Universi di pixel e imprecazioni

Vi ricordate il Labirinto quando eravate bambini? Dai, quello con due manopole e una biglia da far arrivare dal punto a al punto b: inclinavi il piano e la biglia andava più o meno dove volevi… ma anche no.

Ecco, Flywrench esprime un concetto simile: fai quel che vuoi ma quella biglia col cavolo che la vinci. Sviluppato da Messhof, già autori di Nidhogg, Flywrench è quel classico gioco di abilità dove… si fallisce, e quanto si fallisce. Ma in virtù del nostro essere masochisti videoludici, non potremo fare altro che andare avanti, a spron battut

o, finché un ragequit non ci seppellirà, salvo poi tornare a giocare una volta sbollita la rabbia.

Flywrench punta tutto sulla giocabilità ed un gameplay composto da pochissimi comandi, ma che andrà studiato a menadito per sopravvivere e la cosa, ve lo diciamo subito, non è semplice: tasto X per volare, con l’analogico sinistro che ci permetterà di muoverci nello spazio circostante, mentre il tasto quadrato di farà diventare una trottola verde fuori controllo.

Facile, no? All’occorrenza gli sviluppatori hanno pensato bene di inserire anche un tutorial per i comandi base, tutorial che tuttavia sarà utile solo per alimentarvi altri dubbi. Si perché il gioco non si impegna minimamente nello spiegare ciò che accade e dunque sarà un turbine di tentativi ed errori, fino alla comprensione delle meccaniche di base e il mondo che ne consegue. Ogni livello va infatti attraversato con una logica tutta sua, ad esempio sfruttando lo sbuffo rosso che farà il nostro “personaggio” per attraversare una porta nel medesimo colore, ritrovandoci poi a precipitare in un corridoio dove magari la cosa migliore da fare sarà restare immobili con il nostro colore base, il bianco, superando un’altra porta. È un sistema che spiegato a parole rende poco e niente, in virtù della sua attitudine spiccatamente pratica e che potrebbe far passare Flywrench per l’ennesimo indie dallo stile minimal che va di moda nell’ultimo periodo, salvo poi trasformarsi in un gioco ai limiti del machiavellico e che non smetterà di tormentarvi l’esistenza anche nelle fasi di incazzatura più ignobili.

Complice un level design ben studiato, infatti, c’è sempre un modo di passarla liscia nel gioco; il grosso della difficoltà sta nell’abituarsi ad una manualità impressionante rispetto ai controlli estremamente semplificati. Il gameplay si rivela estremamente intrigante e nonostante i fallimenti, i videogiocatori più “puri” non potranno smettere finché non saranno riusciti a superare quel livello, si, proprio quel livello che ti fa dormire poco la notte e che il giorno dopo supererai in scioltezza, trovandoti poi di fronte un nuovo ostacolo apparentemente insormontabile.

Avremo inoltre decine di livelli in cui metterci alla prova, con gli ovvi cambi di meccaniche ogni volta che passeremo ad un nuovo step verso il nostro sole, in un hub di selezione realizzato come un sistema solare e dove saremo obbligati a completare un certo numero di livelli prima di passare al pianeta successo. E una volta finito il gioco, avremo sempre modo di affinare il nostro punteggio generale e cimentarci nell’attacco a tempo, a dimostrazione che la nostra vita è miserabile e non ne abbiamo mai abbastanza.

Lo stile grafico, come abbiamo già detto, è davvero ridotto all’osso, al punto da poter passare quasi per un gioco da Amiga anche nelle sue dimensioni (parliamo di nemmeno 100 MB di gioco) se non fosse per una velocità di gioco folle e ovviamente senza inciampi. Anche la colonna sonora non mancherò di mandarvi sulle stelle, con una nutrita schiera di artisti elettronici che si sono prodigati nel portare un mix di suoni che si sposano alla perfezione con il ritmo frenetico del titolo.

Verdetto

Concludendo, Flywrench non è assolutamente un gioco per tutti, ma potrebbe essere una killer app per gli amanti della difficoltà: un puzzle game action che vi sfiancherà più di un incontro di boxe con Mike Tyson e sicuramente vi regalerà dei momenti di adorabile frustrazione e sgomento. Ma è anche una sfida che, una volta compresa, non smetterà di darvi delle gran belle emozioni di gioia, gioia che vi sarete sicuramente strameritati e che vi farà dormire sonni tranquilli, almeno finché non vi incaglierete nuovamente. Ma d’altronde, la vita del videogiocatore è anche questa.

 

 

 

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.