Se avete sentito parlare del Grishaverse di Leigh Bardugo e avete pensato di essere too old for this sh*t, benvenuti, questo spazio è per voi

Care persone non più ventenni, benvenute. Questo è uno spazio sicuro. Questo è un luogo in cui nessuno vi giudicherà per le vostre opinioni, in cui non ci sono esponenti della Z generation pronti ad urlarvi dietro il primo ok boomer della vostra vita (il primo è il peggiore, poi ci si abitua), in cui parleremo in maniera nostalgica di Hunger Games e di com’era verde la mia scuola di magia.

Parliamoci chiaro, se avete trent’anni potete pure non leggere questo articolo, passare oltre e restare nell’ignoranza di cosa sia il Grishaverse, di chi sia Leigh Bardugo, del motivo per cui vi sarete forse resi conto che la notorietà di Ben Barnes è di nuovo – apparentemente in maniera inesplicabile – in ascesa. Ma se, come me, la Fear Of Missing Out non vi abbandona mai – accompagnata forse da una piccola sindrome di Peter Pan che vorrebbe vedervi per sempre adolescenti, innamorati dell’ultima saga fantasy spuntata sul mercato e anelanti ship friends to lovers o enemies to lovers – allora preparatevi, che stiamo per entrare nel Grishaverse.

Le basi: cos’è il Grishaverse?

C’erano una volta le saghe: a volte constavano di sette volumi, altre volte di cinque o di quattro; per un lungo periodo è sembrato che non si potesse raccontare una storia se non suddividendola in una trilogia. Una saga era solitamente raccontata in maniera più o meno cronologica e solo dopo un successo di critica e pubblico, eventualmente, si procedeva alla stesura di prequel, sequel, o spin-off. Il Grishaverse sovverte tutte le regole e si presenta allo sprovveduto aspirante lettore come una galassia di allitteranti titoli che vanno a comporre le diverse linee narrative dello stesso. Cerchiamo di andare con ordine: al momento il Grishaverse è composto da una trilogia e due duologie, per un totale di sette romanzi ambientati nello stesso universo narrativo, con personaggi che si muovono da una serie all’altra, alcune leggibili separatamente dalle altre, altre no.

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Tutto inizia con Tenebre e Ossa, il primo romanzo della trilogia che vede protagonista Alina Starkov, un’orfana di guerra che scopre di avere il potere di sconfiggere l’oscurità. Alina è una Grisha, persona dotata di poteri magici che vengono prontamente messi al servizio del Re. La ragazza entrerà a far parte del Secondo Esercito di Ravka, si innamorerà SPOILER! del suo oscuro mentore e risolverà, tra un’evocazione del sole e un complotto politico, il suo classico triangolo amoroso da manuale. Le avventure di Alina proseguono nei due volumi successivi, Assedio e Tempesta e Rovina e Ascesa. Questa trilogia è l’opera prima di Leigh Bardugo, che usa un impianto classico affondando a piene mani nel folklore russo (Grisha è il diminutivo di Grigori, un po’ come in Grigori Rasputin, per fare un esempio), puntando sul Dark Academia trend e presentandoci una protagonista forte ma debole, indipendente ma innamorata, normale ma eccezionale.

È un uccello? È un aereo? È uno spin-off?

Due anni dopo la fine degli eventi della trilogia ci spostiamo al di là del mare – ovviamente ogni libro è provvisto di dettagliata cartina geografica dei luoghi in cui si svolge l’azione – per seguire le avventure di Kaz Brekker e dei suoi soci nel Colpo Grosso che viene narrato in Sei di corvi. Questa duologia presenta un cast completamente nuovo che si muove nella città di Ketterdam, ispirata alla Amsterdam dei secoli scorsi; anche qua troviamo i Grisha e i loro poteri, ma le mura dell’accademia frequentata da Alina lasciano il posto a quelle di case da gioco e postriboli. L’atmosfera, tuttavia, resta dark e la narrazione è molto character-driven: ognuno dei corvi ha i suoi traumi ed errori del passato da affrontare – ovviamente nel bel mezzo di una rapina nel carcere più pericoloso del mondo.

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Nonostante le scelte applicate nella stesura della serie Netflix di Shadow & Bone, la trilogia di Tenebre e Ossa e la duologia composta da Sei di corvi e dal suo seguito, Il regno corrotto, non si sovrappongono e le avventure degli Scarti sono leggibili anche da chi non ha intenzione di avventurarsi fino in fondo nel Grishaverse. Tuttavia, se avete ormai deciso di scoprire quanto è profonda la tana del bianconiglio, vi resta un’ultima duologia da affrontare, con protagonista il re di Ravka, Nikolai Lantson. King of Scars e Rule of Wolves sono i capitoli più recenti del Grishaverse e ancora non sono stati pubblicati in Italia. A completare (per ora) l’universo narrativo espanso della scrittrice israelo-americana Leigh Bardugo, sempre in inglese troviamo una raccolta di storie sul modello delle fiabe di Beda il Bardo e un’agiografia dei santi ravkiani.

