Cosa ci resta dopo Uncharted 4

 

Tu lo senti?

Si so che lo senti. Sei qui perché senti quel magone, quel groppo alla gola. È una sensazione strana, che non ti sai spiegare bene. Si tratta di un misto di gioia incontenibile e di una certa tristezza che ti spinge a guardarti indietro. A ben vedere non è un qualcosa che accade sempre, e forse ti ci sentirai anche stupido. Ti dirai che è da sciocchi sentirsi così per una cosa del genere, ma stai sbagliando. Ignora qualunque pensiero sull’emozione che non sia l’emozione in sé, e sappi che non sei solo. Dovunque, in questi giorni, ci sono persone che stanno pensando lo stesso, che stanno dicendo lo stesso. Persone che stanno condividendo questo forte senso di disagio, che non viene in alcun modo represso. Non è il gusto dell’afflizione, non siamo qui a fustigarci per il gusto di farlo. Il punto è che gli addii sono sempre duri, difficili da gestire. E questo, lo sappiamo tutti, è stato un addio.

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Non potrebbe essere qualcosa di diverso, non ci sarebbe alcun senso in qualcosa di diverso. Se questo non fosse un addio definitivo non staremmo qui a parlarne, o almeno non ne parleremmo così. Se tu, tra i tanti, ti sei prodigato di far sapere al mondo cosa ha impresso su di te la fine dell’era Uncharted, è perché vivi la mia stessa afflizione, e questo è innegabile ed evidente. Perché ora che l’avventura è finita, non si può fare a meno di guardarsi indietro. C’è il dispiacere, e con esso quel magone di cui abbiamo parlato più sopra. Si rimugina sul fatto che quel che è appena finito è già parte di un passato che non tornerà mai più. Si tratta un po’ del dramma della crescita e, forse in maggior misura, del fardello del distacco. Distaccarsi, perdere un legame, è un po’ come perdere una parte di sé stessi. Lasciarlo indietro da qualche parte, nel proprio passato, e metterlo da parte a uso e consumo del ricordo, e non più dell’azione. Ecco come ci si sente quando Uncharted 4 finisce, e non tanto per il gioco in sé. Forse è piuttosto per quella sensazione di aver lasciato andare un vecchio amico, un compagno di avventure, un qualcuno che ti ha accompagnato per una peregrinazione così lunga che, infine, ci si è affezionati.

Questo è forse il risultato più grande e appagante ottenuto da Naughty Dog, il trascendere dal mezzo di appartenenza del suo personaggio e la sua relativa consacrazione nell’immaginario collettivo. Qualcosa che accade molto più raramente di quanto non si immagini e che porta con sé un grande peso, una grande responsabilità. Si fa presto a eleggere questo o quel personaggio a beniamino nazionalpopolare, ma quando poi quest’ultimo ci lascia, cosa ci resta? Il più delle volte praticamente nulla, si archivia la pratica con la stessa facilità con cui si rimette a posto un disco o un fumetto sulla propria libreria. Con Nathan invece pare non ne siamo (e saremo) capaci. Sarà quella guasconeria che così tanto ci ha affascinati, o forse l’essere semplicemente capitato nel momento giusto e nel modo giusto, quel che è innegabile è che pian piano, il finale di Uncharted 4 e le emozioni che esso trasmette si stanno facendo largo tra i giocatori. Difficile trovare sui social sentimenti di disprezzo o emozioni contrastanti, come un mare in piena il piacere (e l’annessa sofferenza) dell’esperienza di Uncharted 4 si fanno strada nel cuore del pubblico e tra le sue emozioni. Il gioco, nelle sue interazioni, nella sua storia, nelle sue vibrazioni, è stato il veicolo di emozioni tali da essercisi impresse addosso. È “lo stato dell’arte”, che comunica ed emoziona a prescindere dalle persone e riesce ad imprimersi in noi con una forza tale da creare uno sgomento e, con esso, delle emozioni così forti da sentire il bisogno di essere esternate. E volete forse negare di star vivendo qualcosa di simile?

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Ecco, questo ci rimane dopo Uncharted 4, a prescindere dagli haters, dai “boxari” o da chi sta cercando di fare la voce grossa, stupidamente in controtendenza, tanto per darsi un tono e volersi sentire migliore degli altri. Cazzate.

Non è stato solo questo viaggio, è stata l’intera traversata che da Uncharted 1 ci ha portati qui, tutti assieme, più o meno convinti di voler proseguire le avventure di Nathan. Finire Uncharted 4, a prescindere dall’età, è arrivare a costatare in modo duro ed evidente che è trascorso del tempo, che si è cresciuti e invecchiati insieme e che è ora il momento di farsi da parte. Di partire domani per un’altra avventura ma con spirito diverso, con amici diversi, e di lasciare riposti in un armadio tutti i ricordi del passato, ad uso e consumo del futuro e forse di una generazione nuova, che potrà sempre riscoprire, ripescando dal passato, il racconto di un’unica grande avventura. E questo è il secondo mirabile risultato, quel che forse ci resta ancor più addosso.

Capisci di aver vissuto qualcosa di grande, quando non puoi fare a meno di guardarti indietro, e con Uncharted 4 è esattamente quello che accade. Finisci il gioco e volgi lo sguardo, lo volgi al passato pensando a quanta strada si è percorsa nei 9 anni che sono trascorsi dal primo capitolo ad oggi… e volgi lo sguardo alla tua libreria, alla tua collezione, dove certamente avrai stipato i capitoli della serie, lasciando che ti sfiori il pensiero di ricominciare tutto da capo. Lì per lì, senza indugiare. Si vive Uncharted 4 come un’unica grande allegoria. Noi, come Nathan, spingiamo i nostri passi verso la fine, con lo scopo ultimo di rimettere nel nostro armadio i ricordi del nostro passato, chiudendoli gelosamente a chiave. Un armadio in bella mostra, non alla stregua dei ricordi in soffitta. L’inizio e la fine di Uncharted ci ricordano che cui sono due modi di vivere i ricordi, senza togliere alcun peso alla nostalgia. Li si può nascondere e riservare solo a sé stessi, lasciando che pian piano si ceda il passo all’amarezza di quello che era e che non è più, o si può lasciare che essi diventino un qualcosa di prezioso, da custodire gelosamente, ma senza nulla nascondere e senza vergogna. Ricordi in soffitta o sotto chiave che siano… addio Nathan, e non arrivederci.

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Ci lasci qui con la concezione chiara di dover andare avanti.

Lo faremo… forse domani, ora ce ne staremo ancora un po’ a rimuginare sul passato, stavolta per il gusto di farlo, di vivere nel ricordo e poi, più in là, ci spingeremo avanti, seguendo la bussola verso un nuovo viaggio, una nuova avventura.

Addio.