È giocabile con una mano sola…

L’epoca in cui determinati giochi non uscivano dal territorio giapponese perché ritenuti troppo poco ricevibili dagli occidentali volge quasi al termine, e finalmente buona parte di quelle produzioni che un tempo non avremmo mai visto, o avremmo dovuto giocare senza capire mezza parola, arrivano anche nei nostri mercati. Ci sono le eccezioni, come ogni annuncio di un episodio di Yakuza che mischia nel mio cuore la gioia con la convinzione preventiva che tanto non arriverà mai. Nights of Azure è uno di quei giochi che, probabilmente, 10 anni fa sarebbe rimasto confinato in Asia, tanto che delle tre release disponibili sul suolo nipponico – il titolo è disponibile per tutte e tre le macchine Sony – una sola ha raggiunto i nostri scaffali, quella Playstation 4 che mi trovo a recensire. Però, in un ipotetico aut aut su cosa localizzare, avrei certamente preferito un qualsiasi Yakuza ambientato nel Giappone feudale.

La maledizione del sangue che trasforma gli uomini in demoni… e non è Bloodborne

Gust, sviluppatore di Nights of Azure, è noto principalmente per Ar Tonelico. Con questo nuovo titolo fa però tabula rasa e tira fuori una IP totalmente nuova, sia nel mood che nella tipologia di gioco. Le vicende si ambientano nella terra di Rusewall, dove dopo una serratissima lotta l’umanità è stata eletta vincitrice della guerra contro il Nightlord; l’eredità dello scontro è stata però piuttosto pesante, dal momento che il supercattivo di turno, prima di capitolare, ha lasciato colare sulla terra il suo sangue azzurro, e chiunque ne è entrato in contatto si è trasformato in demone. Questi mostri girano di notte, uccidendo gli esseri umani. A tamponare il problema ci pensa la Curia, con i suoi cavalieri intenti nello sterminio dei demoni. Manco a dirlo la nostra protagonista, Arnice, appartiene all’Ordine, e suo compito sarà quello di supportare la sua amica d’infanzia, Lilysse, nella missione di sigillare per il nuovo il Nightlord.

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Così esposta la storia sembra piuttosto dark, ed in effetti prova ad esserlo, salvo poi essere piena di sbavature: ad Arnice e Lilysse si affiancano una serie di comprimari piuttosto mal caratterizzati, in primis la coppia Professor Alucard / Lloyd, costantemente impegnata a bisticciare in una serie di gag comiche che non farebbero ridere neanche se si fosse sotto effetto di stupefacenti. Il problema della trama, o più precisamente della narrazione, non è però solo questo, altrimenti si potrebbe pure chiudere un occhio: il 99% dei siparietti che avvengono nell’Hotel Ende, l’hub del gioco, sono fastidiosi, inutili, estremamente frammentati, mancano di coesione tra di loro e soprattutto non apportano nulla all’impianto narrativo generale, finendo solo per essere tanti scambi di battute che, francamente, sono interessanti come un documentario sullo spostamento delle dune nel deserto. Anche la relazione tra Arnice e Lilysse, marcatamente omosessuale, sta lì più per stuzzicare qualche prurito che per aggiungere un qualsiasi tipo di valore. E poi ci sono le tette, tante enormi tette che si muovono, animate da vita propria, che sballonzolando senza né senso né soluzione di continuità mi portano a domandarmi se nell’era di internet e del porno gratuito ci sia ancora bisogno di fare questo becero fan-service; poi mi ricordo che Senran Kagura ha diversi episodi all’attivo, e mi trovo costretto ad accettare il mondo così com’è.

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Pokèdemoni

Passando al gameplay la situazione migliora un po’, ma non troppo, dal momento che la natura (anche) portatile di Nights of Azure si fa sentire. Ci troviamo di fronte ad un classico hack ‘n slash con elementi RPG, in cui il sistema di combattimento è puro button mashing senza criterio. A variare un po’ la formula del “premere i tasti senza pensare” intervengono alcune aggiunte che non fanno così tanto la differenza, complice anche il livello di difficoltà decisamente basso: Arnice può evocare dei demoni, i Servants, per combattere al suo fianco; questi sono controllati dalla CPU, e il giocatore può soltanto dare l’ordine di eseguire una mossa speciale. La nostra protagonista potrà inoltre, una volta riempita l’apposita barra, fare uscire la sua natura di mezzo demone (non ve l’avevo detto vero?) trasformandosi per un periodo limitato, e la scelta dei Servants portati in battaglia determinerà la natura della mutazione. Questo impianto, sulla carta, potrebbe anche essere interessante, se solo gli sviluppatori avessero pensato ad inserire un sistema di combo definibile tale, che qui non c’è, quindi ci accontentiamo. Il lato ruolistico è piuttosto abbozzato: i nostri servitori guadagnano livelli uccidendo mostri, e ogni tot livelli sarà possibile scegliere un perk tra i due disponibili, mentre Arnice potrà spendere il sangue blu, valuta utile sia per fare level up sia per creare nuovi demoni, nella sua scalata verso il cap del livello 10. Inoltre è possibile equipaggiare i diversi oggetti rinvenuti nei dungeon per far avere bonus sia ai Servants sia alla protagonista. Niente di particolarmente innovativo insomma.

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Un bel po’ di roba sprecata

Il comparto tecnico, in ultimo, non si comporta molto meglio del resto, anche se per alcune cose si può essere magnanimi vista l’uscita anche su PS Vita, oltre a comprendere il grande impegno profuso da Gust nello sviluppo di un sistema di rimbalzo gratuito delle tette che sicuramente ha portato via risorse che potevano essere investite, ad esempio, nel non fare ogni svolta nelle mappe ad angolo retto. Ad ogni modo, i modelli dei personaggi principali sono di buona fattura, e basta. Le aree di gioco sono tecnicamente pessime, ripetitive al massimo e spoglie come lo screensaver di Windows ’95 con le “stelle”. La varietà dei demoni da affrontare è poca cosa, e anche il boss design è davvero poco ispirato. Il mood generale è quello dell’animazione dark giapponese, quindi i personaggi, le palette cromatiche, il design delle ambientazioni e le tematiche seguono questo solco. L’uso dei colori in particolar modo è interessante, donando sicuramente un’ottima atmosfera al tutto, e se ci fosse anche una modellazione poligonale decente, delle texture degne e soprattutto meno copia-incolla degli elementi decorativi il risultato lo definirei ottimo; ma tutto questo non risulta pervenuto. Il character design, così come le illustrazioni di intermezzo tra i capitoli, sono davvero di qualità, peccato che l’impianto tecnico non riesca a sostenere la buonissima art direction generale. Non avrei avuto di che lamentarmi se avessi giocato il titolo su PS Vita, ma purtroppo sull’ammiraglia Sony il problema si accusa. Sono rimasto invece colpito dal comparto audio, che mischia un interessante smooth jazz nei momenti più rilassati, un po’ à la Persona per intenderci, con dei brani rock metal piuttosto graffianti quando c’è azione.

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Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.