Puro LSD su carta lucida!

Saldapress l’ha fatto di nuovo. Ha preso e ha traghettato nel nostro paese, accompagnandola per mano attraverso l’oceano, un’autentica perla rinvenuta nel mare magmatico del fumetto americano d’autore, all’ombra dei comics mainstream di supereroi e supereroine, e ce l’ha regalata pulita, brillante e pronta per essere letta. Stiamo parlando di Nameless, capolavoro scritto da Grant Morrison, disegnata da Chris Burnham e colorata da Nathan Fairbaim. Ci volevano gli attributi per portare qui un lavoro così intricato, così fanaticamente assurdo e meravigliosamente psichedelico, e anche per tradurlo degnamente (applausi scroscianti a Leonardo Rizzi e Alessio Ravazzani). Per fortuna, Saldapress quegli attributi ce li ha.

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Il tutto, stranamente, inizia con un incipit già visto e abbastanza semplice: un gruppo di esperti in vari campi dello scibile umano viene reclutato da un miliardario-filantropo-scienziato spaziale (detto “miliarnauta”), di nome Paul Darius, per una missione neanche troppo seccante, ossia salvare l’intero genere umano e ogni specie vivente della Terra dalla distruzione. L’asteroide 626000, battezzato affettuosamente “Xibalba” (l’oltretomba Maya), lungo 26 chilometri e largo 9, si dirige verso il pianeta alla velocità non esattamente da crociera di 80.000 chilometri orari. Ovviamente, l’incontro ravvicinato con quel gigante spaziale causerà un’apocalisse di dimensioni inimaginabili. Fin qui, tutto normale, se non fosse che sulla fiancata del corpo roccioso è stato rinvenuto uno strano simbolo, assolutamente particolare e specifico. Si tratta della “Porta dell’Antiuniverso“, un marchio mistico di cui si ignora l’esatto significato. Per scoprirlo, al team di cervelloni chiamato ad evitare la distruzione del mondo si aggiunge un mago, un vero lume nel ramo nell’occulto: Senzanome. Questo bizzarro individuo dal passato misterioso, il linguaggio colorito e le dubbie capacità, sarà il leader di una spedizione condannata ad un allucinante viaggio nell’orrore senza fine del cosmo.

Allora, facciamo una premessa oltremodo doverosa (per preservare le nostre già intaccate facoltà mentali): Nameless è un prodotto così intricato, così ben fatto, così allucinante e allucinato, che probabilmente il senso sfugge a tutti, forse perfino a Morrison, Burhnam e Fairbaim, gli artefici stessi. Le pagine finali, in cui l’autore stesso spiega i riferimenti e l’ipotetico significato, accentua questa sensazione di opera che supera le capacità dei propri creatori. Il che sarebbe assurdo, impensabile, tremendo, ovvero in puro stile Nameless. Grazie al cielo a noi tocca solo dirvi quanto è bello e non sviscerarlo. Perciò, fidatevi: questo è un fottuto capolavoro.

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La sceneggiatura di Grant Morrison è qualcosa di indescrivibile. In qualche modo, sconosciuto ai comuni mortali, è riuscito non solo a creare un protagonista dalla lingua tagliente, spesso volgare, che agisce al limite del reale e dell’onirico, senza passato e senza nome (un “Nessuno” nel vero senso della parola), capace di divertire e di inquietare ogni volta che apre bocca, ma la genialità è quella di averlo fatto agire in un contesto che amalgama perfettamente (perfettamente) culture, letterature, esoterismi, misticismi, cosmicismi, tecnicismi, un sacco di altri ismi, concezioni scientifiche e filosofie provenienti dagli angoli più sparuti del globo.

Dentro troverete concezioni infernali precolombiane e divinità egizie andare serenamente a braccetto con gli angeli, i diavoli, i titani, la Cabala, Lovecraft, lo gnosticismo, l’esistenzialismo, la psicanalisi, il cristianesimo, l’ebraismo, i tarocchi, la weird fiction alienata, i Tre Marmittoni… E ci fermiamo qui, perché i riferimenti e le ispirazioni sono così tanti e stratificati che manco Morrison sa con certezza quanti siano (nonostante provi a tracciarne una mappa tematica in fondo al volume). Per non parlare poi dei continui avanti e indietro, i piani temporali sfasati che cozzano tra loro come lo stridore di un gesso sulla lavagna… Se ad un certo punto realizzate di non aver capito una mazza, allora non disperatevi: siete sulla strada giusta.

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Ora, provate ad immaginare la seguente scena: vi svegliate la mattina dopo un buon sonno ristoratore, andate a controllare che il pupo stia ancora dormendo e, con in mano una tazza di caffè fumante, vi apprestate a scaricare le email prima di cominciare il lavoro. In quel momento, vi arrivano le prima pagine della sceneggiatura scritta dal vostro amico e collega con cui avete da poco iniziato una nuova collaborazione. Ah, non ve l’ho detto? Vi chiamate Chris Burnham e siete un disegnatore, anche piuttosto bravino. Vi apprestate a visualizzare il contenuto del messaggio, l’ultima fatica del caro Grant Morrison, di nome Nameless.

Probabilmente, chiunque altro sarebbe già scappato a metà strada verso il Messico dopo averla letta, ma non il nostro Burnham, per due motivi: primo, l’idea della serie è stata sua, secondo, non aspettava altro che mettersi all’opera. E l’ha fatto senza farsi pregare. Ci sono diverse parole con cui si potrebbero descrivere i suoi disegni e ve ne elenchiamo qualcuna: disturbanti, contorti, spaventosi, ermetici, folli, allucinanti, sconcertanti, devastanti, oppressivi, nichilistici, divini, assurdi, onirici, psichedelici. In breve: perfetti per questo volume. L’uomo giusto al momento giusto (e nel delirio giusto). Identico discorso per le tavole: intricate, complesse, tali da far saltare il cervello fuori dalle orecchie durante la lettura, esattamente come la storia. Per non parlare dei colori: Fairbaim conclude magistralmente il tutto aggiungendo rossi fortissimi, blu profondi, gialli da voltastomaco, viola da allucinogeni, verdi da capogiro, in un miscuglio capace di trascinare fisicamente nell’horror-spazio della storia. Altro che LSD. Se questi tre autori non facessero fumetti, probabilmente sarebbero in qualche scantinato a scambiarsi teorie e idee su come dominare il mondo.

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Verdetto

Nella carriera di un redattore succede raramente di mettere voti alti come questo. Ma ogni tanto, quando capita tra le mani qualcosa di davvero speciale, se non unico, com’è Nameless, si è ben felici di prendersi una simile responsabilità. E i motivi non mancano: resa narrativa, originalità, potenziale immaginifico, esecuzione artistica, sensazione di follia, comunicabilità fluida di un sistema complesso di leggi e regole, tutte incastrate in una storia avvincente dalla prima all’ultima pagina. Si potrebbe stare a ragionarci su per tanto, tanto tempo. Ma non c’è cosa migliore da fare, per convincersi che questo è un fumetto pazzesco, che leggerlo per averne direttamente la prova.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!