Universo derivativo, universo vincente

Dopo aver capito cosa leggere e in quale ordine – questa è abbastanza semplice, basta seguire la cronologia delle date di pubblicazione – possiamo addentrarci nelle tematiche e nelle atmosfere del Grishaverse. E qua, prepotentemente, il mio avere trent’anni mi ostacola nella comprensione del successo di questa saga. Il sistema magico dei Grisha è diviso in tre ordini: Corporalki, Etherealki, e Materialki a seconda dei loro poteri (i primi possono guarire, ferire, o modificare il corpo, i secondi evocano e manipolano venti, acqua, o fuoco, i terzi – detti fabrikators – manipolano la struttura molecolare delle materie inanimate); ovviamente i Grisha vivono sospesi tra l’ammirazione e la paura e così come sono considerati l’esercito di élite a Ravka, nella confinante Fjerda sono cacciati e condannati a morte per il loro essere mostri. Immaginatevi un sistema magico a metà tra i fumetti degli X-men e quelli di Fullmetal Alchemist e avrete un’idea dei Grisha.

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La trilogia di Tenebre e Ossa mette in scena il più classico dei triangoli in cui lei è la protagonista dotata di un potere inaspettato, lui è il migliore amico d’infanzia/bussola morale che la conosce come le sue tasche e l’altro è Ben Barnes (prima di venire inserito nel cast della serie tv, Ben Barnes era già l’Oscuro in centinaia di fan-cast sui social), affascinante e pericoloso, bello e dannato. Forse potremmo considerare la storia di Alina una parabola sui rischi del permettere agli uomini di controllare le nostre potenzialità, ma temo di vederci più di quanto non ci sia in realtà e, a quel punto, continuo a preferire le dinamiche di potere tra Katniss Everdeen e Alma Coin.

Caspita, è dark forte!

Una solida fetta del fascino di Shadow & Bones, credo di aver capito, si basa sull’aestethic della Dark Academia, che affonda le sue radici nel primo romanzo di Donna Tartt, Dio di illusioni. Scuole private, libri antichi, giacche in tweed con mocassini, cravattini, calze al ginocchio, studio dei classici, feticizzazione di personaggi dell’epica come Achille e di autori omosessuali come Oscar Wilde, misteri, omicidi, quadri pre-raffaeliti – sono sicura che scorrendo questa lista non sono stata l’unica a pensare hey, da adolescente ero una dark academic e non lo sapevo, ma del resto, se adesso avete trent’anni, ci sono buone probabilità che abbiate avuto una fase della vostra adolescenza in cui le vostre letture erano composte in larga parte da racconti di Edgar Allan Poe, letti ascoltando i My Chemical Romance. Quello che mancava a noi, adolescenti dei primi albori dei social network, erano le mood board su instagram e gli hashtag dedicati su tik tok, ma certe aestethics non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano (solo che noi non sapevamo di doverle chiamare aestethics).

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La Dark Academia, certo, ha ricevuto anche alcune critiche per la sua tendenza a romanticizzare comportamenti poco salutari e patologie come la depressione, l’insonnia, l’abuso di caffeina, lo stress da procrastinazione, oltre che per l’approccio prettamente eurocentrico che caratterizza gli studi e le letture dei suoi adepti. Tuttavia è giusto ricordare che l’adolescenza è un periodo di scoperta del mondo e che una certa fascinazione morbosa permette di esplorare tematiche su cui – ancora oggi – nelle scuole si tende a essere reticenti, come appunto la depressione, lo stress, gli abusi di sostanze.

Non sei tu, sono io

Insomma il Grishaverse, a noi trentenni, ha poco da dire. Di scuole di magia ne conosciamo già abbastanza e uno dei pregi di non avere più vent’anni è che possiamo rassegnarci al fatto che ormai le generazioni più giovani ci hanno identificati come quelli fissati con le case di Hogwarts; non dobbiamo dimostrare a nessuno di essere al passo con i tempi e conoscere alla perfezione ogni nuovo fantasy sul mercato; il concetto stesso di FOMO, dopo un anno di assenza di eventi, inizia a diventare inconsistente. Il Grishaverse di Leigh Bardugo è molto derivativo, e questo non aiuta certo un lettore maturo nell’apprezzarlo, ma non è neanche un buon motivo per bistrattarlo: considerato il grande successo che le saghe e la serie stanno avendo, Shadow & Bone e compagni hanno senza dubbio molto da dire a chi è più giovane di noi, a chi da poco si è affacciato alla letteratura fantastica, a chi sa godersi una storia con dei buoni personaggi, nonostante il worldbuilding traballante.

Perciò, forse, se avete trent’anni potete anche lasciar perdere il Grishaverse, ma questo non significa che non sia un’opera destinata a segnare una generazione. Semplicemente, non si tratta della nostra.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.