A sette anni dall’esordio, Life is Strange è pronto a fare appassionare una nuova generazione di gamer grazie alla Remastered Collection. Un’occasione per capire che eredità ci ha lasciato

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ette anni fa, un’aspirante fotografa e un’irriverente punk rocker dai capelli blu ottenevano un posto all’interno dell’immaginario videoludico collettivo. Mi riferisco alle protagoniste del primo Life is Strange, titolo che ha aperto ai francesi di Dontnod le porte del successo: sette premi vinti, tre milioni di copie vendute, miriadi di fanart, fanfiction e cosplay a tema, l’inizio effettivo di una serie. Insomma, ad oggi Life is Strange è da considerare a tutti gli effetti un cult videoludico.

In questi giorni l’amata coppia di adolescenti di Arcadia Bay continua a incantare una nuova generazione di giocatori e giocatrici grazie a Life is Strange Remastered Collection. Per quanto il discorso remaster possa aprire il fianco ad alcune riflessioni legate all’incapacità del settore di rischiare con nuove proprietà intellettuali, occasioni del genere si rivelano ottime per accogliere nuove frange di gamer, se non per riscoprire aspetti dimenticati di un determinato titolo.

Personalmente, trovo che la forza di Life is Strange risieda nei suoi personaggi. Da un punto di vista legato al mero gameplay, il titolo di Dontnod non stravolge il genere dell’avventura narrativa, ma riesce a ritagliarsi uno spazio importante nonostante la rilevanza di Telltale. Non solo: se mi fermo un attimo a ripensare alle uscite del 2015, viene fuori che Life is Strange è riuscito ad affermarsi nel corso di un anno che ha visto la pubblicazione di titoli altisonanti come Bloodborne, Metal Gear Solid V e The Witcher 3, per citarne alcuni.

Ma cos’ha di così potente Life is Strange? In primis le sue protagoniste. Usare il plurale per indicare i personaggi principali di Life is Strange è all’apparenza sbagliato. Il titolo getta chi gioca nei panni di Maxine – o meglio, Max , diciottenne appassionata di fotografia. Eppure pensare che Life is Strange racconti esclusivamente la sua storia è estremamente riduttivo, perché è Chloe ad accendere la miccia della vicenda del gioco che, com’è noto, si basa sul cosiddetto effetto farfalla. Del resto, il gioco altro non è che un costante tentativo di salvare la ribelle diciannovenne dal suo fatale destino attraverso il potere del riavvolgimento del tempo di Max, in cambio però della distorsione della realtà materiale.

Tali tentativi mettono al centro il rapporto tra le due ragazze, che non sono semplici amiche, né semplici amanti. I baci per gioco, la mano dell’una stretta a quella dell’altra, le lacrime versate, la rabbia espressa: l’emotività umana prende forma attraverso il profondo rapporto che lega le due ragazze. Un rapporto sfaccettato, dolce e al contempo struggente, tanto difficile da definire quanto potente. Il saldo legame tra Max e Chloe mi spinge a citare Life is Strange tra i titoli che utilizzano in maniera egregia il conflitto del duo protagonista per dare valore alla propria storia, pur utilizzando la coppia solo in termini narrativi.

Non è tutto: Max e Chloe operano all’interno di un mondo vivo, che è Arcadia Bay. I diversi personaggi che popolano la cittadina marittima è uno spaccato torbido che lascia emergere temi come molestie, bullismo, suicidio, tossicodipendenza, psicosi e pressione sociale. Il tutto in una piccola realtà di finzione dell’Oregon. Per rappresentare in maniera così funzionale temi che affliggono la società odierna, Dontnod ricorre a un corollario di personaggi che dona carattere all’ambientazione. In questo frangente mi preme sottolineare l’importanza del ruolo degli adulti, le cui storie si collegano con enorme delicatezza e crudezza ai drammi adolescenziali dei giovani che popolano Arcadia Bay. Le difficoltà di rifarsi una vita da parte di Joyce dopo il lutto del marito; l’alcolismo che affligge Raymond Wells, preside della Blackwell Academy; le paranoie di un reduce di guerra come David Madsen: questi sono solo alcuni esempi di ciò che emerge nei cinque episodi che caratterizzano Life is Strange.

