Perché è importante leggere Maus di Art Spiegelman

È il 1992 quando Art Spiegelman vince il premio Pulitzer per Maus, un romanzo a fumetti in cui narra la storia del padre, Vladek Spiegelman, un ebreo polacco sopravvissuto alla Shoah, tra il ricordo delle strazianti esperienze della seconda guerra mondiale e i racconti del tormentato rapporto che l’autore ha col padre.

Per fare tutto ciò Art Spiegelman utilizza in modo originale e stupefacente il mezzo fumettistico, mescolando l’ironia ad uno stile apertamente drammatico, e soprattutto sfruttando lo strumento allegorico. I personaggi di Maus infatti sono tutti animali antropomorfi, con gli ebrei rappresentati come topi – prendendo spunto direttamente dalla propaganda Hitleriana – e i nazisti come gatti. Non che ci volesse poi tanto, ma il volto dolce e mansueto dei topini rende facile al lettore empatizzare con i protagonisti, vittime di barbarie e soprusi ormai, per fortuna, distanti quasi un secolo.

Art Spiegelman si giova del bianco e nero per creare un’atmosfera drammatica, ma raccontare una storia così forte attraverso uno stile cartoonesco e buffi personaggi è il segreto del successo di Maus. L’autore non riporta mai immagini che esplicitano il dramma e le nefandezze della guerra, ed è proprio il contrasto tra lo stile leggero e la tragicità della narrazione a suscitare nel lettore emozioni straripanti.

Maus infatti va letto poco alla volta. Le quasi 300 pagine che costituiscono il romanzo a fumetti vanno cadenzate, gestite a seconda del proprio umore e dei momenti stessi all’interno dell’opera, che è divisa in due parti: Mio padre sanguina storia; E qui sono cominciati i miei guai.
I 6 capitoli che compongono la prima ci mostrano il drastico e repentino peggioramento delle condizioni di vita degli ebrei polacchi negli anni precedenti lo scoppio della guerra, mentre gli ultimi 5 capitoli ci presentano uno spaccato della vita dei deportati nei campi di concentramento.

Undici capitoli che sconquassano l’animo anche del lettore più distaccato, e questo anche perché lo scopo di Art Spiegelman sembra quello di raccontarci la storia tramite i racconti di suo padre, senza renderlo necessariamente un eroe soltanto perché sopravvissuto alle barbarie della Shoah.
Vladek è anzi rappresentato come lo vede realmente il figlio Art, con tutti i suoi difetti. Di certo lo ama e gli vuole bene, ma non si fa scrupoli a rappresentarlo come un uomo indisponente, egoista, esasperante, cinico, tirchio e bigotto.

Senza dubbio il rapporto col padre ha anche minato le certezze di Art, e tanti aspetti e sfumature caratteriali emergono in modo particolare nella seconda parte di Maus, in cui i tanti dubbi dell’autore, le sue paure sono riconducibili alla difficoltà di essere il “figlio di un sopravvissuto”. Al contempo è difficile prendersela con Vladek per il suo carattere burbero e scostante, quando poi le scene nei campi di sterminio gelano il sangue anche nella freddezza dei racconti dell’uomo, che tuttavia a volte è stanco di riportare al figlio ciò che ha costituito il suo passato, quelle ferite che ancora bruciano e che bruceranno per sempre. Una moglie, e una madre per Art, che non c’è più, che non ce l’ha fatta e non ha resistito ad un nefando periodo storico che ha portato, per molti, agghiaccianti conseguenze.

Ci si stanca, inevitabilmente, anche di ricordare.
Vladek è un uomo consumato ma lo sarà anche il lettore alla fine di Maus, perché la potenza con cui queste storie entrano nelle nostre teste ci angoscia e ci sfibra. Racconti che hanno consumato lo stesso Spiegelman Jr., che in questa graphic novel ha messo tutto se stesso, tutta la sua anima e la sua vita. Ha raccontato una realtà brutale e i suoi terribili effetti, facendo capire a chi, fino a un po’ di tempo fa considerava il fumetto roba per ragazzini che invece si tratta di uno strumento con un potenziale talmente vasto da far spavento.

Vincendo il Premio Pulitzer (la prima volta per un fumetto), Maus ha aperto la strada al riconoscimento di questo mezzo come forma d’arte legittima, e le graphic novel sono ormai, finalmente, viste anche e soprattutto come opere che trattano argomenti seri, pur adottando a volte uno stile che – vedi Maus – sembrerebbe cozzare con il dramma.

Se non lo avete ancora fatto, è decisamente il caso di leggere Maus, ma mi raccomando approcciatevi alla lettura con calma, dedicando ad ogni capitolo il tempo che vi sentite di dare. Sarà un’esperienza che vi consumerà un po’, ma al contempo vi arricchirà moltissimo.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.