Quando si parla di retrogaming buona parte delle persone va a ritroso immaginandosi console come il NES o il Master System di SEGA ma, a dirla tutta, è andando ancora più indietro nel tempo che si scoprono le vere meraviglie. Parliamo degli anni del Commodore 64 e dell’Atari, macchine dalla potenza computazionale ben inferiore ma che avevano dalla loro la potenza immaginifica del giocatore che, in poche manciate di pixel su sfondi neri, riusciva a vedere ciò che al giorno d’oggi viene fedelmente restituito da una qualità visiva impareggiabile. Tra alieni che invadono la Terra, giungle inesplorate e principi che lottano contro il tempo, Lumo si aggancia a quei ricordi e, in particolare, ai primi titoli isometrici che offrivano una prospettiva inedita per l’epoca farcita con enigmi mortali e trappole, un gameplay che a distanza di oltre trent’anni però, sa ancora offrire qualcosa di buono ed arriva anche su Nintendo Switch, dopo essersi fatto notare già su PlayStation 4, PlayStation Vita, Xbox One e PC.

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 La nostra avventura comincia nei panni di un ragazzo che va a visitare una mostra di retrogaming: al suo interno, ci attendono numerose console e cabinati classici, ma anche un oggetto inusuale come lo SpecEye. Cos’è, direte voi? In realtà non ci è dato saperlo visto che, appena ce lo ritroveremo davanti, un raggio di luce ci avvolge teletrasportandoci in un mondo a noi oscuro, tramutandoci al tempo stesso in un mago. Non sapendo cosa fare per tornare indietro, non ci resterà che esplorare questo luogo e uscirne, possibilmente vivi.

Ludicamente parlando, il gioco è un palese omaggio alle avventure isometriche degli anni ’80 che presero piede nella seconda metà del decennio grazie a titoli come Knight Lore di RARE e che avrebbero condizionato in particolare il mercato PC dell’epoca portando allo sviluppo di generi come i gestionali e gli hack’n’slash che, insieme all’accelerazione 3D, hanno permesso di dare la luce a titoli come SimCity 2000 e Diablo. Nei panni del nostro mago, dovremo esplorare una serie di stanze, in cerca di un modo per tornare nel mondo reale e affrontando numerose sfide, tra sempreverdi sessioni platform ma anche enigmi ambientali e molto altro.

La progressione del gioco è sicuramente uno dei punti di forza del progetto: ogni introduzione di gameplay avviene con il giusto ritmo e nonostante sia assente qualunque indicazione o scritta di sorta, progredire sarà sempre un’azione naturale e che mette il giocatore nella condizione di prendere la mano con ogni novità. Questo non significa nemmeno che Lumo sia un’esperienza facile, piuttosto applica la classica regola del trial and error in un gameplay di manica larga: nella modalità avventura avremo infatti vite illimitate, checkpoint in ogni stanza e la mappa del piano di riferimento, tutte cose che permettono di giocare con la massima tranquillità ma non uccidono la sfida, che si rivela sempre varia e soddisfacente grazie a sfide sempre nuove. Altra buona intuizione è il sistema di controllo, anzi, i sistemi: essendo un titolo isometrico, il creatore del gioco Garet Noyce ha sviluppato vari sistemi di movimento che permettono ad ogni giocatore di muoversi nel modo che credono più comodo. All’apparenza può sembrare una scelta ovvia ma di fatto è un’aggiunta più che valida soprattutto per chi non è pratico dei platform isometrici, dove il cambio di prospettiva può mettere in seria difficoltà, soprattutto nell’esecuzione di salti precisi. Per ovviare a questo problema, i tasti L e R permetteranno di ruotare leggermente la telecamera facilitando un po’ la nostra vita ma, come spesso accade, la pratica sarà l’unico modo per affinare la tecnica e il nostro stile di gioco.

A fronte di una sfida sempre fresca, Lumo di contro offre anche una longevità discreta di circa 5 ore, ma coadiuvata da una serie di elementi come i tanti collezionabili sparsi nel gioco come le paperelle di gomma da recuperare possibilmente senza morire o delle musicassette, palese omaggio allo ZX Spectrum che tanto deve alle avventure isometriche, la cui collocazione è spesso invisibile e vi darà del filo da torcere mentre vi impegnerete a trovarle tutte. C’è poi spazio per numerosi obiettivi (qui tradotti malamente come “compimenti”) e la modalità Classica che rende il gioco molto più vicino ai canoni del 1985 vietando salvataggi e mappa, nonché ponendo un tetto massimo di vite.

Il versante tecnico, tuttavia, non rende giustizia alla bontà del gioco, o almeno non ci riesce su Switch. La console Nintendo soffre infatti di un downgrade grafico abbastanza pesante e visibile sotto tutti i punti di vista, uscendo con le ossa rotte da qualsivoglia confronto con le versioni casalinghe o PC: le stanze risultano sbiadite e sfocate con texture granulose, perdendo molto dettagli a causa dell’abbassamento della risoluzione a 720p e in modalità docked il gioco risulta davvero poco piacevole da guardare, mentre in modalità tablet i difetti si assottigliano offrendo dei colori molto più saturi rispetto alla TV. Inoltre, gran parte degli effetti particellari e di illuminazione sono assenti, con ombre quasi trasparenti o sgranate, rendendo gli ambienti più piatti del dovuto. Un peccato perché su altri fronti la resa visiva del gioco era di buonissima fattura e, pur senza gridare al miracolo, mostrava una cura che su Switch risulta non pervenuta.

L’audio di gioco è invece convincente, con effetti sonori nella media ed una soundtrack molto synth-based che preferisce creare muri sonori piuttosto che melodie accattivanti, dando al gioco un mood molto anni ’80 che abbiamo gradito. Al tempo stesso, però, i brani sono poco variegati e capiterà spesso di sentire lo stesso tema per molto tempo, annoiando un po’.

Verdetto

Lumo è un omaggio ad un genere ed un’idea videoludica del passato ancora vincente, ma che perde parte del suo fascino su Switch a causa di un comparto tecnico non all’altezza. I nostalgici non potranno che apprezzare il lavoro svolto da Triple Eh?, ma l’impressione che si potesse lavorare meglio in fase di ottimizzazione non ce la toglie nessuno.

 

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.