Tutto questo rende davvero struggente la scelta finale: salvare Chloe oppure l’intera Arcadia Bay. Devo essere sincera: ho rinunciato a tutti gli abitanti della cittadina per poter mettere in salvo una volte per tutte la meravigliosa punk rocker dai capelli blu. Non accettavo di perderla dopo quanto visto – e scelto – negli episodi precedenti. Eppure il vero finale di Life is Strange prevede la sua morte, lì, nei bagni della Blackwell Academy, per un colpo di pistola.

Max: «I miei poteri potrebbero non durare, Chloe»
Chloe: «Non importa. Noi sì. Per sempre»

Non solo la differenza di pathos tra i due finali è netta, ma è il gioco stesso a spingere per il sacrificio di Chloe in cambio della salvezza di Arcadia Bay, attraverso un climax di situazioni che evidenziano il peso delle decisione prese.

Tutti questi motivi (e oltre) hanno reso possibile un prequel come Life is Strange: Before The Storm, sviluppato da Deck Nine e pubblicato da Square Enix nel 2017. Lo cito non solo per i motivi che delineerò a breve, ma anche perché fa parte di Life is Strange Collection Remastered. Il gioco è ambientato tre anni prima le vicende di Max e Chloe, ed ha quest’ultima per protagonista. In questo caso non c’è alcun potere sovrannaturale, poiché il gioco ricorre a sogni, ricordi e visioni per raccontare l’elaborazione del lutto paterno di Chloe e l’apparenza soffocante che attanaglia Rachel, personaggio che nel “sequel” è solo menzionata ma ha comunque una presenza costante e inquietante nella storia di Arcadia Bay.

La perfetta sinergia che si crea tra i due capitoli rende ancora più indelebili le figure di Max, Chloe e Rachel. Per questo credo che i capitoli successivi – Life is Strange 2 e Life is Strange: True Colors – per quanto meritevoli e dotati dei loro punti di forza, non non sono paragonabili alle protagoniste del primo Life is Strange, a maggior ragione se si considera Before the Storm parte integrante di esso. E lo è. Mi sento inoltre di poter dire che parte dell’iconicità dei due titoli è legata alla colonna sonora non originale, che pesca dal repertorio dei Mogwai fino a quello dei Daughter. Un’atmosfera hipster, alternativa, che caratterizza al meglio i singoli momenti. Ricordo ancora la bellezza della scena di Max sull’autobus con “Something Good” degli Alt-J di sottofondo, per dire il primo esempio che mi viene in mente.

Dopo tutte le belle parole spese, non posso fare altro che invidiare chi in questi giorni sta vivendo per la prima volta la storia di Life is Strange Remastered Collection, che racchiude un teen drama videoludico di grande qualità, capace far impallidire i migliori esponenti di Netflix. Non a caso, Life is Strange è uno dei titoli che consiglio più spesso a chi vuole iniziare a giocare ai videogiochi: la semplicità dei comandi, il tipo di narrazione familiare tratto dalla serialità televisiva e, soprattutto, la potenza delle sue storie hanno la forza di infrangere qualsiasi barriera di scetticismo nei confronti del medium.

Lorena Rao
Deputy Editor, o direttigre se preferite, assieme a Luca Marinelli Brambilla. Scrivo su Stay Nerd dal 2017, per cui prendere parte delle redini è un’enorme responsabilità, perché Stay Nerd è un portale che punta a stimolare riflessioni e analisi trasversali sulla cultura pop a 360° tramite un’offerta editoriale più lenta e ragionata, svincolata dalle dure regole dell’internet che penalizzano la qualità. Il mio pane quotidiano sono i videogiochi, soprattutto di stampo storico. Probabilmente lo sapete già se ascoltate il nostro podcast Gaming Wildlife!