L’attesissimo film di Terry Gilliam

Dopo quasi trent’anni di making and dismaking, le sale cinematografiche sono finalmente pronte ad accogliere L’uomo che uccise Don Chisciotte, l’ultima fatica del genio folle e visionario di Terry Gilliam.

A questo punto l’errore più grande che si possa fare, prima di accomodarsi sulla poltrona, è aspettarsi a tutti i costi il capolavoro. Non perché il regista non ce l’abbia nelle corde, anzi, sappiamo bene quali masterpiece ci ha consegnato nel tempo, ma non dobbiamo lasciarci dominare dalle pulsioni provocate dalla lunghissima attesa, poiché non è certo una gestazione prolungata a fare il capolavoro.
Anzi, sappiamo bene quanto Gilliam non sia affatto un regista fortunato e quanto il tutto sia stato travagliato, e nel corso del tempo egli ha pensato e provato e fare di tutto, cambiando trama, cast, e soprattutto idee. Poiché come ci ha detto egli stesso in una lunga ed intensa chiacchierata, ogni film è adatto ad un determinato momento e con determinati attori.

Alla fine però L’uomo che uccise Don Chisciotte ha preso vita, senza Johnny Depp ma con Adam Driver, un inaspettato ma magistrale protagonista, e con Jonathan Pryce, che a lungo ha cercato la parte senza trovarla, e quando gli è stata concessa non ha deluso le aspettative, consegnandoci un hidalgo straripante. Insomma, diciamolo subito, pur non essendo un capolavoro, L’uomo che uccise Don Chisciotte è un bel film. Autoriale, ed in grado di conservare sia lo spirito del cinema di Gilliam che quello dell’opera di Cervantes.

Toby (Adam Driver) è un regista che ha messo da parte il suo talento per fare soldi con le pubblicità, ma una sera mentre si trova in un locale, in Spagna, con la sua troupe per le riprese di uno spot, gli si avvicina un gitano (dal nome Deus ex machina) che gli consegna un vecchio DVD col suo primo film, ovvero “L’uomo che uccise Don Chisciotte”. Toby è tremendamente colpito da tutto ciò, e si rende conto che il villaggio dove 15 anni prima girò quel lungometraggio, Los Sueños (nome che da Gilliam dovevamo aspettarci) si trova a due passi da dove è ora; deve solamente superare la collina.

Al suo arrivo nel paesino però Toby scopre che tutto è cambiato, e le persone che conosceva non sono più quelle di un tempo. A partire da Javier (Jonathan Pryce), che ormai ha completamente perso il senno e si crede davvero Don Chisciotte, o la bella Angelica (Joana Ribeiro), che ai tempi era poco più di una ragazzina ma che dopo aver girato il film si è montata la testa e ha perso il controllo della sua vita, cercando a tutti i costi di diventare una star, finendo in un ambiente torbido e pericoloso.

Associazioni temporali e concettuali che ci rimandano significativamente allo stesso film di Gilliam e alla sua gestazione, soprattutto considerando il tema del cambiamento.
Cambiamento e follia che vanno di pari passo, così come sempre accade nel cinema del regista, che ancora una volta vive di quella natura visionaria e incantatrice, alternando i tanti piani narrativi che si sovrappongono, che a volte ci confondono, perché questo è ciò che Gilliam cerca e trova sempre, mantenendo però coerentemente le redini del racconto.
La narrazione del maestro, come spesso accade, inizia con lucidità per poi virare, mostrandoci il suo lato sognante e onirico, senza però spezzarsi in due tronconi ma lasciandoci incollati allo schermo, trovando forse soltanto un momento di stanca nella parte centrale, peraltro fisiologica in un film del genere, della durata di oltre 2 ore.

Adam Driver si toglie di dosso gli scomodi panni di Kylo Ren e veste quelli eccentrici di un Toby vittima degli eventi, che passa dall’essere un regista di un film a calarsi nel ruolo di un Sancho Panza improvvisato ma perfettamente credibile, affiancando un Jonathan Pryce che – come detto – ci regala una perfomance strabiliante, incarnando appieno l’anima del personaggio di Cervantes, fuggendo inconsciamente da una vita troppo piatta per cercare le avventure in un mondo lontano di dame e cavalieri, dove egli diviene il protagonista della sua storia.

Un personaggio che, insieme a quello di Toby, sa regalarci anche attimi di una tenerezza disarmante, in un rapporto nato per costrizione ma in cui le due anime pure si spalleggiano l’un l’altra. Il cinema, e per estensione il mondo, è un posto brutale, dove “per essere un artista” e per diventare qualcuno “devi essere crudele”: chi non lo è viene masticato e poi sputato, fa un viaggio verso la luna per poi cadere rovinosamente terra, deriso da tutti e messo ai margini.

Il racconto conturbante di Gilliam viene disegnato dal suo uomo feticcio, il fedele direttore della fotografia Nicola Pecorini, che ha dedicato quasi 20 anni a questo tormentato progetto, ma tutto il comparto visivo, compresa l’eccezionale scenografia di Benjamín Fernández, ci regala delle gioie per gli occhi.

C’è tutto nell’opera di Gilliam, forse troppo. Troppo perché anni ed anni di idee segnate a matita e poi cancellate cercano di inserirsi tra le pieghe di un racconto che non può durare all’infinito, ma che il regista cerca di rimpinzare ed imbottire fino a farlo gonfiare, conscio che tanto la sua abilità dietro la macchina da presa possa far coesistere tutto. Il che, almeno in parte, è vero.

l'uomo che uccise don chisciotte

Verdetto

Dopo quasi 30 anni di una complessa e tormentata gestazione, Terry Gilliam partorisce L’uomo che uccise Don Chisciotte (al cinema dal 27 settembre), cambiando logicamente in corso d’opera molte delle sue idee originali, regalandoci però infine un racconto assolutamente autoriale e in cui convivono l’anima del suo cinema e quello della creatura di Cervantes.
I due protagonisti, Adam Driver e Jonathan Pryce si rivelano le scelte più adatte e ci accompagnano in una narrazione fatta di sogno e realtà, in cui il regista cerca di infilare tutto, forse troppo, ma realizzando un’opera assolutamente godibile.

Se vi piace L’uomo che uccise Don Chisciotte…

Probabilmente amate il cinema di Terry Gilliam, ma qualora non abbiate visto tutti i suoi film vi consigliamo di recuperare su tutti Brazil, eccezionale racconto distopico, o Tideland, una perla di cui si parla troppo poco.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.