Quando cambia la forma, ma non la sostanza

Breaking Bad, Peaky Blinders e ora Narcos: questa senza dubbio è la breve lista delle serie TV (sitcom escluse) che negli ultimi tempi, al raggiungimento della quarta stagione, sono riuscite a mantenere un livello qualitativamente eccezionale senza mai sbagliare un colpo.

Probabilmente qualsiasi altra serie TV al posto di Narcos, dopo essere rimasta orfana prima del monumentale Pablo Escobar (interpretato magistralmente da Wagner Moura) e, da questa stagione, di Javier Peña (Pedro Pascal), sarebbe andata incontro ad un inevitabile e giustificato calo.

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Narcos: Messico, invece, è la testimonianza che una grande serie riesce ad essere tale anche senza i propri punti cardine, basta mantenere la propria essenza, il proprio colore.
Non che Netflix e produttori si siano risparmiati questa volta nel cast, visto che ne sono entrati a far parte attori di livello mondiale come Michael Peña e Diego Luna, ma il punto principale resta sempre lo stesso.

Messico, serie spin-off di Narcos, volta a raccontarci l’affermazione del cartello di Guadalajara sotto la guida del lungimirante Padrino Miguel Ángel Félix Gallardo (interpretato da Luna), ci catapulta immediatamente nell’universo del narcotraffico messicano, mediante una sequenza cardine che verrà ripresa in seguito.
Un artificio di regia già visto in passato, e quasi in ogni stagione, ma sempre efficace e soprattutto potente.

L’universo messicano segue la falsariga di quanto avevamo potuto apprezzare con la terza stagione riguardante “I gentiluomini di Cali”, con meno spargimenti di sangue e più intrighi polizieschi, ma senza snaturare l’Io di una delle associazioni criminali più importanti e sanguinare della storia.
Lo sviluppo narrativo prosegue fluido, senza intoppi, con incastri affascinanti ed intelligenti, prestando fedeltà ai fatti originali, seppur romanzati delle volte per finalità di trama. Il ritmo, senza dubbio, è uno dei punti di forza di uno show caratterizzato da una tensione costante e da  sequenze sempre votate all’attacco, mantenendo le sue qualità di thriller con ambientazione urbana.

Tutto ciò è ovviamente reso al meglio anche dal già citato cast che, oltre ai due interpreti principali, ci offre una miriade di personaggi affascinanti e mai di contorno, sempre vivi e intenti a plasmare pian piano le trame di questa articolata tela anche tramite il proprio operato.
Kiki Camarena (Peña), agente della DEA alla perenne ricerca della giustizia e della verità, è la perfetta antitesi di Gallardo, due uomini che pur di portare a compimento i propri sogni sono rispettivamente disposti a tutto, anche a snaturare la propria anima, ma senza modificare, del tutto, i propri valori. Due essenze che vanno a completare il Taijitu dell’equilibro messicano.
A questi, oltre i vari Rafa Quintero (Tenoch Huerta) e Don Neto (Joaquin Cosio), si aggiunge un personaggio interessantissimo che si riesce a ritagliare uno spazio personale molto importante: Amado Carrillo, il “signore dei cieli”, già apparso in passato e portato su schermo dall’attore autoctono José Maria Yazpik.

Senza dubbio – e permettetemi questo piccolo ed ulteriore ritaglio, ma è assolutamente necessario e dovuto – il vero one man show resta l’incredibile Diego Luna, il quale, alla prese con uno script valorizzato da quella che è la sua madrelingua, mette in scena un personaggio in costante evoluzione, magnetico e per certi versi quasi paragonabile all’Escobar di Moura. Il fascino e le gestualità del colombiano sono senza dubbio diventate un punto fondamentale della cultura pop di quest’epoca, ma anche il personaggio di Gallardo, detto El Flaco (il magro), tramite i suoi sguardi, il suo modus operandi e la sua costante battaglia interiore, ci offre tantissimi spunti da analizzare.

Lo spin-off dell’acclamata serie Netflix, ovviamente, prosegue la sua politica di “valorizzazione” dell’ambiente locale, donandoci uno spaccato della quotidianità sinaloense prima, e di Guadalajara poi, tramite delle scenografie ed una fotografia di primissima fattura.

Le sequenze in interni ci permettono di vedere le varie realtà criminali che si evolvono pian piano sino ad arrivare ad essere una potenza di prim’ordine, rese al meglio da una palette calda, che predilige tonalità scure, ma vive e “smaltate”, con rari sprazzi di vera luce, soggiogata prevalentemente dalle scelte cromatiche contornate da oro e bianco.

Per le riprese in esterni non c’è bisogno di tante parole, sono semplicemente entusiasmanti. Del resto la Colombia prima ed il Messico ora, possono fregiarsi di possedere dei paesaggi naturali di immane bellezza e, fortunatamente, José Padilha (regista della prima stagione e ora nei panni di produttore esecutivo) e soci sanno sfruttarla nel migliore dei modi.
Tutto lo sviluppo narrativo, come da prassi, viene accompagnato costantemente da sonorità latine, gestite da Kevin Kinter e Gustavo Santaolalla, che permettono di esaltare ancor di più le sequenze in “barrio” e in “fiesta y pompa”.

Pertanto, dopo aver iniziato questo sanguinario ma affascinante viaggio con El Patron de Medellin, non potrete veramente fare a meno di proseguire con El Padrino de Guadalajara, alla costante scoperta di una serie TV che, nonostante il cambio di interpreti, continua ad essere uno dei prodotti più importanti dei nostri tempi.

narcos

 

Se ti è piaciuta Narcos: Messico…

Allora non potrai fare a meno della prima stagione della serie in versione blu-ray, o la storia di Pablo Escobar, interpretata magistralmente da Javier Bardem, in Escobar – Il fascino del male. A questi va aggiunta anche l’affascinante opera di Villeneuve: Sicario.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.