Sempre più videogiochi arrivano sul mercato con la meccanica della photo mode, feature in grado di farci fare foto all’interno dei nostri titoli preferiti

L’ultima generazione di console è stata caratterizzata, tra le altre cose, dall’aspetto social dei videogiochi. Su console, per lo meno, è stata implementata ormai circa sei anni fa la possibilità di condividere con i nostri amici di Facebook, Twitter o Youtube, clip video o screenshot dei nostri videogiochi preferiti. Come? Semplicemente premendo un tasto e collegando i propri profili Playstation o Xbox ai vari canali social.
Questo, insieme all’implemento esponenziale della photo mode nei videogiochi, ha permesso una sorta di nuova forma espressiva.

Per chi non lo sapesse, la photo mode consiste nella possibilità di “fermare” il mondo di gioco e fotografare quello che accade su schermo. Moltissimi giochi (principalmente esclusive Sony) mettono molta enfasi nel promuovere questa meccanica, pubblicizzandola nei propri trailer e riempiendola di diversi obiettivi, filtri e altri perk fotografici. La photo mode è in grado di far perdere ore e ore ai giocatori più incalliti, che si sfidano a chi riesce a catturare il momento migliore della propria sessione videoludica. Come detto prima, questa potrebbe essere una nuova forma d’espressione, anche se dipendente dal medium fotografico di lontane origini.

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Fotografia di Giovanni Cocchini

La fotografia si è infatti evoluta numerose volte nel corso della storia, passando dalle radiografie alla cellulosa fino al digitale. Questa ulteriore step evolutivo potrebbe vedere la nascita di una nuova forma espressiva, ovvero quella della fotografia virtuale. Sempre più spesso vediamo fotografi professionisti, o semplici appassionati di fotografia, cimentarsi in ritratti artistici di Ellie di The Last of Us, o degli scorci del paesaggio di Ghost of Tsushima. Chi è in grado di maneggiare con facilità gli strumenti del settore, può trovare uno sfogo creativo anche attraverso i videogiochi, esprimendo la propria passione rimanendo comodamente a casa seduti sul divano (utile a tutti i fotografi in lockdown in giro per il mondo).

Ma quello su cui è interessante ragionare è la funzione più larga, a livello sociale e culturale, della photo mode e della fotografia virtuale. Un fenomeno di rilievo su cui riflettere scaturito dall’uscita di The Last of Us Parte II, è stato il proliferare di screenshot del gioco su Twitter, che hanno permesso di notare un forte senso di unione in una community, quella dei videogiocatori, oggi giorno sempre più divisa. La gara a chi condivideva la foto migliore si è rivelata essere una vera e propria esaltazione di un lavoro che, in quei giorni, veniva massacrato dai commenti pieni di odio di alcuni giocatori. Condividere una fotografia scattata con passione, curata al dettaglio nella sua composizione e nel taglio di luce, è il tra i modi più calorosi di dare sostegno a un titolo che vada oltre al solito commento di poche righe sui social.

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Fotografia di Sharif Meghdoud

Il significato dietro una fotografia è infatti vastissimo. Gli studi sul linguaggio sono infiniti e si concentrano su migliaia di aspetti. Essendo praticamente ancora ai suoi albori, la fotografia virtuale trova forza maggiormente in relazione al suo aspetto social di cui si parlava prima. L’impatto culturale dell’espressione è quindi ben immersa all’interno del proprio tempo, e non sarebbe una sciocchezza paragonarla, ad esempio, a una piattaforma come Instagram e Pinterest. La potenzialità dietro alle photo mode è però diversa e unica. I videogiochi sono infatti dei veri e propri ambienti digitali dalle mille potenzialità. Scattare una fotografia in un open world, ad esempio, pretende un’accurata esplorazione dell’ambiente e una buona dose di abilità nel catturare “l’attimo fuggente”. L’implementazione sistemica nei titoli contemporanei permette infatti ad ogni videogiocatore di avere momenti unici e irripetibili, talmente preziosi per non essere immortalati.

Ma anche nel caso di opere più lineari, è sempre interessante navigare il web per vedere i migliori screenshot in circolazione, perché in grado di dare una visione personale a qualcosa di oggettivo come un gioco consumato da milioni di persone. D’altronde si sa che se si mettono cinque fotografi a scattare nello stesso punto, si otterranno sempre cinque fotografie diverse tra loro, e il discorso può essere applicato anche ai videogiocatori.

Da un punto di vista più tecnico, la photo mode nei videogiochi può essere un’interessante modo per appassionarsi alla materia se non la si conosce. La fotografia virtuale, offrendo infatti parecchi strumenti simili a quelli del mestiere, ci dona un’ottima prospettiva verso l’artigianato che si nasconde dietro a uno scatto. Concetti come la profondità di campo o la distorsione grandagolare possono essere padroneggiati con cura in un ambiente protetto, dove la camera si muove in direzioni impossibili da compiere nel mondo reale. Una simiglianza quindi molto accurata ma che allo stesso tempo si distacca dal linguaggio originale per superarne i limiti. Riuscendo infine anche a coniugare in un solo processo i tre atti previsti nella realizzazione di una fotografia, ovvero composizione, scatto e postproduzione. Quest’ultima feature è infatti quella che più di tutte ci permette di sviluppare il nostro lavoro in maniera personale, aggiustando direttamente in “camera” le luci, i colori, i filtri e molto altro.

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Fotografia di Giovanni Cocchini

E quindi la photo mode può essere una forma d’arte? Come ogni nuova forma d’espressione, è difficile che la fotografia virtuale possa essere riconosciuta a livello professionale o artistico in breve tempo. Per ora la questione viene vista fondamentalmente come un passatempo nel passatempo, per spezzare il ritmo tra un obiettivo di gioco e l’altro. Ma forse è arrivato anche il tempo di staccarci da questa dannata ossessione dell’essere umano di ricercare l’arte in ogni cosa che fa. Per anni i videogiocatori hanno fatto sentire la propria voce a chi non riteneva il medium videoludico una forma d’arte, portando numeri e statistiche come prova sotto gli occhi degli scettici. Lo stesso discorso può valere per la fotografia virtuale, dove però ancora nessuno ha cercato di far esporre il proprio screenshot all’interno di una galleria. Il bisogno di legittimazione è spesso deleterio e nocivo per le forme espressive. Provoca vere e proprie limitazioni del linguaggio laddove nessuno, tranne noi stessi, pone un limite.