di riprendere diversi aspetti del Legendarium da trasporre nel suo gioco. Successivamente, a causa di una controversia con al Tolkien Estate, fu necessario rivedere alcune denominazioni (la più famosa “hobbit”, trasformata in “halfling”).

Ma non dobbiamo precipitare: nei fatti i creatori di D&D non andarono così a fondo nelle ispirazioni dal Legendarium. Se si escludono alcune similitudini tra le razze e i popoli di Arda con alcune delle prime edizioni di D&D, l’opera di Gygax e Arneson non si limitò solo a prendere spunto da Tolkien. Nei Reami Dimenticati trovano corpo riferimenti a Moorcock e LeGuin, al ciclo arturiano, alla mitologia norrena, celtica e persino mesopotamica. Insomma, un vero crogiolo di riferimenti provenienti da ogni parte del mondo che, dopo una lunga rielaborazione, ci consegnò il gioco di ruolo fantasy più celebre e amato.

Le numerose ispirazioni di D&D dimostrano come il fantastico non fosse solo “Tolkien e poco altro” nel 1974. All’epoca era già presente una folta schiera di autori fantasy che potremmo definire di “seconda generazione”. Autori che, pur stimando Tolkien avevano come modello di riferimento altri autori, come Peake, Howard, Lovecraft, Eddison. Insomma, è bene ricordare come esistesse un fantasy prima di Tolkien e che molti autori contemporanei o immediatamente successivi al Professore, si rifacessero a ispirazioni diverse dalle storie della Terra di Mezzo.

Senza dubbio Tolkien fu uno spartiacque per il fantastico, riscrivendo l’archetipo della dicotomia tra luce e tenebre. Il Signore degli Anelli diede vita al sottogenere dell’high fantasy. E lo fece in maniera originale. Il titanismo presente nel romanzo è ancora ineguagliato e sembra suggerire che la vittoria del bene non sarà mai totale: il male riuscirà sempre, in qualche modo, ad avvelenare la vittoria dei buoni e portare con sé nella tomba una parte della loro innocenza. Provate a chiedere a Frodo, artefice di un viaggio di sacrificio conclusosi con un cocente fallimento personale.

brutto fantasy

Un cambio di regole

Se è dunque vero che alcuni concetti tolkieniani si diffusero grazie al gioco di ruolo, altrettanto verso è che se ne diffusero molti altri provenienti da differenti opere e tradizioni. I giocatori di Dungeons & Dragons iniziarono quindi a conoscere l’iconografia degli elfi, dei nani, degli orchi sul modello di quanto narrato da Arneson e Gygax, modificando alcuni dei concetti presenti in Tolkien.

Il successo di D&D ebbe anche un altro effetto imprevisto: milioni di persone in tutto il mondo ebbero modo di trasformarsi in scrittori. Il ruolo del Dungeon Master imponeva ad alcuni giocatori di preparare una storia. Era loro compito leggere i manuali e, in base a questi, scegliere i personaggi, i mostri e gli eventi che avrebbero caratterizzato le quest dei loro compagni di avventura. Il passo successivo, per molti, sarebbe stato quello di trasformare quelle avventure in romanzi.

Se volete avere conferme al riguardo basta chiedere a Margaret Weis e Tracy Hickman. I due, basandosi sulle avventure giocate a Dungeons & Dragons con i propri amici, crearono il ciclo heroic fantasy di Dragonlance, saga molto apprezzata dai fan del genere. Dragonlance mostra al suo interno una grande varietà di elementi desunti dal gioco di ruolo di Gygax. In primo luogo la storia, che richiama la classica quest sin dal momento in cui i personaggi del party si ritrovano in una taverna. La composizione eterogenea del gruppo, la loro fuga precipitosa da delle guardie, l’incontro con un’entità mistica che affida loro una missione, persino l’assenza di una componente del party (classico riferimento all’amico che non si presenta alla sessione…) sono tutte dinamiche che richiamano a elementi classici del gioco di ruolo.

Il punto è tuttavia che Dungeons & Dragons, oltre a mettere a disposizione una costellazione di nuovi mondi per poter creare delle partite, permetteva a degli scrittori dilettanti di creare delle storie. Il fantasy non è un genere facile da scrivere. Dietro ai migliori romanzi di questo genere c’è una cura e una ricerca che deve partire da un lavoro profondo di mitopoiesi, per poi concludersi, come nella maggior parte dei romanzi (‘nuff said), con una solida stesura della trama. L’universo di D&D al contrario, con i propri manuali, permetteva a chiunque lo volesse, di saltare la prima parte del lavoro. Quella più appagante, senza ombra di dubbio, ma anche la più difficile in assoluto. Avere un mondo già pronto, dove è necessario solo immaginare degli eventi che si leghino ad esso, lasciando magari ai propri giocatori la creazione dei personaggi, è senza dubbio una prospettiva allettante per molti giocatori. Una tentazione subita anche da chi vi scrive.

Questo senza dimenticare gli stessi fantasy nati all’interno delle ambientazioni dei Forgotten Realms e riconosciuti come parte integrante della lore di D&D. Pensiamo alle avventure di Drizzt di R.A. Salvatore o ai romanzi sul Periodo dei Disordini di Richard Awlison. Entrambe le saghe, con alti e bassi, sono divenute uno dei fondamenti del gioco di ruolo e di altre opere da esso derivate, non ultimi i videogiochi.

Ma quindi è davvero colpa di Dungeons & Dragons?

La risposta è: certo che no! Come sempre accaduto nella storia della letteratura, l’imitazione resta una scelta dell’autore. È quindi una sua (anzi: nostra!) responsabilità quella di prendere un modello di riferimento e imitarlo. Se un pittore sceglie di copiare la Gioconda, quale colpa possiamo attribuire a Leonardo? Allo stesso modo, se uno scrittore fantasy sceglie di basarsi su D&D oppure su Tolkien per le proprie opere, la colpa può essere forse attribuita a quel modello?

L’imitazione, sia chiaro, non è mai un reato. Ma sta al buonsenso dell’autore saper modificare quanto basta il modello di riferimento per realizzare qualcosa di originale, qualcosa che restituisca al lettore quel sense of wonder fondamentale per tutto il fantastico. Nel corso degli anni sia Tolkien che Dungeons & Dragons sono stati modelli di riferimento per autori fantasy. Il Professore fu preso come modello di riferimento sia da Terry Brooks che da George R.R. Martin, con risultati palesemente differenti, di cui non dobbiamo certo spiegare le scelte personali degli autori.

Lo stesso è successo per D&D. Se abbiamo già avuto modo di parlare di Dragonlance, è con un esempio italiano, legato non ai romanzi ma al fumetto che vogliamo chiudere. Stiamo parlando di Drizzit, striscia comica realizzata da Bigio, iniziata proprio come parodia dei romanzi di Salvatore. Nel tempo Drizzit ha tuttavia trovato una sua dimensione al di là dell’intento satirico verso il gioco di ruolo, dove tuttavia i riferimenti al mondo creato da Gygax e Arneson continuano a essere presenti. In definitiva la scelta sta esclusivamente all’autore: solo lui ha il potere di decidere, nel corso della stesura del romanzo, quali siano i confini tra ispirazione ed epigonismo di un’opera, sia essa Dungeons & Dragons o una qualsiasi altra epopea fantasy venuta prima di lui.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.