Arriva nei cinema per tre giorni il live action di Ryuhei Kitamura approvato da Monkey Punch.

Quelli di voi vecchi abbastanza da ricordarsi Dragonball Evolution, sentendo parlare di action movie, si saranno trincerati dietro una barriera di scetticismo. E non posso negare che fate bene. A meno che la trasposizione dell’universo di Akira Toriyama del 2009 non vi sia piaciuta da morire.  In quel caso saltate pure la recensione e prenotate i biglietti per il cinema: Lupin III sarà il vostro nuovo film preferito.

Nei primi dieci minuti di film.

La gang di Lupin (Shun Oguri) è impegnata in un colpo a Singapore. Obiettivo: il medaglione di Zeus, ma soprattutto la nomina, per il vincitore, a presidente di The Works, il gruppo internazionale di ladri che rubano ai ricchi per donare a loro stessi capitanati da Thomas Dawson, vecchio amico di Arsène Lupin, il nonno del nostro eroe. I primi 600 secondi di film ci offrono scene di parkour tra i laser che fanno impallidire la Catherine Zeta-Jones di Entrapment, voli con i jet-pack, lanci di medaglie al rallentatore, esplosioni e impianti antincendio impazziti che regalano al pubblico scene di dubbia utilità in cui Fujiko Mine, interpretata dalla modella/attrice/cantante Meisa Kuroki, cammina sensualmente sotto quella pioggia artificiale dopo aver sgominato metà delle guardie museali singaporeane.

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Niente di nuovo sul fronte orientale.

La storia inizia a camminare, o meglio a zoppicare, con la riunione di The Works, durante la quale agli affiliati viene mostrato una delle refurtive più importanti dell’associazione: il cuore rosso cremisi di Cleopatra, una collana regalata alla regina del Nilo da Marco Antonio, a cui manca però il rubino centrale. Dovrà essere ovviamente recuperato dai nostri Lupin, Fujiko, Jigen, Goemon e Pierre. Apro una grande parentesi per rispondere ad alcune domande che non mi avete mai posto.

Chi è Pierre?
Un genio informatico di supporto al gruppo che conosciamo.
Da dove è spuntato fuori?
Le mie ricerche hanno confermato che è un personaggio creato per il film.
Perché si chiama Pierre?
Ecco, qui entriamo nel campo spinoso delle teorie complottistiche, ma potrebbe essere un omaggio a Pierre Alexis Ponson du Terrail, creatore di un personaggio, Rocambole, che è stato d’ispirazione a Maurice Leblanc per il suo Arsène Lupin (nonno del nostro).
Siete riusciti a seguirmi? No? Colpa delle onde gravitazionali.
Chiudiamo la parentesi.

Come in ogni spy story che si rispetti abbiamo il cattivo, il cattivo redento, quello che sembra cattivo ma non lo è, e Zenigata.

Lupin III

Il mio nome è III, Lupin III.

Se cercate un film che raccolga in due ore ogni scena di ogni film dedicato a James Bond, forse fareste meglio a guardarvi tutti i film di James Bond, ma se ne volete un riassuntino alla salsa di soia, può andare bene anche questo.
Gadget tecnologicamente avanzati, donne bellissime a bordo piscina, sparatorie in autostrada, combattimenti femminili con accapigliamenti, tacchi alti e calci possibili solo dopo anni di yoga, backstory tormentata del suddetto cattivo redento, gente che punta la pistola alla tempia di altra gente e altra gente che risponde “avanti, fallo pure, non ho più niente da perdere”, spade sponsorizzate dallo Chef Tony che tagliano a metà marmitte, ananas e scagnozzi del super cattivone, per arrivare ai titoli di coda che citano 007 senza più dissimulare.

Lupin iii

Reboot, Remake, Remake dei Reboot.

Il problema è che arrivare ai titoli di coda è una faccenda lunga e piatta, nonostante l’approvazione di Monkey Punch (che ispirandosi a Stan Lee compare in un cameo all’interno del film) al progetto e la presenza di tutti gli elementi canonici (la giacca rossa, le urla di Zazà, la sfuggevolezza e il doppiogiochismo di Fujiko, la sigaretta non-così-storta di Jigen), quello che funziona nella dimensione dell’anime, non ha la stessa capacità di bucare lo schermo del cinema.
Ci sono lati positivi in quest’opera: le musiche sono quelle, perfette, a cui siamo stati abituati dal cartone animato, i vestiti sono meravigliosi, gli attori stessi sono adeguati al ruolo e le voci del doppiaggio, quelle della nuova generazione come Stefano D’Onofri (Lupin dal 2008) e Alessandro Maria D’Errico (Jigen), e quelle storiche di Alessandra Korompay, Antonio Palumbo, e Rodolfo Bianchi (rispettivamente Fujiko, Goemon e Zenigata), donano al tutto quel sapore nostalgico di un’infanzia passata davanti alla tv. Tuttavia la prova non convince. La regia, soprattutto nei momenti di massima azione è caotica e a niente serve dividere a metà lo schermo come in una gara multigiocatore a Crash Team Racing, non ci sono trucchetti che aiutino. La trama stessa vacilla in molti punti, per arrivare alla totale assurdità nel finale. Ci sono personaggi così ancorati alla carta da cui sono nati che sembrano proprio sentirsi a disagio, nel live action. Per consolarci, però, possiamo sempre riguardarci Il Castello di Cagliostro.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.