Dopo un’anteprima adorata dal pubblico, Zerocalcare ha parlato della nascita di questo suo ultimo prodotto, ma anche di come vive il suo processo creativo

In concomitanza all’anteprima stampa dei primi due episodi di Strappare lungo i bordi, abbiamo avuto modo di parlare un po’ Zerocalcare. Il fumettista romano ha avuto modo di dialogare con Andrea Delogu (presentatrice dell’evento) e con il pubblico.

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Vogliamo ringraziare le 200 persone che hanno lavorato a questo progetto? Perché si è sviluppato durante la pandemia e presumo sia stato complesso.

Sì è un prodotto supercollettivo, ci stanno un sacco di persone che hanno lavorato a questo progetto, con molti ancora non ho avuto modo di parlare ed è un peccato perché dovevo stare più a contatto con loro per poter capire come si faceva questo lavoro e farlo tutto da solo (ride)

Quante volte hai cambiato la sceneggiatura?

Fortunatamente è stato quasi tutto “buono la prima” anche perché io sono uno che se rilegge troppo quello che scrive poi impazzisce e cambia troppe volte.

All’interno della serie c’è un momento, mentre il tuo personaggio scrolla la home di Netflix, che critica alcuni prodotti. Ti hanno dato la possibilità di parlarne un po’ male, sei stato libero?

Io ho lavorato con un sacco di realtà grosse nella vita, ma spessissimo è capitato che mi dicessero “non puoi dire questa cosa, non puoi criticare quello, perché noi ti paghiamo”, così spesso prendevo le mie tavole, rifiutavo i soldi e continuavo a lavorare per conto mio. Netflix invece ha manifestato un bel fairplay, non mi hanno mai bloccato.

Tu riesci a fare dei paragoni di una profondità che è spiazzante, quello che ti capita durante il giorno lo applichi ai tuoi lavori. Come hai fatto a fare questi parallelismi e proiettarli su di noi? Perché a tutti è capitato di fare le 5 del mattino spulciando la home di Netflix senza trovare nulla per poi andare a dormire.

Tendenzialmente io mi faccio serate intere a scarrellare la home, poi io ho un master in pippe mentali, filosofeggio anche sulle serie da poter vedere e a quanto pare accade a molti.

Zerocalcare sa di parlare a nome di tanti?

Io quando ero piccolo, prima di mettermi a dormire, ripercorrevo le cose accadute durante la giornata per analizzarle e approfondirle. È un’attitudine che mi appartiene da sempre. Però non credo che questa cosa parli della collettività, ma delle persone che stanno impicciate.
Parlo a chi condivide questo senso di inadeguatezza, che tendenzialmente uno si porta dietro da piccolo sino a quando muore, perché sennò nella roba mia non ci si ritrova.

Se ce l’hai dentro, puoi avere 10 o 80 anni, essere giapponese o romano, ma se ce l’hai dentro è tua e la capisci.

Pubblico – Tu hai una capacità pazzesca, parti per la Siria, ci parli del problema dei Curdi, ci intrattieni a Propaganda, durante la pandemia e poi fai una serie così. Come hai pensato il tema della serie e di parlare del piccolo Zerocalcare? E perché, per esempio, non un Kobane calling?

Questa serie ha una trama orizzontale che si svilupperà in seguito. Da un lato, però, non voglio essere un curdologo o un prete che evangelizza. La cosa più importante per me è saper switchare su più cose diverse. Se ti mantieni solo su una cosa, poi finirai con l’essere seguito solo da una piccola riserva indiana.

Io faccio uno sforzo a diversificare il mio linguaggio, anche perché sennò non potrei essere me stesso e far arrivare il mio vero messaggio. Io ho solo due alert sul telefono: gli spostamenti sul fronte di guerra della Siria e le news riguardo il Marvel Cinematic Universe.

Quindi, questa roba, in qualche modo rispecchia quello che sono io veramente.

Quando ho cominciato a guardare la serie, con le musiche di Giancane, ho sentito anche Manu Chao e Tiziano Ferro. Perché? La tua canzone preferita di Tiziano Ferro?

Perdono. È una retorica che fa un sacco effetto su di me, sì Zerocalcare si sente anche Tiziano Ferro.

Pubblico – Guardando questi episodi mi è sembrato che fosse come una graphic novel in movimento, era questo l’intento finale?

