La linea PlayLink si fregia di un investigativo. Ma a quando un gioco divertente?

Che Sony stia puntando fortissimo sulla sua nuova linea di prodotti da salotto non ve lo dico io, ve lo dirà la pubblicità dedicata a PlayLink che già da qualche settimana è arrivata nelle vostre TV. E capiamoci: se non te ne frega che qualcosa abbia successo, non ci spendi i soldi per portarla in un mezzo costoso come la TV. Chiusa la breve lezione di marketing, c’è da dire che la linea PlayLink, per quanto interessante sulla carta, è ancora intrappolata in una lunga fase di rodaggio, complice l’uscita di titoli non proprio esaltanti, e comunque in grado di competere anche solo lontanamente con i capisaldi del party game (genere a cui, in un modo o nell’altro, dobbiamo fare riferimento). Il punto di forza però qui c’è, e va semplicemente raffinato. La possibilità di utilizzare qualunque dispositivo connesso in wifi, come ad esempio smartphone e tablet, amplia di molto la possibilità che qualunque amico possa prendere posto sul divano. Vuoi perché i limiti di un tempo erano proprio lo scarso numero di controller che uno poteva ritrovarsi in casa (chi cazzo ce li ha 4 pad in casa?!), vuoi per la familiarità che ormai tutti, grandi e piccini, hanno con smartphone e simili. Annullare grazie ad essi il gap che sussiste tra amanti e non del videogame non è cosa da poco, e l’intuizione di Sony è vincente, poco da dire. Detto ciò, dopo il disastroso Planets of the Apes, ci siamo imbarcati in Hidden Agenda, titolo investigativo ad opera dei Supermassive Games, che già con Until Dawn aveva dato prova di essere a proprio agio con le avventure interattive. Più o meno.

Spalmato su due ore abbastanza intense e intriganti, Hidden Agenda altro non è che un titolo dal forte taglio cinematografico. Un modus, a giudicare dal recente mood della linea PlayLink, molto in voga tra i team di sviluppo che desiderano cimentarsi in questa sorta di lavoro ibrido. Ai giocatori, quindi, il compito di indagare sulle azioni di un misterioso e sfuggente assassino chiamato “Il Manipolatore”, molto abile con trappole ed esplosivi e sulle cui tracce si metterà la coppia di agenti della polizia Marney e Nelson, nonché il procuratore distrettuale Felicity Graves. Tesa e accattivante, la trama di Hidden Agenda è, fondamentalmente, il suo fulcro e c’è da dire che malgrado diversi scivoloni, il racconto dell’investigazione scorre abbastanza liscio, con momenti di tensione quasi orrorifica, e con un’atmosfera generale veramente calzante e riuscita. Un plauso anzi a Supermassive, che ha scelto, nonostante la natura apparentemente “easy” della lineup PlayLink, di puntare su di una storia dalle tematiche molto mature in cui non mancano riferimenti alla pedofilia oltre che, ovviamente, all’omicidio. Il gioco è di fatto un film interattivo, in cui sullo stile di Quantic Dream (ma con persino meno meccaniche ludiche), si dovrà far luce su sospetti e indizi, sino ad arrivare alla soluzione del caso su cui, ovviamente, non ci pronunciamo. La sceneggiatura, come detto, funziona piuttosto bene, ma purtroppo non può dirsi lo stesso per le meccaniche investigative, specie grazie alla frettolosità con cui il titolo cerca di imbastire l’intero tavoliere di comprimari e indizi, veramente numeroso se si considera che tutto è condensato in appena due ore di gioco.

hidden agenda

Cellulare alla mano, un massimo di sei giocatori potranno mettere alla prova il loro fiuto investigativo, utilizzando proprio lo schermo dello smartphone come se fosse il proprio taccuino su cui appuntarsi le vicende del caso. Avremo quindi sempre sotto mano le biografie dei personaggi, gli obiettivi da raggiungere, le prove che avremo rivenuto e ovviamente i più recenti sviluppi di trama, anche se proprio questi, data la durata, non saranno poi così fondamentali. Per il resto non c’è una vera e propria dimensione da party game, ma più semplicemente una sorta di laser game di gruppo, dove le decisioni che mandano avanti la trama sono quelle scelte dalla maggioranza il che, ad essere sinceri, rompe anche un po’ le uova nel paniere a chi non volesse “conformarsi” all’opinione altrui. Per fortuna il gioco non propone il tutto sotto forma di bieco obbligo, ed anzi il suo obiettivo è proprio quello di creare un dialogo tra i giocatori, affinché si affrontino, per lo più uniti, le vicende e le relative conseguenze, e questo – considerato il tono maturo ed emotivo della vicenda – riesce qualche volta a creare anche un discreto fascino, ben inteso che non siamo poi lontanissimi, se non per game design, dalle derive morali del più apprezzato Heavy Rain.

Il problema però, mettendo volutamente da parte qualunque discussione su quanto tutto ciò sia effettivamente un videogame, è forse il caos che va a crearsi mentre si cerca, a volte a tentoni, di farsi strada nel caso. La motivazione è da ricercarsi prettamente nel modo in cui il team ha deciso di portare avanti l’avventura che, come detto, è nulla più che un inarrestabile film in computer grafica, occasionalmente percorso da bivi decisionali, fasi di ricerca e QTE. Meccaniche doverose, ma che lasciano poco spazio a quello che è il respiro che la storia avrebbe meritato, evidentemente sacrificato per necessità di dinamiche ludiche, ovvero il dover creare un qualcosa che potesse essere iniziato e completato durante un dopo cena tra amici. Questo incedere confusionario ed a tratti raffazzonato potrebbe poi essere degnamente recuperato in virtù di una seconda, una terza o una quarta run. Peccato solo che proprio nelle battute finali il gioco si spari tutte le sue cartucce, concedendo allo spettatore un numero esorbitante di informazioni chiarificatrici il cui risultato altro non è che quello di scoraggiare una seconda partita. Il bello è che poco importa che si incastri, ad esempio, il peggior finale disponibile. Le informazioni offerte dal gioco su tutto il caso sono comunque troppe, tali da non lasciare davvero nessun gusto nella partita successiva, salvo quello per la collezione dei trofei, che comunque, almeno è nostro giudizio, non è certo il motore di una serata tra amici… A meno che di cognome non facciate Cooper o Hofstadter, s’intende.

In sintesi un peccato raro. Perché a guardarlo bene, dietro questo Hidden Agenda c’è un lavoro di fino, tanto per la motion capture che per la resa generale, forse azzoppata da una regia un po’ balbuziente, ma comunque nel complesso pregevole se si considera soprattutto la natura economica del titolo.

Verdetto:

Hidden Agenda è un titolo interessante, e certamente uno dei più maturi del panorama PlayLink. Di sicuro siamo sulla buona strada per dare a questa particolare lineup PS4 una configurazione accattivante, e la speranza è che questo momentaneo amore per le uscite a tema non sia, come spesso è capitato per Sony, un fuoco di paglia. Purtroppo siamo ancora molto lontani da qualcosa di anche solo vagamente perfetto, dove “perfetto” si intende nella summa ottimale di gameplay, immediatezza e divertimento, paradigmi imprescindibili per un party game d’antonomasia, ed a cui la linea PlayLink ancora non riesce ad ambire. C’è da dire che qui siamo dalle parti del puro sperimentalismo, ma forse questa non è necessariamente una giustificazione a fare male.