In Italia come nel mondo il fumetto sta vivendo un periodo d’oro e di rivoluzione: il web ha infatti permesso a moltissimi autori di emergere dall’anonimato e dai movimenti underground, guadagnando la giusta popolarità ed il giusto merito per lavori che si distinguono non solo per originalità ma anche per temi trattati, avvicinandosi ai lettori e condividendo con loro ansie e problemi. In questo senso il lavoro di Simon Hanselmann, artista originario della Tasmania che in pochi anni ha conquistato il pubblico e la critica internazionale con la sua serie a fumetti Megg, Mogg & Owl, nasce come una sorta di terapia personale per sopravvivere ad un’infanzia problematica e che si riflette nei suoi personaggi bizzarri e talvolta osceni, ma incredibilmente vicini ad un disagio globale la cui estinzione potrebbe non arrivare mai.

In occasione della XXIII edizione del Romics abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con questo autore eclettico e amante del suo lavoro, al punto da inscenarne un vero e proprio matrimonio con il fumetto.

 

Raccontaci innanzitutto cove è nata la tua passione per il disegno e come hai iniziato.

Sono cresciuto in Tasmania con una madre tossicodipendente che non era mai a casa, sempre in giro a lavorare nei bar o a intrattenersi con dei bikers, e quindi dovevo cercare di distrarmi ed ingannare il tempo in qualche modo. Eravamo poveri e non potendo permettermi molto ho trovato nei fumetti la mia via di fuga: a mio avviso i fumetti sono una scappatoia perfetta per i bambini, si possono creare storie dal nulla e con nulla; bastano carta e penna. Ho sempre amato disegnare e a otto anni ho iniziato a realizzare fanzine autopubblicate e vendute a scuola e non mi sono mai fermato, ma in fin dei conti disegnare mi ha permesso di scappare dalla realtà, un atto quasi terapeutico per riuscire ad affrontare tutte le cose negative che mi circondavano. Un po’ deprimente, mi rendo conto, ma è stato così.

Le fanzine sono sempre state il tuo principale veicolo di comunicazione, mentre il tuo arrivo sul web, in particolare su Tumblr, è avvenuto abbastanza tardi. Vuoi spiegarci qualcosa di più?

È vero, ho pubblicato i miei lavori su Internet solo sei anni fa e le ragioni sono molteplici: ho lasciato il liceo a 14 anni e durante le mie giornate passavo il tempo a casa scrivendo fumetti. Ero in uno stato di depressione grave e il governo mi sosteneva economicamente dicendomi che non dovevo lavorare e pensare alla mia salute, quindi disegnavo moltissimo. Successivamente mi sono trasferito a Londra e in giro per il mondo. Mi ero appassionato alla musica noise e facevo concerti strillando e sudando agitato le tastiere, poi alla fine della serata vendevo le mie fanzine, o almeno ci provavo. Non è una buona idea vendere fanzine a un concerto noise, sappiatelo.
Alla fine un amico mi convinse a pubblicare i miei lavori su Internet. Avevo quasi trent’anni e i computer erano qualcosa di nuovo per me, poiché viste le mie condizioni economiche non ne avevo mai avuto uno. Nel 2012 ho aperto il mio Tumblr e appena un mese dopo sono arrivate le proposte editoriali e la mia fama è letteralmente esplosa. È successo davvero tutto molto in fretta.

Come hai vissuto questa improvvisa ascesa e come è cambiata la tua vita adesso che sei uno degli artisti più interessanti del momento?

In realtà non è cambiato molto, almeno sul piano lavorativo. Sono sempre stato uno stacanovista per motivi terapeutici, come ti ho detto prima. Mi sento bene quando lavoro ai miei disegni e inseguo sempre quel benessere che mi dà il finire i miei lavori e portare a casa un progetto. Continuo a fare la mia vita, mi sveglio e disegno tutto il giorno senza particolari novità.
Quanto al pubblico non ci penso, quello che faccio non nasce per soddisfare qualcuno ma è solo per me; sento di dover realizzare un certo tipo di storie e continuo a farlo.
L’unica vera differenza è che adesso ho dei soldi. Non sono ricco sfondato però posso pagarmi un affitto, posso comprarmi da mangiare grazie ai miei fumetti ed è sicuramente meno stressante di vivere senza sapere cosa e quando mangerai di nuovo o con l’ansia di essere cacciato di casa. Adesso sono sicuramente più rilassato.

