Il western di cui avevamo bisogno

Hostiles non è un western come tutti gli altri.
Realizzare un film del genere ad oggi è un’impresa complicata con cui diversi cineasti hanno provato a confrontarsi, ma pochi sono riusciti a realizzare qualcosa di veramente buono.
Scott Cooper sa come scatenare le nostre emozioni, come giocare con i nostri sentimenti, e lo fa immediatamente, dalle prime battute, regalandoci una sequenza iniziale di fortissimo impatto, che trasuda fragore viscerale e ci turba, ponendoci subito nella condizione di empatizzare con i protagonisti e provare odio verso tutto ciò che è diverso da loro.

Ma non sarà del tutto così. Cooper si diverte a farci credere che il film possa andare in una direzione per poi rivelarci che la strada verso cui ci sta portando sia del tutto diversa da quella che potevamo immaginare. Eravamo rimasti a Il fuoco della vendetta, dove il regista aveva diretto proprio Bale in un film in cui la rivalsa e il desiderio di regolare i conti ne costituivano il leitmotiv, e qui crediamo di trovarci in un deja vù, con le prime sequenze in cui il termine vendetta non solo viene percepito e respirato, ma addirittura pronunciato.
Invece – come detto – Hostiles è tutt’altro, ed è tante cose.

Strutturalmente si tratta di un western piuttosto classico. Siamo nel 1982 e una donna, Rosalie (Rosamund Pike) è l’unica sopravvissuta ad una vera e propria carneficina ad opera di un gruppo di indiani Comanche, che li attaccano e fanno fuori il marito e tre figli. Nel frattempo il capitano Joseph J. Blocker (Christian Bale) è costretto, suo malgrado, a scortare un Capo Cheyenne e la sua famiglia nelle loro terre natie, in Montana, per ordini del Presidente. Ben presto, in questo viaggio dal fort del New Mexico, incontreranno Rosalie, ancora sotto shock per l’accaduto e Joe si prenderà cura di lei e proverà a fare la stessa cosa con i suoi uomini, evitando di finire vittime degli assalti dei pericolosi Comanche.

Il viaggio verso il Montana è esattamente ciò da cui Cooper prende linfa per far crescere umanamente i suoi personaggi. Il desiderio di vendetta si tramuta in osservazione e conoscenza del prossimo e di tutto ciò che vediamo come diverso solamente per colpa della nostra ignoranza. In questo lo aiutano principalmente i due protagonisti, Christian Bale e Rosamund Pike, il cui percorso di “crescita” ed avvicinamento sia all’umanità a cui abbiamo accennato, ma anche tra di loro, alla ricerca di quell’empatia che li lega sensibilmente, avviene in maniera differente, svelandoci la loro indole.
Joe (Bale) è un uomo massiccio, dentro e fuori. Un soldato che svolge il suo lavoro e percepisce il proprio nemico come colui che gli è stato indicato, senza porsi troppe domande ma anche perché la vita, con i terribili sviluppi che gli ha riservato, non gli ha reso possibile il contrario. Dietro quell’aspetto da duro e i suoi folti baffi si nasconde però l’animo fragile di un capitano e di un uomo che sa piangere per la perdita di un proprio soldato, che fa di tutto per mettere in salvo la donna di cui ha deciso da subito di prendersi cura.
Rosalie invece è una donna che fa della sua manifesta sensibilità la propria forza. Nel difficile mondo dell’America di fine ‘800 non c’è tempo per piangersi addosso nemmeno dopo la più grande delle tragedie, e così deve farsi forza e metabolizzare il lutto, cercando di prendere ciò che di buono c’è sulla terra che calca. Osserva, contempla e prende atto di una realtà, come quella dei nativi, che non conosce affatto e verso cui provava paura ed odio. Un tema pressante, dominante, che Cooper cadenza perfettamente nei 127 minuti di film e scindendolo tra tutti i personaggi che compongono il suo magnifico disegno, caratterizzandoli in maniera differente ma perfettamente funzionale al suo progetto.

Ognuno vivrà una propria e autentica trasformazione interiore, con quel viaggio che simboleggia il deflagrarsi delle certezze dell’uomo bianco americano finalmente a contatto con la realtà che lo spaventa e che combatte, ma che dona anche un senso di attualità all’opera. È esemplare il modo in cui il regista perfeziona questo processo umano, ponendo i suoi personaggi costantemente di fronti a bivi in cui non è mai facile prendere la direzione più giusta. Lo fa con Rosalie, distruggendo la sua vita e mettendole di fronte i suoi assassini; lo fa con Joe, dal passato nefasto e burrascoso che riemerge improvvisamente tramite la figura di Phil Wills, ovvero il sempre incredibile Ben Foster che, tra l’altro, vicino a Christian Bale dà un po’ quella sensazione di ritorno a Yuma che non guasta affatto. Infine Cooper fa la medesima cosa con tutti gli altri personaggi che, ognuno a proprio modo, ci mostrano le diverse e contrastanti sfaccettature del loro carattere.

La maniera in cui sputa fuori tutte queste emozioni è sempre cruda e violenta, ed è proprio quello che facilità una visione altrimenti oppressiva. Il regista ci spinge subito nel suo fiume in piena, accompagnandoci tra acque chete ed improvvise cascate. Ed ecco allora che dialoghi intensi e quasi mistici lasciano spazio a scene di efferata violenza e aquell’action di cui un western ha bisogno a prescindere, con pistole e fucili che sparano sempre quando devono farlo.

Il resto è pura contemplazione dettata da una natura onirica che ci fa venire alla mente vecchi film di genere e ci fa perdere nelle valli e nelle lande del Montana grazie alle superba fotografia di Masanobu Takayanagi, abile a trasmettere il turbinio di sensazioni voluto da Cooper.
Hostiles è insomma un western per certi versi atipico e per altri assolutamente nostalgico. Ma è di sicuro quello di cui avevamo bisogno.

hostiles recensione festa cinema roma

Verdetto:

Hostiles è un western per certi versi atipico, pur se strutturalmente classico. Scott Cooper è bravissimo a giocare con le nostre emozioni alternando scene di silenzi contemplativi supportati da paesaggi sconfinati e da una fotografia mirabile, a momenti di pura intensità e violenza, con pistole e fucili che sparano come devono assolutamente fare in un western. Il processo di umanizzazione dei suoi personaggi viene sviluppato in una maniera eccezionale e riesce a farcelo vivere attraverso il loro viaggio.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.