Sì, l’idea, sia dal punto di vista stilistico, che narrativo, è stata questa. Di solito racconto una storia attraverso un libro e questo è il metodo che mi appartiene. Volevo che fosse una roba mia e che arrivasse.
Ad una persona che guarda questa serie potrà piacere o meno, ma di sicuro arriverà che è una cosa fatta da me, riconoscerà il mio linguaggio.

Hai scelto di doppiare te tutti i personaggi, tranne l’armadillo di Valerio Mastandrea, come mai hai scelto te di dare la voce a tutti?

Ad un certo punto ho capito che si poteva fare, magari adesso alcuni diranno “guarda te sto coglione che fa le vocette”, ma tra le parole mezze mangiate e il romano è arrivato alla fine. È un prodotto orientato a tutti, magari non alla gente di Bolzano (ride).
Non volevo che lo spettatore si ritrovasse davanti una serie che apparisse come uno spettacolo teatrale, volevo che arrivasse l’idea “Questa storia la conosco io e te la racconto con le mie voci e la mia interpretazione”.

Pubblico – Nei fumetti di Zerocalcare, ma in generale in tutti, la velocità con cui progredisce la storia dipende non solo dalla narrazione, ma anche da come legge il lettore. È stato difficile portare un simile prodotto sotto forma di serie?


Calcola che per me è addirittura lento (ride), ma mi rendo conto che sarebbe stato troppo complicato renderla più veloce, anche se abbiamo baccagliato un po’ al riguardo.
Uno degli aspetti fighi delle serie, e di Strappare lungo i bordi, è che decidi te il tempo e i ritmi, quanto debba durare una scena o quanto debba sentire una canzone una persona.
La velocità però influenza solo la prima visione, poi uno può stoppare anche per ricercare i vari easter egg che ci sono nelle scene e i messaggi nascosti qui e lì.

Quante citazioni troviamo all’interno della serie? Quando scorri i titoli dei film abbiamo visto che ci sono tante interpretazioni libere tue.

Tutto quello che c’è scritto è stato curato tantissimo. Fosse stato per me avrei detto “sticazzi”, ma i ragazzi mi chiedevano cosa volessi mettere dentro le chat di Twitter o di Whatsapp e quindi abbiamo approfondito ulteriormente.

Pubblico – Hai sempre girato, più o meno, intorno alla vita sentimentale del tuo personaggio, ma qui sembra tu la voglia approfondire. Dici che è una cosa nata dall’aver avuto l’occasione di adoperare un nuovo media? È una tua scelta?

Sì ci ho pensato. Approfondire la vita sentimentale di un diciassettenne è importante per farlo capire di più al pubblico. Mi risulta molto semplice parlare delle cose del passato, anche perché mi è più difficile parlare delle robe del presente.

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Pubblico – Ti sei sempre esposto su tematiche molto diverse tra di loro. Qual  è la chiave per poter riuscire a comunicare tematiche così complicate ad un pubblico così vasto? E credi che persone con il seguito come il tuo abbiano una responsabilità?

La mia policy è quella di parlare solo di cose che vivo personalmente, che seguo e che approfondisco direttamente. Io parlo del Kurdistan in Kobane Calling, ma anche quotidianamente, perché ho un costante scambio diretto e vado periodicamente lì. Non credo che le persone che si espongono apertamente su un tema lo facciano per sentito dire, almeno io non faccio così.
Io quando parlo di qualcosa lo faccio con il massimo dell’onestà intellettuale. Non sono super partes, anzi mi schiero, però mi pongo dubbi e incertezze che possono arrivare anche alla persona “dall’altra parte”.

Sì penso che abbiamo delle responsabilità, ma quelle più grandi sono quelle di non peggiorare le cose. Non dobbiamo cambiare la capoccia delle persone, ma cambiarle in meglio è estremamente difficile, ma in peggio è molto facile. Il mio intento è quello di far uscire, chi legge un mio libro, non peggio di quando ci è entrato.

 Il prodotto è doppiato in altre lingue? Magari in francese dallo stesso Zerocalcare?

Sì, in altre 7/8 lingue, tra le quali il francese. Anzi stamattina mi ha scritto il doppiatore della versione francese dicendomi “è stato bellissimo lavorare sul tuo progetto, molto divertente, ma anche la roba più difficile della mia vita, mortacci tua, con tutte queste vocette”.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.