Un nuovo “live-action” per la favola più famosa di Rudyard Kipling

Tutto ebbe inizio con Alice in Wonderland di Tim Burton nel lontano 2009, proseguendo con Maleficent e proseguendo con Il grande e potente Oz, La bella e la bestia e tanti altri, dando vita cosi ad un’era in cui i classici di disneyana memoria vengono riproposti sul grande (e piccolo) schermo grazie alle nuove tecnologie e soprattutto all’uso di attori in carne ed ossa, scaturendo cosi il ricordo, le emozioni e i sentimenti che tutti noi abbiamo provato guardando i vecchi cartoni animati legati, volenti o nolenti, alla nostra infanzia. Non manca all’appello il coloratissimo “Libro della giungla” scritto dal premio Nobel per la letteratura Rudyard Kipling, già oggetto di una trasposizione cinematografica nel 2016 con “Il libro della giungla” diretto da Jon Favreau e prodotto dalla stessa Disney. Nel 2018 il racconto ci viene riproposto da Netflix e Warner Bros e dal regista Andy Serkis creando cosi il nuovo “Mowgli: Il figlio della giungla”.

La giungla è la vera protagonista

La pellicola non si discosta dalla storia originale, infatti ci ritroviamo nuovamente nella giungla dove Mowgli ancora neonato, viene trovato dalla pantera Baghera e allevato dai Lupi lontano dai propri simili, impegnandosi ad essere qualcosa che non è cercando di somigliare a chi lo ha cresciuto ed allevato iniziando cosi un percorso di consapevolezza che lo porterà a scontrarsi con l’unica certezza che ha: La giungla

Il serpente centenario Kaa, che qui appare come lo spirito protettore della giungla, colei che vede il passato e il futuro, ha il compito di introdurci alla suggestiva ambientazione, presentandocela come un luogo vivo e cosciente dotato di un’anima sia benevola e caritatevole che ostile e avversa. Per questo va rispettata attraverso delle leggi alle quali tutti devono sottostare, nessuno escluso.

L’opera di Serkis si discosta dalle precedenti soprattutto per i toni più cupi e realistici lontana anni luce dalla visione leziosa della Disney, esibendo la brutalità della giungla con scene di sangue, di caccia e di morte, donando al film un tocco di realtà e di veridicità che rendono il lungometraggio originale e per un certo senso “unico” nel suo genere.

Animali o umani?

Rispetto al precedente film dedicato all’opera, Mowgli-Il figlio della giungla, presenta una caratterizzazione dei personaggi più ampia donando uno spettro di emozioni più complicato e più sfaccettato che dà vita ad animali quanto più umani possibile: Baghera (Cristian Bale) ci viene presentato come mentore ed educatore di Mowgli concentrandosi più sul lato psicologico e adolescenziale del ragazzo, e ponendosi come figura di riferimento, mentre Baloo (interpretato dallo stesso Andy Serkis) si concentra più sul lato fisico addestrando costantemente il cucciolo d’uomo per farlo restare al passo con gli altri risultando essere a volte brusco e violento. Il branco, invece si presenta come una struttura organizzata, una vera e propria società fondata sulle leggi della giungla con a capo Akela (Peter Mullan) supervisore e leader del branco in opposizione a Shere Khan (Benedict Cumberbatch) una tigre subdola e crudele disposta a tutto pur di uccidere Mowgli.

Gli effetti speciali, ovviamente, sono presenti in maniera massiccia per tutta la durata del film, purtroppo però non riescono a fondersi alla perfezione facendo sembrare il tutto slegato e a volte macchinoso. Alcuni animali come quelli principali risultano credibili, grazie al “motion-captur” di cui Serkis è forse il più grande promotore (c’è lui dietro al personaggio di Gollum del Signore degli anelli e a Cesare dell’ Alba del pianeta delle scimmie) mentre i personaggi secondari non riescono a coesistere in maniera armoniosa con agli atri personaggi e l’ambientazione, rimanendo cosi anonimi e privi di personalità.

Una nota di merito va all’unico attore umano presente ovvero Rohan Chand che risulta del tutto credibile e riesce ad interpretare alla perfezione i dubbi e le difficoltà di un Mowgli adolescente e continuamente messo alla prova.

Verdetto

La nuova fatica di Andy Serkis e di Netflix è un opera per certi versi più matura e realistica rispetto all’opera di Favreau e questo è senza dubbio un punto a favore, oltre alla presenza di un cast di tutto rispetto tuttavia gli effetti speciali e la motion-capture non riescono a dare la giusta luce alla pellicola, che rimarrà forse ingiustamente nell’ombra rispetto all’opera disneyana del 2016

Simone Agueci
Classe 1995, appassionato di cinema e serie TV con una particolare vocazione verso il genere fantasy, adoratore di George R.R. Martin e amante dei videogiochi rigorosamente in single player. Viaggiatore nel tempo libero, sogna di girare il mondo ovviamente accompagnato da un buon film (e da un ottimo power bank).