Leggendo un po’ della tua serie Megg, Mogg & Owl ci siamo imbattuti in una serie di libri e cartoni degli anni ’70 intitolata Meg and Mog. C’è qualche correlazione o è stata una semplice ispirazione?

In realtà è stato tutto frutto della casualità. Ovviamente le vicende che narro non hanno nulla a che vedere con Meg and Mog, se non il nome alterato dei protagonisti e il fatto che sono entrambi un gatto ed una strega. Ciò che racconto sono sempre storie personali e la loro popolarità è dovuta più a questo. Nel mio lavoro ci sono molti aspetti della mia vita e dei miei amici e le persone in tutto il mondo spesso mi dicono “Wow, conosco qualcuno come Jones il lupo mannaro” oppure “Mi sento proprio come Meg”. Tutto ruota attorno a tematiche universali come l’essere depressi; le persone non se la passano molto bene, magari ricorrono alle droghe per distorcere la realtà e in molti riescono ad identificarsi, e non nego che per me è anche una piccola fortuna.

I tuoi fumetti quindi sono uno specchio del disagio che stanno vivendo le nuove generazioni?

Assolutamente sì. Il mio fumetto è rivolto a persone giovani e studenti che lottano cercando di capire cosa gli sta succedendo, che combattono con la depressione e cercano di sopravvivere nel mondo. Proprio questo mondo che sta diventando un luogo folle: il terrorismo è ovunque, Internet ci butta in faccia informazioni continuamente fino a sommergerci e c’è un sacco di gente frustrata dalla vita. Megg & Mogg è divertente, perché parla di queste cose avvolgendole con dell’umorismo e un po’ di speranza. Cerco di non pensarci troppo, visto che sento molto ciò che scrivo; se avessi saputo quello che stavo facendo non so se sarei riuscito a farlo. Scrivo solo delle storie e cerco di pensare positivo.

Negli ultimi anni il fumetto è diventato un veicolo di tematiche importanti, capace anche di parlare di problemi sociali in parte scomodi, e sicuramente il tuo lavoro è un esempio emblematico di questo nuovo corso. Pensi che il fumetto possa essere considerato un medium adatto a riflessioni anche più impegnate e magari essere d’aiuto tanto al lettore quanto all’autore?

Certamente. I fumetti sono pressoché identici ai film, alla poesia, alla musica. È un’arte in tutto e per tutto ed è un ottimo veicolo per le emozioni. Tuttavia il vantaggio dei fumetti è che non servono attrezzature di nessun tipo se non idee. Nel mio caso ci sono io che scrivo e disegno e il tutto assume un’individualità unica, senza che ci siano altre persone che mettano bocca sul mio lavoro cercando di cambiarlo. Meg & Mog è la mia storia e nessuno può provare a metterci le mani sopra. E se vogliono provarci, possono andare dove potete immaginare.

romics intervista simon hanselmann

Puoi descrivere Meg & Mog a qualcuno che non ha idea di cosa sia? Anche per invogliare i nostri lettori ad interessarsi ai tuoi lavori disponibili da pochi mesi in Italia per Coconino.

Stavo comprando un hot dog stamattina in fiera: non riuscivamo a capirci bene tra il suo italiano ed il mio inglese e sembrava chiedermi cosa volessi. Io gli ho fatto capire che ero uno degli ospiti e che disegnavo fumetti e anche lui mi ha chiesto cosa facessi. Ci ho pensato un attimo e alla fine ho risposto ” I Simpson, ma con la droga”, credo sia la spiegazione più semplice.
Va visto come una sit-com, se ti piacciono prodotti comici come I Simpson oppure I’ts Always Sunny in Philadelphia e simili sicuramente apprezzerai Megg & Mogg. È comico e d’intrattenimento. Mi piace essere dark e triste ma il divertimento non manca mai.
Non voglio cambiare le cose, fare battaglie politiche e sociali con il mio lavoro; cerco solo di far ridere le persone, occasionalmente facendole pensare ma preferisco che ridano fino a star male.